Come scrissi anni fa recensendolo per la rivista Coelum, il libro di Harold Suiter, Star Testing Astronomical Telescopes pubblicato in prima edizione nel 1994, segna un punto di svolta nell’approccio degli astrofili con gli strumenti astronomici di uso comune: per la prima volta l’editoria metteva a disposizione degli osservatori un manuale specificamente dedicato alla valutazione qualitativa delle ottiche astronomiche, argomento fino ad allora affrontato solo di sfuggita nei manuali di astronomia pratica e più approfonditamente solo nelle pubblicazioni degli autocostruttori, la cui distribuzione è però sempre stata circoscritta a questo ambito specifico.
Oltre ad offrire a tutti la possibilità di riconoscere e, quando possibile, correggere le magagne ottiche dei telescopi, il libro di Suiter ha avuto però anche dei risvolti negativi, in particolare fornendo combustibile alla strumentite acuta che affligge tanti astrofili in tutto il mondo: da metodo semplice e sensibile per verificare qualitativamente un’ottica astronomica lo star test ha finito pian piano col diventare spesso una sorta di ossessione, addirittura un incubo per molti possessori di strumenti, preoccupati anche dei più piccoli difetti visibili nell’immagine di diffrazione fornita dai loro adorati e sovente costosissimi telescopi.
Ma come si valutava la qualità ottica di un telescopio prima della pubblicazione del Suiter ? Per togliermi la curiosità sono andato a sfogliare un po’ di letteratura per astronomi dilettanti, iniziando da alcune celebri guide alla osservazione del cielo pubblicate nel XIX secolo e nei primi anni del XX passando poi a un po’ di letteratura più recente, sia in lingua inglese che italiana.
Nel seguito riporterò gli estratti dei paragrafi che ci interessano senza tradurli per non alterare minimamente il senso degli scritti, ma aggiungendo dei commenti dopo i punti più significativi: vedremo infatti come le indicazioni che si davano più di un secolo fa per riconoscere uno strumento difettoso siano ancora oggi validissime. Ovviamente questa rassegna non ha la pretesa di essere esaustiva.
I MANUALI PIU’ VECCHI
Il testo più vecchio su cui ho messo le mani è stato il volume 1 del Celestial Objects for Common Telescopes del Rev. T. W. Webb, la cui prima edizione risale al 1859

e dove troviamo quanto segue:
Actual performance is the only adequate test. The image should be neat and well defined with the highest power, and should come in and out of focus sharply; that is become indistinct by a very slight motion on either side of it.
Questo è il cosiddetto “snap test”: il telescopio deve avere un punto di fuoco univoco e ben definito, e muovendosi anche di pochissimo da questa posizione l’immagine deve degradarsi immediatamente. Quando ciò non avviene, cioè risulta difficile decidere in quale posizione si trovi il fuoco migliore, vuol dire che siamo in presenza di uno strumento difettoso. Se il telescopio ha una notevole profondità di fuoco troveremo l’immagine migliore in un intervallino di posizioni all’interno del quale deve però conservare la medesima nitidezza.
A proper test object must be chosen; the Moon is too easy: Venus too severe except for first rate glasses; large stars have too much glare; Jupiter and Saturn are far better; a close double star is best of all for an experienced eye;
Qui ogni autore ha le sue preferenze, come vedremo più avanti. Oggi il test sulle stelle doppie ha meno rilevanza che nel passato ma occorre considerare che all’epoca in cui scriveva Webb la misura delle stelle doppie era una delle principali occupazioni degli astronomi, sia dilettanti che professionisti. E’ tuttavia indubbio che uno strumento non perfetto mostrerà una stella doppia separata al limite di Rayleigh con difficoltà.
[…] but for general purposes a moderate sized star will suffice; its image, in focus, with the highest power, should be a very small disc, almost a point, accurately round, without wings, or rays, or mistiness, or false images, or appendages, except one or two narrow rings of light, regularly circular, and concentric with the image: and in a uniformly dark field; a slight displacement of the focus either way should enlarge the disc into a luminous circle. If this circle is irregular in outline, or much brighter or fainter toward the centre or much better defined on one side of the focus than the other, the telescope may be serviceable, but is not of high excellence. […] a fair judgment may be made by day from the figures on … the image of the sun on a thermometer bulb placed as far off as possible.
In questa descrizione c’è veramente tutto quello che serve, persino il suggerimento ad usare una stella artificiale. Si noti il criterio secondo il quale il telescopio è perfetto quando le immagini intrafocale ed extrafocale sono uguali, un criterio poi generalizzato (sbagliando, però) dal Suiter ma qui certamente valido poichè all’epoca di Webb il telescopio che andava per la maggiore era il riflettore newtoniano. Ovviamente essendo una guida all’osservazione del cielo Webb non fornisce dei criteri diagnostici più specifici distinguendo tra gli effetti delle diverse aberrazioni.
Un altro importante autore che ha trattato lo star testing è William Denning. Esperto osservatore planetario e di comete Denning era anche appassionato di problemi strumentali, noi oggi diremmo uno “strumentofilo”. Nel paragrafo Testing Telescopes del suo libro più famoso (Telescopic work for stalight evenings, Londra, 1891)

scrive innanzitutto che il miglior modo per giudicare la qualità ottica di uno strumento sarebbe quello di compararlo fianco a fianco con un altro di qualità nota e comprovata. In mancanza bisogna procedere da sé stessi ad alcune valutazioni su oggetti del cielo:
The Moon is too easy an object for the purpose of such trials; the observer should rather select Venus or Jupiter. The former is however so brilliant on a dark sky, and so much affected with glare, that the image will almost sure to be faulty even if the glass is a good one. Let the hour be either near sunrise or sunset, and if the planet has a tolerably high altitude her disk ought to be seen beautifully sharp and white.
Venere è un soggetto terribile per qualunque telescopio, ma se si ha l’avvertenza di “addomesticarlo” osservandolo quando il cielo è chiaro e il seeing è buono, allora diventa un buon test per qualunque ottica, soprattutto per i rifrattori.
Various powers should be tried, increasing them each time, and it should be noticed particularly whether the greater expansion of the image ruins the definition or simply enfeebles the light. In a thoroughly good glass faintness will come on without seriously impairing the definite contour of the object viewed. […] But in a defective telescope, a press of magnifying power at once brings out a mistiness and confuses the details of the image in a very palpable manner.
Questo criterio di valutazione è ben noto a chi possiede strumenti di buon livello qualitativo, è cioè possibile, se il seeing è favorevole, spingere gli ingrandimenti fino a tre o persino quattro volte il diametro dell’obiettivo in millimetri senza che l’immagine perda di definizione, diventando solamente più scura. E’ un test puramente qualitativo ma molto utile qualora si confrontino strumenti con caratteristiche progettuali simili. Nel caso dei rifrattori il test è ancora valido avendo cura di selezionare il colore per il quale lo strumento è stato corretto.
Perhaps the best test of all as to the efficiency of a telescope is that of a moderately bright star, say of the 2nd or 3rd magnitude. With a high power the image should be very small, circular and surrounded by two or three rings of light lying perfectly concentric with each other. No rays, wings, or extraneous appearance other than the diffraction rings should appear
avvisando però il lettore che un telescopio a specchi mostrerà gli spikes dovuti ai sostegni del secondario.
Passiamo al Flammarion, Les Etoiles et les Curiosites du Ciel, Parigi, 1882.

Flammarion descrive lo star test di un rifrattore come segue:
Si l’atmosphère est pure et calme, naturellement un étoile (pas trop brillante) placée au foyer de la lunette armée de ces grossissements, doit se présenter sous la forme d’un petit disque lumineux, tout petit e tout ronde, bien défini sans rayons, sans ailes, sans brouillard environnant, ressortant sur un fond uniformément sombre ; on distingue alors autour de ce point lumineux un ou deux anneaux concentriques très légers.
E ancora una volta ritroviamo lo snap test
Le foyer de noit pas occuper trop de place, et lorsqu’on l’a trouvé par le moment de la netteté absolue de l’image, si l’on avance ou si l’on recule le tube de l’oculaire, la netteté doit immédiatement disparaitre.
Benché non espressamente dedicato agli astronomi dilettanti, The adjustment and testing of telescopes objectives, scritto da H. D. Taylor per la Cooke, Troughton & Simms – costruttori molto apprezzati di strumenti astronomici – costituisce un passo avanti nella divulgazione dello star testing. La prima stampa del volume risale al 1891, ma conobbe altre tre edizioni l’ultima delle quali nel 1946, quando ormai la Cooke era passata alla Grubb, Parsons & Co. E’ questo il primo vero manuale sullo star testing, con indicazioni diagnostiche e istruzioni sui possibili interventi da effettuare per ottenere immagini di diffrazione regolari. Mentre i manuali di astronomia pratica che abbiamo visto finora si limitavano a descrizioni verbali, il Taylor arricchisce il suo volume con una tavola fuori testo che permette già una prima grossolana interpretazione delle immagini stellari:

LO SNAP TEST
Abbiamo visto che i vecchi autori attribuivano grande importanza al cosiddetto “snap test”, a proposito del quale Denning scrive: “A well-figured glass ought to come very sharply to a focus. The slightest turn of the adjusting screw should make a sensible difference”: se ciò non avviene, supposto favorevole il seeing, siamo dunque in presenza di qualche problema. Nei casi peggiori, continua Denning, “the blurred images is thought, at the moment of its first perception, to be caused by the object to be out of focus, and the observer vanily endeavours to get a sharper image until he finds the source of error lies elsewhere.”
Tanto per fare un esempio e divertirci con Aberrator, se questo è Marte osservato a fuoco in un riflettore a f/8 con un lambda di sottocorrezione (un telescopio davvero pessimo)

muovendo il tubo fuocheggiatore di mezzo millimetro, che possiamo prendere come lo slightest turn che riusciamo a fare con un fuocheggiatore del XIX secolo senza demoltiplica, l’immagine diventerebbe così

cioé quasi identica, e possiamo immaginare il malcapitato astrofilo mentre smanetta alla ricerca di un fuoco decente laddove in uno strumento perfetto l’immagine a fuoco sarebbe stata:

e quella sfuocata dello stesso mezzo millimetro:

cioé la sensible difference di Denning.
Suiter avverte giustamente di non condannare un telescopio solo sulla base dello snap test e che nell’effettuare questa prova occorre tenere conto del rapporto focale dello strumento in esame, in quanto un f/15 ha una profondità di fuoco, e quindi un intervallo di posizioni del fuocheggiatore entro il quale l’immagine è buona, decisamente superiore a quello di un f/4.
Per esperienza personale devo però dire che non ho mai visto un telescopio che pur non passando lo snap test si sia poi rivelato corretto al limite di diffrazione, di solito un pessimo snap test equivale a una pessima ottica, le eccezioni a questa regola sono più apparenti che reali e dovute solo alle condizioni specifiche in cui il test viene effettuato (turbolenza, transitori termici, ecc.).
ALCUNI TESTI DEL XX SECOLO
Andiamo avanti. Sul celebre testo di Danjon e Couderc, Lunettes et Télescopes (1935, rivisto e ripubblicato nel 1979), altrimenti completissimo e a tutt’oggi un valido riferimento, non ho trovato quasi nulla

e nemmeno sul Texereau (ed. inglese, How to make a telescope, 1951) che menziona lo star test solo di sfuggita, ad esempio quando tratta l’astigmatismo e la collimazione

Chiudo questa rassegna dei testi stranieri citando James Muirden, che molti di noi conoscono per essere stato l’autore di L’astronomia col binocolo, un manualetto che ha avuto parecchia fortuna una trentina d’anni fa.

Muirden ha scritto anche quello che a mio parere è il miglior libro di astronomia pratica mai dato alle stampe, The Amateur Astronomer’s Handbook (Harper & Row, 1983, con successive ristampe) in cui descrive lo star test come segue:
The optical quality of a telescope can most easily be ascertained by comparing the intrafocal and extrafocal images of a star. […] If the mirror is perfect, the disk should appear identical at equal distances inside and outside the focus. […] The disadvantage [of the test] is that it is perhaps too sensitive. Many telescopes perform splendidly even when the expanded images are somewhat anomalous, and it can safely be said that if the disks are “more or less” alike, the telescope is a good one.
TESTI IN LINGUA ITALIANA
Sull’Astronomo dilettante di Paolo Andrenelli (2^ ed. 1977) non c’è praticamente nulla sullo star testing e così pure sugli Appunti di Ottica Astronomica di Luigi Ferioli (1987)

libretto un tempo molto popolare. Ciò rifletteva l’atteggiamento dell’epoca nei confronti dei test strumentali, si assumeva cioè tacitamente che un telescopio commerciale avesse una qualità ottica che ne permettesse comunque l’utilizzo e che i test ottici fossero soprattutto pane per gli autocostruttori che dovevano verificare passo passo il loro lavoro.
Su Conoscere le stelle, di Pierre Kohler (Garzanti – Vallardi, 1978) troviamo quanto segue (pag. 98):
“Gli obiettivi astronomici presentano essenzialmente due difetti, detti “aberrazioni”:
- l’aberrazione cromatica (o cromatismo)
- l’aberrazione di sfericità (o coma) [sic!]
e più oltre
“l’aberrazione di sfericità è meno grave di quella cromatica, perché disturba solo nel caso degli obiettivi di piccolo rapporto f/d, e dà veramente fastidio solo nella fotografia astronomica”.
Non avendo sotto mano l’originale francese non posso dire se queste affermazioni fossero farina del sacco dell’autore o del traduttore, ma essendo quest’ultimo il bravo Piero Bianucci propendo per la prima ipotesi. Riguardo nello specifico lo star testing troviamo a pagina 100 questo schema:

e tanto basti.
Finalmente l’editore Il Castello pubblica Il libro dei telescopi di Walter Ferreri

il primo manuale sul quale noi astrofili abbiamo imparato veramente i concetti basilari sul funzionamento dei nostri strumenti. Pur in un ambito ancora molto “classico”, legato al modo di fare astronomia tipico del dilettante degli anni ’80 del secolo scorso, nel libro c’era veramente di tutto, e come tanti altri astrofili me lo sono letto e riletto decine di volte. Però anche qui lo star testing faceva un po’ la figura di Cenerentola in una trattazione che per il resto era invece esauriente: i disegni delle immagini di diffrazione erano di fatto inutilizzabili ai fini di un’interpretazione sicura di ciò che si vedeva all’oculare e anche la spiegazione che li corredava non era né esauriente né chiara, eccetto per ciò che riguardava l’astigmatismo, e non mancavano le inesattezze, ad esempio quando veniva descritta la distribuzione della luce negli anelli. A seguire, invece, la descrizione dei classici test ottici come il Focault o il Ronchi, e si lasciava perciò il capitolo sull’analisi delle immagini con la sensazione che lo star test servisse a poco o nulla.
Da quanto sopra non si può non trarre l’impressione che di fronte a un telescopio di prestazioni non eccelse l’utilizzatore italiano fosse lasciato senza uno strumento valido di diagnosi che non fosse il rivolgersi a qualche amico molto esperto che nella maggior parte dei casi sarebbe stato anche un costruttore.
Il lettore mi perdonerà se per terminare degnamente questa disamina cito un libriccino che ho scritto insieme ad alcuni amici per le Edizioni Scientifiche Coelum e che aveva lo scopo di “volgarizzare”, come si diceva una volta, lo star testing distillando alcuni insegnamenti fondamentali dal libro di Suiter per renderli accessibili anche a chi non masticava l’inglese.

Il libriccino è ancora reperibile ma nel frattempo il Suiter è giunto alla seconda edizione

e nonostante i difetti di un’esposizione piuttosto infelice e basata esclusivamente su simulazioni al computer – che non rappresentano ciò che realmente si osserva nell’oculare del telescopio ma solo un’idealizzazione – non posso che raccomandarne l’acquisto a tutti coloro per i quali l’inglese non costituisce una barriera linguistica.
E’ nato nel 1964 a Milano dove tuttora vive con la moglie Cecilia e la piccola Tecla Elisabetta. Di professione chimico, si interessa da sempre di osservazioni del Sistema Solare, di stelle variabili e di microscopia naturalistica. Appassionato di ottica in generale e di ottica astronomica in particolare, ha scritto svariati articoli e manuali di prove strumentali per alcune riviste del settore con cui collabora dal 1997. Ha inoltre curato le rubriche dedicate all’osservazione delle stelle doppie e della Luna per le riviste l’Astronomia e Coelum. E’ socio dell’Unione Astrofili Italiani (UAI) di cui è stato consigliere e responsabile della Sezione Luna. Attualmente coordina il programma osservativo del pianeta Venere nell’ambito della Sezione Pianeti. E’ membro della British Astronomical Association (BAA), dell’Association of Lunar and Planetary Observers (ALPO), dell’American Association of Variable Star Observers (AAVSO) e dell’American Geophysical Union (AGU).