I COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA n° 7 TRE SICILIANI

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GIANNI MERLINI
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I COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA n° 7 TRE SICILIANI

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TRE COLTELLI “SICILIANI”
IL “RASOLINO”, IL COLTELLO “CU LU RAMU”, IL “SICILIANO”

Premetto subito che nessuno di questi tre, oggetto della presente nota, viene dalla Sicilia: due sono stati fatti a Scarperia ed uno a Frosolone. Non sono quindi “originali”, ed almeno in due casi, sono reinterpretazioni locali di due tipi caratteristici della produzione isolana.
L’unico, forse, che non è una reinterpretazione, ma una copia abbastanza fedele del modello primigenio è il “rasolino”, probabilmente perché, rientrando nei criteri della legge Giolitti, aveva avuto una ampia diffusione al di fuori dei confini dell’isola. Certo non si può dire che gli altri due fossero in regola con le norme all’epoca vigenti. Il coltello “cu lu ramu” venne progettato per meglio infilzare la pancia del rivale, pur mantenendo una lunghezza….quasi legale (!) e il “siciliano” ha la classica forma a “stiletto”, che non promette nulla di buono.
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DALL’ALTO AL BASSO: “SICILIANO” – “CU LU RAMU” – “RASOLINO”
Proprio il “siciliano”, definito “originale” (così è stampato sulla lama), è quello più lontano dalla tradizione siciliana, nella quale non si ravvisa una forma consimile. Quello illustrato è proprio la conferma di come centri di produzione, lontani dai luoghi di origine, cercassero di riprodurre non tanto un certo tipo di coltello, bene individuato nelle sue peculiari caratteristiche, ma di crearne uno che in qualche maniera potesse ricordare quelli originari di una certa zona. Il rischio di questa reinterpretazione consisteva soprattutto nel’utilizzo di forme localmente note - e quindi cristallizzate - che venivano in parte modificate per avvicinarsi a quello che si credeva essere una caratteristica tipica di una certa località o regione.
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“SICILIANO ORIGINALE”STAMPATO SULLA LAMA
Non meraviglia quindi che quello marcato “siciliano originale” di origine frosolonate non sia altro che uno “sfinato”, privo di fascette metalliche, con lama a punta acuta, ferrato in ottone con sottilissime guancette in corno. D’altro canto se pensiamo alle difficili possibilità di comunicazione, anche verbale, nel secolo XIX, fra centri distanti centinaia e centinaia di chilometri, soprattutto in considerazione della modesta (per non dire inesistente) cultura dei fabbri coltellinai, come un artigiano di Frosolone poteva concepire un coltello siciliano? Gli avevano detto che in quello siciliano la lama era lunga, stretta, molto appuntita, che il manico era ferrato ( cioè aveva le piastre metalliche) di solito in ottone, che non erano presenti le fascette metalliche tipiche dello “sfinato” (che lui ben conosceva perché lo fabbricava!), e quindi, scrupolosamente attenendosi alla descrizione, creava questo coltello, e lo chiamava “siciliano originale”. A questo punto entra in gioco la distribuzione, il marketing si direbbe oggi: i grossisti dell’Italia meridionale, che erano soliti approvvigionarsi a Frosolone, per la minore distanza rispetto ad altri centri, come Scarperia e Maniago, distribuivano nella Calabria e in Sicilia questi coltelli, che per vari motivi, di ordine economico e di più facile reperibilità rispetto alla produzione locale, incontravano il favore del pubblico. Ed il cerchio si chiude: se c’è domanda si produce quel tipo di coltello, che, col passare degli anni e dei decenni, diventa “tradizionale”, almeno nella produzione frosolonate!
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SOPRA LO “SFINATO “ SOTTO IL “SICILIANO”
E dalla foto si può notare come dallo sfinato, modello originario (autoctono) di Frosolone si possa passare al “siciliano”. Ma a quali modelli si poteva ispirare questo utensile: due sono i coltelli originari siciliani che in qualche maniera possono aver “generato” questo tipo. Il “Salitano” originario di Salaparuta, ed “ il coltello a molla semplice di Caltagirone”, ambedue dotati di lama lunga, sottile ed altamente acuminata.
Per quanto riguarda la descrizione del “siciliano originale”, non me ne vogliano i lettori, rimando a quella che farò in un prossimo articolo, dello “SFINATO” frosolonate, in considerazione del fatto che i due utensili sono costruttivamente identici, con l’esclusione delle fascette alla sommità del manico, mancanti nel siciliano.
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COLTELLO CU LU RAMU
Altro coltello interessante è quello chiamato “cu lu ramu” (col rame) o più estesamente ”cu lu manicu di ramu”. Il nome deriva dalla particolarità di questo utensile, che ha il manico formato solo da due piastre di ottone, sottili e senza guancette riportate. Lo scopo di questo coltello è assolutamente offensivo: senza arrivare alle misure di alcuni esemplari conservati nei musei criminali di Torino e Palermo ( rispettivamente di cm. 28 e 48), anche un coltello lungo in tutto cm 19 aperto (come quello fotografato), con lama di cm 9, se impugnato “correttamente”, si trasformava in un utensile da punta di cm 14!
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LA” CORRETTA” IMPUGNATURA
Come bene si vede dalla foto il manico, molto sottile, è il prolungamento della lama.
Quelli originari siciliani di epoca meno recente avevano il manico di legno, completamente ricoperto da una sottile lamina di rame o di ottone, abbellita da disegni geometrici particolarmente eleganti; sempre in questi antichi modelli molto spesso la lama era triangolare ed estremamente acuta. In tutti comunque lo spessore del manico era assai modesto per permetterne la penetrazione nella ferita inferta.
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IL COLTELLO VISTO DA SOTTO: NOTARE LA SOTTIGLIEZZA DEL MANICO
Sia a Scarperia che a Frosolone questo modello venne imitato, badando più all’economia costruttiva che alla fedele riproduzione dell’originale: il manico di legno ricoperto di rame fu sostituito da due piastre di ottone contrapposte, contenenti la molla semplice: questo tipo di coltello era abbastanza diffuso oltre che in Sicilia anche in altre parti d’Italia, e specialmente in Sardegna. Da ciò la convenienza di sviluppare una certa produzione di tale modello, che di solito veniva consegnato ai grossisti senza i decori geometrici.
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DISEGNI GEOMETRICI SUL MANICO
Era la distribuzione che poi si incaricava, di solito in loco, di fare incidere sui manici di ottone quei disegni che ricordassero alla clientela il tradizionale coltello cu lu ramu. Particolare del manico è il calcagno formato a cerchio, per accogliere, a coltello chiuso, la punta della lama, similmente a quanto avviene in un altro modello isolano fabbricato a Caltagirone, denominato “lapparedda”.
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IL RASOLINO APERTO
Il “rasolino” fa parte di quella nutrita serie di coltelli a punta mozzata, o arrotondata, di cui era permesso il porto dagli editti napoleonici e più tardi da tutta quella serie di leggi e decreti che cercavano invano di contrastare la cultura del coltello, che ogni anno provocava alcune migliaia di morti e feriti. Coltelli di tale genere li troviamo nella tradizione di molte regioni italiane: la “guspinesa” in Sardegna, il “mozzetto” in Toscana, il “permesso dalla legge” in alta Italia, il coltello “alla favarese” in Sicilia, il modello “a punta tonda” di Frosolone, solo per citarne i più noti. Sono coltelli perlopiù poco aggraziati, almeno per chi non concepisce una lama senza la punta, ma, “facendo di necessità virtù”, ampiamente diffusi fra la popolazione in tutto il secolo XIX, o almeno in quella parte dei cittadini che meno avevano intenzioni criminali. Fra i tanti modelli spicca, per la grazia delle forme e in genere l’accuratezza della costruzione, il “rasolino”, così chiamato perché ricorda l’aspetto del “rasoio a mano libera”. E forse per questo aspetto era il coltello preferito per” sfregiare” la donna traditrice… mentre al rivale, amante di lei, era riservato, in Sicilia, il “Salitano” o il “Caltagirone”.
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RASOLINO CHIUSO
Le linee del rasolino sono senza dubbio assai” moderne” ed eleganti: l’andamento curvo della lama prosegue nel manico ondulato, quasi a formare la sagoma di una elica d’aeroplano.
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PARTICOLARE DELLA LAMA: SULLA COSTOLA I DECORI FATTI A LIMA TONDA
La lama di forma quasi trapezoidale è leggermente curva verso l’alto, sia nel dorso che nel tagliente, taglio liscio ad affilatura concava (proprio come un rasoio), termina con una punta dritta o leggermente curva in avanti, a formare un angolo vivo, molto simile ad un altro coltello tipicamente siciliano, la”birrittedda” (piccolo cappello) che però presenta nel lato in alto, opposto alla punta, un piccolo disco di metallo, ricordando in qualche modo il cappello del prete, da cui il nome. Contrariamente al rasolino la birrittedda ha il tagliente dritto. La costola è generalmente lavorata a lima per impreziosire l’aspetto generale; la lama presenta sia il tallone che le pianelle, almeno nei modelli di più recente realizzazione, e, caratteristica peculiare, ha il filo affilatissimo come quello del rasoio ( in dialetto “rasolu”). La somiglianza con lo strumento del barbiere ha esteso il nome di “coltello a rasoio” in genere tutti i serramanici, sia in Sicilia, che nella Sardegna settentrionale (resolza) ed in quella meridionale (arresoia.)
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PARTICOLARE DELLA COSTOLA
Il manico è realizzato con due piastre giustapposte in corno di bue all’interno delle quali è alloggiata la molla semplice, tenuta in posizione da due ribattini in ferro circondati da piccole rondelle di ottone, incassate nel manico: tale decoro vien detto “a occhio di dado”. La lama è imperniata in un ribattino di maggiori dimensioni, anch’esso inserito in due rondelle d’ottone, non incassate nel manico. L’impugnatura è curva, sia per motivi estetici che ergonomici e si assottiglia
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PARTICOLARE DEL MANICO: SI NOTANO LE RONDELLE INCASSATE E QUELLA MAGGIORE ESTERNA DEL PERNO DELLA LAMA
verso l’estremità: nei modelli più antichi il calcagno era addirittura a punta stondata, arricchita da intarsi. Parte della molla presenta le stesse decorazioni fatte a lima che si trovano sulla costola della lama.
Il modello fotografato proviene da Scarperia e, come ho detto all’inizio non si può definire una reinterpretazione, ma piuttosto il rifacimento, assai fedele, del coltello originario. Se pure in passato almeno fino ai primi anni ‘70 / ’80 del secolo scorso il rasolino non rientrava nella produzione corrente di Scarperia, dagli anni ’90 è divenuto un coltello tradizionalmente realizzato nella cittadina toscana. Certo i vecchi coltellinai hanno ormai chiuso bottega: sono però subentrate al loro posto aziende semi artigianali, che con metodi industriali hanno saputo coniugare la buona manualità dell’artigiano a criteri di produzione industriale, non solo curando la qualità del prodotto ma soprattutto il marketing.
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Gianni Merlini

Malo malo malo ire, quam mala mala malis malis mandere.
(Preferisco morire d'un brutto male, che mangiare mele cattive con denti guasti)

Mi diletto con: Fujinon Polaris FMTRC SX 7x50, Konus zoom 10-30x50, Bushnell stableview 10x35, Bushnell legend ultra hd 8x42, Nikon HG L 10x25 dcf , Vixen BCF 20x80, Swarovski SLC 15x 56 WB, Lens2Scope, Auriol spottingscope 20 - 60 x60 .......
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