I COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA N° 4 = IL VERNANTIN

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GIANNI MERLINI
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I COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA N° 4 = IL VERNANTIN

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I COLTELLI TRADIZIONALI D’ITALIA N°4
IL VERNANTIN
0 i miei vernantin B.jpg
I PIEMONTESI
Dopo due coltelli lombardi parlerò di un coltello piemontese a me particolarmente caro.
Premetto che quattro sono i più rinomati coltelli tradizionali piemontesi: il PIEMONTESE, il FRABUSAN il PURAGNIN, il VERNANTIN. Eccettuato il primo che ha un nome estremamente generico, gli altri prendono il nome dalle località di origine, rispettivamente da Frabosa Soprana, da Peveragno e da Vernante, tutti graziosi paesini in provincia di Cuneo. Solo per il Frabusan ( o più comunemente Frabosan) e per il Vernantin la fama ha superato i confini locali, sia in territorio italiano che nella vicina (circa 30 Km) Francia.
Il Frabusan è un coltello assai “rustico”, con manico cilindrico terminante con un piedino appena accennato, rigorosamente in legno di bosso; caduto per molto tempo nel dimenticatoio, solo di recente è risorto a nuova vita grazie alla riapertura di un laboratorio per la produzione artigianale dei coltelli tipici. Per cronaca va precisato che due sono i modelli delle lame: una panciuta (“allunata”, a scimitarra) di uso generico, e l’altra dritta ( a punta “seguita”, a foglia di salice), usata principalmente per scannare le bestie.
Il Piemontese sembra essere un’arma da duello, generalmente di grandi dimensioni con lama a stilo e manico allungato: questo almeno risulta dalle scarse informazioni che sono riuscito a trovare. Caratteristica del manico l’essere dotato di una fascetta cilindrica piuttosto lunga, dalla quale si diparte l’impugnatura di svariate forme, non sempre univocamente codificate. Ricorda a grandi linee il coltello “catalano” da combattimento, un cui esemplare, giunto fino a noi, risulta essere stato costruito da un coltellinaio vercellese nella prima metà dell’800.
Il Puragnin è come il Frabosan un coltello rustico, dal manico in punta di corno bovino e lama che ricorda quella del bergamasco, ma con minore movimento ed eleganza, tanto che pare una via di mezzo fra una lama seguita ed una a scimitarra.
Il Vernantin invece si presenta come un utensile di rara eleganza, sia nella forma del manico sia nelle due forme della lama, quella classica detta “di vecchio tipo” a scimitarra e quella più moderna “di nuovo tipo” a punta “seguita”.
Il VERMENTIN: STORIA ED ATTUALITA’
Nato a Vernante in terra occitana, intorno al 1400, alla confluenza del Rio Grande con il Torrente Vermegnana, sullo stile di antichi modelli francesi del 1300, il Vernantin è conosciuto (ed imitato) in tutta Italia.
Troviamo prodotto questo coltello sia dai coltellinai artigiani piemontesi sia da quelli di Scarperia, e - su scala “industriale”- anche all’estero. Mi risulta che un certo quantitativo, fatto in Pakistan (?!!) e marcato “Vernante” sia venduto come originale da negozianti non troppo corretti.
Nessun dubbio che vuoi quelli fatti in altre zone del Piemonte, vuoi quelli fatti altrove (Scarperia) mantengono quella cura costruttiva e quella eleganza che contraddistingue l’originale. Certo in considerazione del fatto che, per quanto modesta, prosegue tutt’ora a Vernante la produzione artigianale vanno preferiti, e quindi riconosciuti come “originali”, solo quelli prodotti in loco. E non è difficile, perché solo due coltellinai di Vernante continuano a fabbricare i vernantin: Mario Vallauri , sordomuto, che si firma MARIO e sotto Vernante ( ma fino a qualche anno fa accanto a MARIO aggiungeva una V. ) e Giacomo Vallauri che si firma VALLAURI e sotto VERNANTE. Solamente i coltelli con questi due marchi sono dunque quelli originali fatti a mano. I due Vallauri non sono parenti e fra i due - pare- non scorre buon sangue…; il nipote di Mario, Dario Vallauri sembra che provveda alla rifinitura dei manici per lo zio. Una cosa strana: Mario fa i manici solo in corno bovino, perché sostiene che il bosso non va bene, Giacomo invece li fa solo di bosso, andando a prenderlo a Predleves, e, solo su ordinazione, anche in corno. Tutti e due vendono i loro prodotti presso la loro casa, dove c’è anche il laboratorio, Giacomo Vallauri cede un certo numero alla locale Pro Loco. Pochi esemplari sono in vendita anche presso qualche negoziante della provincia.
IL COLTELLO: IL MANICO
Il manico in legno è ricavato da un unico pezzo di massello, grossolanamente tagliato secondo la forma, scavato longitudinalmente in un solco per alloggiare la lama, e rifinito interamente a mano, prima a raspa e poi a carta vetrata; quello in corno invece viene ottenuto piegando “a libro” una sezione di corno di giusta misura, preventivamente immersa nell’olio per non farla arrostire, e quindi messa sul fuoco per ammorbidirla. Al momento opportuno la piastra viene facilmente piegata in due nel senso della lunghezza e messa in morsa sino al raffreddamento completo. In questa maniera il solco dive si alloggia la lama (chiamato “vagina”) è già sbozzato e il manico in pressa assume anche la caratteristica decisa curva dorsale. Per quanto interessanti non mi dilungherò ancora nella descrizione delle varie fasi di lavorazione e finitura, limitandomi ad aggiungere che, alla fine della lavorazione dell' impugnatura, prima della lucidatura, vengono fatti due fori trasversali: il primo in alto al centro per il perno di rotazione della lama, il secondo in basso verso l’estremità, per “fermare” il corno in posizione definitiva, impedendo un eventuale allargamento; per questo di solito i perni sono inseriti e ribattuti in due “riparelle”( rondelle) di ottone. Se con i manici di corno è certamente necessaria questa operazione, anche in quello di bosso troviamo il perno ribattuto con le riparelle al’estremità del manico, non per un motivo funzionale, ma solo estetico, per mantenere l’uniformità del modello. Il solco longitudinale che si trova nella parte inferiore del manico prosegue per un breve tratto anche in quella dorsale, nella quale , alla fine del solco, è ricavato un piccolo alloggiamento rettangolare.
Il manico, contraddistinto da una decisa curva “ergonomica” nella parte dorsale, è invece quasi rettilineo nella parte bassa, e presenta all’estremità un ringrosso cilindrico più o meno allungato, di sezione quasi ellittica, dove, in posizione chiusa, va a terminare la punta della lama. Solo su richiesta del cliente veniva posto all’estremità del manico un anello per poter assicurare l’utensile mediante una catenella metallica, tipo quella degli orologi a “cipolla”. Generalmente il manico è di maggiori dimensioni nella parte verso la lama, per proseguire assottigliandosi verso il basso fino al ringrosso, per permettere una più comoda presa, all’altezza della unghiatura. In realtà, poiché la lama è volutamente montata in modo da strusciare forzando contro un lato del manico in posizione chiusa, e ciò per impedire in qualche maniera un’apertura accidentale; i vecchi erano soliti battere, con uno o più colpi secchi sul tavolo o comunque su un legno, il ringrosso, così da far affiorare la punta quasi fuori dal solco e più facilmente estrarre la lama.
IL COLTELLO: LA LAMA
Due sono le sagome della lama. Quella più antica, detta “di vecchio tipo” presenta la classica forma a scimitarra, con il dorso dolcemente angolato a un terzo o a metà, proseguendo “allunata” sino alla punta. Sotto il tagliente presenta una pancia decisa terminando verso l’alto nella punta. Generalmente priva di tallone, che può essere solo accennato, la lama presenta le due “pianelle” che giungono sin quasi alla punta: la sezione della lama è rettangolare con cuneo, il taglio liscio a V. Questo tipo di lama è di uso generico per assolvere alle necessità quotidiane ed anche è preferita per i lavori di intaglio su legno (cucchiai, stampi per il burro, scatoline ecc) caratteristici dell’artigianato valligiano della regione, fatti nei momenti di riposo.
La lama detta “di nuovo tipo” è a” foglia di salice”, con punta “seguita”: non presenta pianelle ed è quasi simmetrica (dorso / tagliente) con una lievissima “sfrondatura” verso la punta, che è di poco più alta rispetto alla mezzeria, ricordando quella del coltello da pastore della Val Seriana.( Nella “sfrondatura” la costa, anziché assottigliarsi verso la punta in una curva, come fa il tagliente, diventa rettilinea, per favorire l’azione di penetrazione).
Questo tipo è quello preferito da chi si occupa di bestiame, perché meglio si adatta ad operazioni “chirurgiche”, come aprire ascessi, o forare il ventre di animali affetti da grave meteorismo per la fermentazione eccessiva dell’erba ingerita troppo bagnata.(Nota: i gas prodotti dalla fermentazione gonfiano a tal punto lo stomaco da impedire la respirazione – dilatando il ventre contro i polmoni – e provocando la morte per soffocamento.)
Indipendentemente dalla forma, la lama del vernantin, rigorosamente fatta di acciaio al carbonio, presenta una particolarità: alla estremità del tallone, verso il manico, troviamo un dischetto metallico saldato ortogonalmente sulla costa. Questo dischetto, chiamato “broca” si incastra a lama aperta nell’intaglio rettangolare del dorso del manico, impedendo alla lama stessa di ruotare ulteriormente all’indietro. Inoltre costituisce un fermo naturale, ancorché primitivo, per bloccare la lama in posizione aperta, dato che impugnando il coltello il pollice si posiziona e preme proprio sulla broca. Tale tipo di fermo è di antica provenienza francese: i coltelli “à la jambette”, così chiamati per la forma del manico a “gambetta”, o quelli detti alla “eustache du bois” ( coltellinaio del 1400) ,alla fine del tallone, un prolungamento schiacciato di forma rettangolare abbastanza lungo all’indietro; questa specie di “coda” contrastava con il manico, impedendo alla lama di ruotare ulteriormente. Quest’ultimo sistema di fermo lo troviamo adottato pari pari nei “castrini” di Scarperia, piccoli coltelli a serramanico con lama a forma di bisturi, utilizzati nelle campagne per trasformare il galletto in cappone.
IL VERNANTIN “NON ORIGINALE”
Se è vero che si assiste talvolta ad operazioni commerciali che rasentano la truffa , come quella dei coltelli pachistani marcati”Vernante” e spacciati per originali, occorre però notare che bravi artigiani, sparsi in Piemonte ed anche nel resto d’ Italia, realizzano con cura ed abilità dei VERNANTIN che nulla hanno da invidiare a quelli fatti a Vernante: d’altro canto è un coltello tradizionale, e molti restano affascinati dalle sue linee eleganti, per cui la richiesta è in genere superiore alla limitata produzione locale. Si sa per certo che qualche decennio fa, proprio da Vernante venne richiesto a Scarperia un certo quantitativo di vernantin (non marcati) per sopperire alla crescente domanda del mercato locale. Vi è poi un ‘altra categoria di “artigiani” che producono questo modello: sono i “coltellinai hobbisti”che per passione e divertimento realizzano, quasi sempre “reinterpretando”, i ferri taglienti tradizionali. Questi utilizzano materiali diversi, e più “nobili”, sia per i manici che per le lame, arrivando a realizzazioni che, se pur lontane dagli originali, sono sempre di accuratissima fattura, talvolta abbellite da intagli a lima sul dorso e da incisioni ad acido o a bulino sulle lame. Un esempio è il coltello sotto fotografato, realizzato nel 1999 da un appassionato - GF - in Val Grana (CN) con manico in noce e lama in acciaio 420, incisioni a bulino con motivi floreali di chiara origine occitana.
I VERNANTIN FOTOGRAFATI
Cinque sono i vernantin fotografati, appartenenti alla mia collezione (forse mi piace questo coltello?): tre originali, uno hobbistico ed uno. ..pachistano. Di quello hobbistico ho già parlato, quello pachistano l’ho preso volutamente per mostrarne la grossolanità e la mancanza di cura dei particolari, il piccolo di “vecchio tipo” l’ho comprato a Vernante presso la casa-laboratorio di Mario Vallauri, sordomuto, gli altri due, quello piccolo col manico in bosso e lama di nuovo tipo l’ho comprato presso la Pro Loco di Vernante ed infine quello più grande, con manico in corno bovino e lama di vecchio tipo l’ho trovato in un fondo di magazzino alla fine degli anni’ 60: tutti e due questi ultimi sono stati realizzati da Giacomo Vallauri: il piccolo nel 2007, il grande probabilmente alla fine degli anni ’40- primi anni '50.
Se si confronta il modello pachistano con quello di uguali dimensioni fatto da Mario Vallauri, indipendentemente dalla forma della lama, si nota come quello estero abbia il manico di maggior spessore, il ringrosso all’estremità più lungo ( ha le dimensioni di quello più grande del G.Vallauri), l’incavo per la broca è realizzato tagliando - brutalmente- il dorso del manico alla pari, anziché lavorando di lima per fare un alloggiamento a misura, ed infine la broca non è saldata al di sopra della costa della lama ma si trova in posizione più ribassata rispetto all’andamento della costola stessa. Tutto ciò contribuisce a far perdere quella raffinata eleganza che contraddistingue il modello originale. Devo comunque dire che il negoziante me lo ha venduto per pochi euro ( circa meno di un quarto rispetto al prezzo degli originali di uguale taglia), avvertendomi che comunque proveniva dal Pakistan: “Cosa vuole?, mi ha detto, tanti vogliono il Vernantin e poi non vogliono spendere che pochi spiccioli!”
Per completezza d’informazione riporto i dati relativi al modello più grande in corno bovino: il manico si presenta lucidato, all’estremità di colore nero, andando poi a sfumare in un trasparente grigioverde con marezzature di marrone, i perni non hanno le riparelle d’ottone, ma in quello all’estremità è stato messo un anello a semicerchio per la catenella. La lama in acciaio al carbonio ha un breve tallone che si prolunga sul dorso nelle due pianelle appena accennate; la finitura della lama è satinata, come in tutti gli originali, la broca è lucidata a specchio. Pesa gr 80, misura chiuso mm 132, aperto mm 223, la lama mm 104, spessore massimo al tallone mm 2,09 all’angolo mm1,56, larghezza al tallone mm 22,65 massima all’angolo mm 27,39, la broca ha un diametro di mm 10,6.
Un’ultima nota: quando nei mercati del passato i venditori ambulanti di Frabosa magnificavano i loro prodotti gridando ( in dialetto) “I Frabosan che tagliano!”, quelli di Vernante rispondevano “I Vernantin che bruciano” ad indicare che l’affilatura dei loro prodotti era ineguagliabile. Ed è vero ancora oggi!
16 vernantin con anello al manico con catenella metallica B.jpg
16 vernantin con anello al manico con catenella metallica B.jpg (68.19 KiB) Visto 11120 volte
Qui di seguito il link con tutte le foto (e relative annotazioni) dei Vernantin:
http://postimage.org/gallery/8x90g8s/
Gianni Merlini

Malo malo malo ire, quam mala mala malis malis mandere.
(Preferisco morire d'un brutto male, che mangiare mele cattive con denti guasti)

Mi diletto con: Fujinon Polaris FMTRC SX 7x50, Konus zoom 10-30x50, Bushnell stableview 10x35, Bushnell legend ultra hd 8x42, Nikon HG L 10x25 dcf , Vixen BCF 20x80, Swarovski SLC 15x 56 WB, Lens2Scope, Auriol spottingscope 20 - 60 x60 .......
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