I COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA N° 6 DUE COLTELLI SICILIANI

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GIANNI MERLINI
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I COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA N° 6 DUE COLTELLI SICILIANI

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I COLTELLI TRADIZIONALI D’ITALIA= N°6
DUE COLTELLI SICILIANI:“ A COZZU DI MONACU” E “ U SCANNATURI”

Traduzione: “A NUCA DI FRATE” e “LO SCANNATORE”

Due coltelli per due usi totalmente opposti: l’uno a punta tonda, come la testa rasata di un monaco, l’altro a punta acutissima (seguita) ed affilato quanto un rasoio.
Che nei secoli scorsi fosse naturale, specie nelle classi meno abbienti, risolvere in modo sbrigativo i contrasti personali sfoderando il coltello è risaputo ed ampiamente documentato dai moltissimi reperti conservati nei musei criminali. E l’arma del delitto non era necessariamente uno di quei coltelli a serramanico, lunghi anche 60 centimetri e più, illustrati con stupefacente realismo da Gustavo Dorè nel libro “L’Espagne”. In Spagna, come in Francia ed in Italia, tutti avevano il loro bravo coltello in tasca e non ci pensavano due volte a estrarlo per bucare la pancia al rivale.
Talmente inveterata era questa abitudine, che non si contano le leggi e gli editti per stroncare questa piaga sociale: ma come dice il proverbio “fatta la legge, trovato l’inganno”. Abilissimi coltellinai lavoravano sulle forme delle lame e sulla loro misura e assottigliavano i manici per aumentare la penetrazione, assolutamente nel rispetto delle leggi vigenti. Ne parlerò un poco più diffusamente nell’articolo: Il coltello “cu lu ramu”, anch’esso di origine siciliana. Invano si dettavano norme sulla lunghezza delle lame, si vietava di montare la molla fissa, si pretendeva che il coltello non avesse la punta acuminata, invano, perché nelle mani sbagliate qualunque “arnese” diventava mortale. I severi editti napoleonici vietavano la lama a punta e più tardi la legge Giolitti imponeva la lama non appuntita oltre una certa lunghezza: provatevi a tagliare un filone di pane o meglio una “ruota”da un chilo e mezzo con una lama di cm4 (massimo 6)…non il coltello, ma la”testa” della gente andava cambiata!Quella gente che, priva di cultura, generalmente povera, spesso rifugiata nell’alcol per sfuggire alla misera realtà di una vita precaria e senza speranze, considerava il coltello come lo strumento di affermazione della propria rispettabilità.

IL COLTELLO A COZZU DI MONACU
Ed ecco nascere coltelli con la punta mozzata, come la mozzetta, il rasolino, la guspinesa, e tanti altri a lama tronca: addirittura alcuni portavano inciso sulla lama la dizione “Permesso dalla Legge”. Così, per adeguarsi alle norme, viene fabbricato il serramanico “ a cozzu de monacu”, dalla caratteristica punta arrotondata, non troncata. E’ proprio solo la forma della lama a dare il nome al coltello, realizzato in quasi tutte le parti della Sicilia, senza una specifica codifica del manico. Infatti se ne trovano sia a forma di “stivale”, che a forme più svariate, secondo il gusto del fabbricante o, più verosimilmente, accoppiando alla lama un manico già pronto in bottega.
Non solo se ne trovano di “autoctoni”, veri siciliani, ma tanti anche fatti a Scarperia sotto il nome di “coltello alla favarese” Infatti, nei primi anni del XX secolo un grossista di Favara ne ordinò una discreta partita ai coltellinai di Scarperia, non riuscendo a soddisfare, con la locale produzione, le richieste della clientela. Se consideriamo con attenzione i vari modelli della tradizione siciliana, lunghi,affilati, direi tracotanti, come i “Caltagirone”, i “Salitano”, le “Cuteddine”, in cui si risente fortemente l’influsso delle grandi e terribili“navaje” spagnole, e volgiamo poi l’attenzione al “coltello alla favarese” – mi si perdoni, ma da buon toscano io l’ho sempre chiamato così- con la sua forma dolce e le linee semplici, dobbiamo riconoscere che fa quasi tenerezza.
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COLTELLO “A COZZU DE MONACU” O ALLA FAVARESE

U SCANNATURI
Di ben altro aspetto, e certo per usi meno pacifici, è il secondo coltello trattato in queste note:”U SCANNATURI”. Conosciuto ed apprezzato in Sicilia col nome di “Scannabecchi” o anche “Scannacapri”, veniva fabbricato anche in misure decisamente notevoli, trasformandosi, in mani esperte, in un’arma davvero micidiale, tradendo, così, la sua vocazione d’origine sicuramente agreste. Nella vasta produzione locale di questo modello, fanno spicco quelli fabbricati a Bisacquino in provincia di Palermo, particolarmente curati nell’aspetto del manico.
Contrariamente a quanto visto per il modello precedente la forma del manico e della lama sono ben codificate.
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U SCANNATURI GRANDE
IL MANICO
Il manico, rigorosamente in corno di montone addoppiato, presenta la tipica forma “ a stivale”, caratteristica di Bisacquino. Non che questa forma sia esclusiva di questa località, anzi la troviamo presso molti altri centri di produzione ed in particolare a Scarperia specie nei coltelli “con manico di legno” e in quelli “da donna”; ma quelli realizzati a Bisacquino hanno tutti il calcagno che ricorda una scarpa. Anche gli intagli, presenti sui due lati del manico possono ricordare i legacci di cuoio che fermavano la calzatura al polpaccio, come nei caratteristici calzari degli zampognari. Ancorché rustici ed estremamente semplici, questi intagli servono per una migliore presa del coltello all’atto della funzione richiamata dal nome, e conferiscono una certa eleganza e leggerezza ad una forma sicuramente antica di secoli.
Come si può notare dalle foto, il dorso del manico è praticamente dritta, mentre la parte inferiore, dove si apre il solco per la lama, è leggermente curva; stretto all’estremità(punta della scarpetta si allarga sempre di più verso la lama, restringendosi appena appena all’altezza del perno di rotazione.
Nella parte dell’impugnatura, prossima della lama, troviamo due perni ribattuti (ribattini) direttamente sul corno senza l’ausilio delle riparelle: il primo, più all’estremità, e più in alto rispetto al secondo, è il perno di rotazione della lama. Quello più arretrato e più vicino al dorso è il ribattino di fermo della lama. E’ questo un antico sistema che ritroviamo in Francia già nel XVII secolo nei coltelli cosiddetti “à la capucine” perché la forma del manico ricordava la sagoma di un frate incappucciato.
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COLTELLO”‘A’ LA CAPUCINE”
Questo sistema di fermo è chiamato “a due ribattini” e certamente è quello più semplice e povero, coevo a quello che troviamo nel vernantin, che, come già accennato nell’apposito articolo, imitava il fermo dei coltelli “jambette”.La lama aperta va a fermarsi contro il secondo ribattino, che le impedisce di ribaltarsi all’indietro
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PARTICOLARE DEI DUE RIBATTINI NEL COLTELLO SCANNATURI
Il manico è ottenuto piegando a caldo su se stesso un corno di montone opportunamente tagliato a misura, oliato e messo sulle braci della fucina fintanto che sia ammorbidito, e quindi messo in morsa fino al completo raffreddamento; la fessura fra i due lati, quella che accoglie la lama, viene proseguita, mediante una sega sottile, detta sarracco, anche sul dorso, per un breve tratto, per contenere la costa della lama che poggia sul ribattino.
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PARTICOLARE DEL DORSO DEL MANICO CON LAMA APERTA E FERMATA SU RIBATTINO.
A fine lavorazione, prima del montaggio della lama, il manico dei coltelli più pregiati, veniva immerso in una soluzione sbiancante per schiarire il corno e renderlo di un bianco abbagliante. Mentre quelli destinati ad usi prettamente agricoli erano un poco più rozzi e meno curati, nella produzione di Bisacquino si trovano esemplari particolarmente belli ed eleganti, con manico finemente intagliato, destinati certo ad una clientela più abbiente.
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U SCANNATURI CON MANICO NERO IN CORNO DI MONTONE
Non è raro trovare anche manici, sempre in corno di montone, ma di colore uniformemente nero, vuoi per soddisfare i diversi gusti del cliente, vuoi per seguire una tradizione molto antica, secondo la quale i coltelli dal manico nero avevano virtù terapeutiche.
LA LAMA
La forma della lama è ormai nota, avendola trovata quasi identica nel “coltello da pastore della Val Seriana”: d’altro canto le esigenze sono le medesime e quindi identiche sono le soluzioni del problema: lama sottile, a foglia di salice, senza tallone né pianelle, con sezione a V, dorso lievemente discendente in basso con una leggera curva continua, tagliente liscio con curva appena più pronunciata (panciuta) rispetto al dorso, punta “seguita” finissima,estremamente acuminata. L’acciaio è sempre al carbonio, quasi sicuramente di recupero da vecchie lime o da attrezzi consunti, con finitura satinata. Il taglio a cuneo assicura una perfezione pari a quella dei migliori rasoi ed una durata veramente notevole. In genere la lama è leggermente pendente verso il basso nei modelli non ancora utilizzati, col tempo e l’uso quotidiano tende poi a rialzarsi ponendosi perfettamente in linea col manico
La misura media della lama, oscilla fra i mm 90 e mm 125; nel passato, e per usi “criminali”, poteva arrivare a dimensioni davvero notevoli, fra i 25 ed i 30 centimetri.
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IL COLTELLO DAL VIVO.
Le caratteristiche di seguito esposte si riferiscono all’esemplare sopra fotografato, acquistato a Bisacquino presso un anziano coltellinaio, che - a quanto mi risulta- era restato l’ultimo di una nutrita serie di fabbri che operavano tanti anni fa nel piccolo paese siciliano.Oggi un giovane ha ripreso l’attività del vecchio per fare sopravvivere una secolare tradizione. Purtroppo, come è facile immaginare, la produzione è assolutamente modesta, nonostante una domanda abbastanza elevata anche fuori della terra d’origine: a Firenze, quando va bene, ne arrivano ogni anno una mezza dozzina, solo perché la anziana negoziante ne ordina da tempo immemorabile un quantitativo maggiore, e soprattutto perché, con la scusa delle ferie, li andava a a prendere di persona.Il coltello pesa gr 77, misura chiuso mm 148, aperto mm 264. La lunghezza della lama è mm 118, lo spessore mm 1,71 e diminuisce progressivamente verso la punta; la larghezza della lama è alla base mm 21,50, nel punto più largo mm 21,75 e diminuisce poi progressivamente verso la punta. Il manico è largo all’attaccatura della lama mm 18,55 e diminuisce fino a mm 14,88 all’altezza della scarpetta. Manico in corno chiaro di montone, lama in acciaio al carbonio non inox.
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TRE COLTELLI CON FERMO A DUE RIBATTINI
Gianni Merlini

Malo malo malo ire, quam mala mala malis malis mandere.
(Preferisco morire d'un brutto male, che mangiare mele cattive con denti guasti)

Mi diletto con: Fujinon Polaris FMTRC SX 7x50, Konus zoom 10-30x50, Bushnell stableview 10x35, Bushnell legend ultra hd 8x42, Nikon HG L 10x25 dcf , Vixen BCF 20x80, Swarovski SLC 15x 56 WB, Lens2Scope, Auriol spottingscope 20 - 60 x60 .......
alessio
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Re: I COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA N° 6 DUE COLTELLI SICIL

Messaggio da alessio »

GIANNI MERLINI ha scritto:…non il coltello, ma la”testa” della gente andava cambiata!Quella gente che, priva di cultura, generalmente povera, spesso rifugiata nell’alcol per sfuggire alla misera realtà di una vita precaria e senza speranze, considerava il coltello come lo strumento di affermazione della propria rispettabilità.
Bellissima affermazione Gianni!!!!! :thumbup: :thumbup:
Mi sembra comunque oramai una "piaga"estirpata radicalmente(abbastanza via...)e frequente fino a qualche anno fa',specialmente ricordo di quando andavo a ballare....vedevi certi soggetti(sempre i soliti fra l'altro...)piuttosto che andare a donne preferivano fare rissa e qualche volta tiravano fuori il "ferro"......poveri loro....cosa avranno voluto dimostrarSI?????
Bisogna pero' ricordare che solo grazie alla tv in primis,alla scolarizzazione di massa ed ora a internet che siamo potuti arrivare a far vedere le cose come stavano e a migliorare la testa delle persone......anche quì,la politica e la legge ha fallito,se aspettavamo loro.....campa cavallo!!!!
....il mio vetro preferito??Ovviamente HABICHT 7x42!!!!
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