I COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA n° 9 I COLTELLI SARDI (II^)

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GIANNI MERLINI
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I COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA n° 9 I COLTELLI SARDI (II^)

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I COLTELLI TRADIZIONALI D’ITALIA = N° 9
I COLTELLI SARDI (Parte II^)
I COLTELLI “SARDI” DI SCARPERIA
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Potrebbe sembrare una iperbole parlare di coltelli “sardi “ di Scarperia, (FI) se da oltre cento anni non venissero là prodotti coltelli fatti ad imitazione di quelli sardi, sia il tipo “vecchia maniera” sia il “tipo pattada”, entrati quindi di diritto nel novero dei coltelli tradizionali.In Sardegna, la non abbondante disponibilità di materia prima (acciaio) ha giustificato la ricerca, presso altri centri continentali, di lame a basso costo, e soprattutto la modesta produzione locale, insufficiente alla pur ampia richiesta di utensili destinati alle quotidiane attività agricole e pastorali, sono alla base di questa produzione toscana, divenuta fiorente, forse per i criteri di azienda semi industriale che possiamo riscontrare a Scarperia, rispetto a quella dei singoli, e perché no, isolati fabbri coltellinai sardi, per tutto il secolo XIX e per oltre metà del successivo.
Infatti, solo negli anni 70-80 del secolo scorso si assiste ad una rinascita di professionalità artigiane, sia sull’isola che in continente, destinate non tanto a rifornire l’attività agricola e pastorale, ma una sempre più ampia collettività di appassionati e di collezionisti, che pretendono, anche a prezzi remunerativi per l‘artigiano, un prodotto di buona-ottima qualità e ben rifinito.
Non è certo in una tale situazione che i coltellinai di Scarperia dell’800 cominciano a produrre coltelli di “tipo sardo” e successivamente quelli di “tipo pattada”: all’epoca la Sardegna aveva bisogno di coltelli a buon mercato, per l’uso quotidiano, sufficientemente standardizzati per misure e qualità.
Distingueremo pertanto in questa recensione i coltelli “di tipo sardo” da quelli “tipo pattada”, diversi per forma e concetto di costruzione, riprendendo la dizione dai cataloghi e documenti dell’epoca.
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I COLTELLI DI TIPO SARDO
Per trovare le prime tracce di questa produzione occorre fare riferimento ai documenti più antichi relativi ai coltelli di Scarperia, e cioè alle cosiddette “Tavole Anonime”, risalenti alla metà dell’800, così chiamate perché costituiscono il più vecchio catalogo di ferri taglienti scarperiesi, senza l’indicazione del produttore, come invece accadrà dall’inizio del ‘900, quando si assiste alla pubblicazione di cataloghi aziendali da parte di Milani, Tonerini, Savi ed altri.
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I disegni riportati in questi cataloghi, almeno in quelli antecedenti al secondo conflitto mondiale, sono bellissime illustrazioni xilografiche, probabilmente realizzate molti anni prima, verso la fine dell’800, e riutilizzate per la compilazione di cataloghi successivi: confronta la stessa pagina nei due cataloghi di R. Milani 1924 e 1930. Dal confronto, non sempre facile, di questi cataloghi, possiamo osservare come, nel tempo, alcuni modelli venissero modificati, o addirittura eliminati, secondo la domanda del mercato.
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5 LE TAVOLE ANONIME FOGLIO XI 2.jpg (74.08 KiB) Visto 9623 volte
Le Tavole Anonime sono un insieme di fogli litografati, non legati fra loro, numerate progressivamente con numeri romani: le prime raffigurano forbici, le ultime presentano ferri taglienti per l’agricoltura o la cucina, ma la maggior parte è dedicata ai coltelli. Ogni figura è contrassegnata con numeri arabi, in scala 1:1, eccettuati i modelli grandi raffigurati in scala 1:2.
Non vi sono commenti o descrizioni dei singoli utensili, solo i disegni (molto belli ed esplicativi) realizzati con la tecnica litografica, ed nei quali il sottile tratteggio fa risaltare la corposità, maggiore o minore dei manici, la loro lucentezza, così come ben evidenzia i piani delle lame. Oltre che come “modelli di bottega”, erano sicuramente destinate ai venditori che raccoglievano e commercializzavano la produzione di quasi tutte le botteghe artigiane.
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Nella tavola XI ai numeri 34, 35 e 36 sono presentati tre coltelli riconducibili a quelli che più tardi verranno denominati “alla sarda”: è impressionante come queste litografie possano descrivere in modo realistico la forma e l’aspetto di questi utensili.
Sono coltelli molto semplici, con il manico in un unico pezzo di corno, muniti di ghiera (o fascetta), contro cui si arresta il movimento di apertura della lama, anche se, molto raramente, qualche esemplare è senza ghiera e presenta i “due ribattini” (come nel siciliano “scannaturi”). La lama, sottile di spessore, è a foglia di mirto, spesso un poco più panciuta rispetto alla impugnatura.
Per tutto il secolo XIX nessuno dei coltelli “alla sarda” presenta né la molla “finta” (arco o anima), né quella fissa.
Sarà solo molto tempo dopo l’invenzione della resolza pattadese, munita di molla finta, che entra in produzione un tipo di coltello diverso nella forma da quello “originale” isolano, ma che viene dotato talvolta di molla finta, e più frequentemente di molla fissa, secondo l’antica e consolidata tradizione di Scarperia: assolutamente nulla a che vedere con il tipico coltello sardo, ma tant'è, nell’immaginario collettivo dei coltellinai scarperiesi viene chiamato parimenti “di tipo sardo”, come testimoniano i cataloghi delle ditte Savi e Milani, databili dopo la fine della prima guerra mondiale, sino alla seconda metà degli anni quaranta.
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E’ una produzione, quella toscana, portata avanti più da medio - piccole botteghe artigiane e dalla Cooperativa dei ferri taglienti di Scarperia, che da aziende semiindustriali: infatti non se ne trova traccia nei cataloghi della ditta Tonerini.

IL TIPO SARDO "VECCHIA MANIERA"
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Il tipo più semplice, quello col manico in un unico pezzo, - di certo molto più simile ai coltelli realizzati in Sardegna – è chiaramente destinato all’attività agricola e pastorale, generalmente poco rifinito, con lama in acciaio al carbonio. Come ben si può vedere dalle fotografie delle Tavole anonime e da quelle dei Cataloghi di Savi e di Milani alcuni particolari, sia nei manici sia nelle lame differiscono dal modello primigenio (confronta i coltelli di Malacri fotografati in “ I coltelli sardi, parte I^"). Questa difformità è pure riconducibile all’estro personale di ogni singolo coltellinaio, ai materiali usati, ed anche per aderire alle richieste o al gusto di una clientela che non era strettamente “isolana”; tanto è vero che la produzione di questo tipo di coltello continuerà ancora per almeno un decennio successivo alla fine della seconda guerra mondiale.
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La prima differenza immediatamente riscontrabile consiste nel materiale della fascetta, in ottone per i coltelli costruiti nell’isola, perlopiù in ferro (acciaio) quelli realizzati a Scarperia. Anche nei materiali utilizzati per i manici notiamo che in Toscana viene per lo più usato il corno di montone chiaro (color miele) o anche di capra, ma non mancano quelli di bue, sempre scelto di colore chiaro, simile a quello del montone. La lama, priva di tallone e pianelle è in genere un poco più panciuta dell’originale, ha comunque una linea piacevole, e si dimostra funzionale per l’attività dei pastori e degli agricoltori. Il calcagno del manico è invece abbastanza diverso dal modello “vecchia maniera”. Sin dai tempi delle Tavole Anonime il manico termina in basso con una specie di tondino (ricciolo) che conferisce all’utensile una linea particolarmente aggraziata.
In effetti, specie nella produzione più vecchia, questi coltelli risultano abbastanza eleganti e piacevoli alla vista ed al tatto, specie quelli con il manico grezzo, non sottoposto cioè a lucidatura.
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12 VECCHIA MANIERA NOTA MANICO RUGOSO DEL PRIMO.jpg (34.54 KiB) Visto 9623 volte
Di questo tipo sono riuscito a trovare due esemplari, il primo realizzato dalla ditta Bartolini ha il manico in corno di bovino, color miele, lucidato, lama ( poco panciuta) a foglia di mirto, in acciaio al carbonio. Piacevole al tatto ed assai affilato, misura aperto poco più di cm 16.
Il secondo, di poco più grande, misura aperto cm 19; ha la lama più panciuta ed il manico in corno di capra, lasciato grezzo, sia per motivi economici che per conferire una migliore presa anche con mani bagnate. Purtroppo, come sovente accade a coltelli realizzati da artigiani non”famosi” o da apprendisti, sulla lama non è riportato né il nome né il simbolo (oggi si direbbe il logo) del coltellinaio.
Apro una parentesi a tale proposito: l’uso di porre dei “marchi” sulle lame del coltello, per indicarne la provenienza è databile fino dai primi decenni del 1600. Infatti, ne troviamo traccia negli “Statuti dell’Arte dei Coltellinai di Scarperia”, dove accanto al nome dell’artigiano troviamo il relativo marchio. Certamente all’epoca era più facile punzonare la lama con un simbolo che scrivere il proprio nome; ci troviamo purtroppo in una grave situazione di analfabetismo, più o meno diffusa negli strati più modesti della popolazione, almeno fin quasi alla metà del ‘900, come mi testimoniava, qualche anno, fa un vecchio coltellinaio di Scarperia: “E un sapevano scrivere, e poho leggere. Icchè si vole, e mettevano un punzone e levati!”.
La pratica di marchiare le lame ebbe alterne vicende, sia per motivi di prudenza ( si punivano, infatti, anche i fabbricanti dei coltelli, non solo chi li usava per delinquere) che per “ignoranza”. Verso la metà dell’800 rinasce questa pratica, non proprio diffusa generalmente, sino ad arrivare ai nostri giorni, ove invece il maestro artigiano pone il proprio marchio per distinguere ed evidenziare il proprio lavoro.
Sempre fra i coltelli di tipo sardo di Scarperia troviamo esemplari con il manico identico al modello precedente, ma con la lama mozza, a chiaro ricordo della“guspinesa": se non fosse per le differenze sopra indicate, si potrebbe proprio affermare che tale utensile sia di provenienza isolana.
Un tipo del tutto diverso, annoverato nei cataloghi sempre sotto la dicitura “alla sarda” o anche “pattada” è quello fotografato, che però no ha riscontro nella tipologia classica dei coltelli “originali”.
13 VECCHIA MANIERA O PATTADA DI FANTASIA.jpg
13 VECCHIA MANIERA O PATTADA DI FANTASIA.jpg (24.84 KiB) Visto 9623 volte
Realizzato nella tipica costruzione di Scarperia presenta il manico (non ferrato) in corno bovino, due fascette di ottone, la molla fissa ed una lama panciuta, poco slanciata, priva di pianelle ma dotata di tallone, marcata G.MILANI SCARPERIA. Il manico, dritto al dorso, ma convesso in basso, termina al tallone con una specie di scarpetta “abbellita” di intagli su ambo i lati.
14 DORSO CON MOLLA FISSA GUANCE IN BOVINO SEMIFASCETTE OTTONE.jpg
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Una reinterpretazione questa che forse è il tratto congiungente fra l’originale pattada sardo ( forse visto o solo raccontato) e le “copie” fatte successivamente, che in qualche maniera si avvicinano quasi fedelmente al ben più famoso coltello isolano.

IL TIPO PATTADA
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Ed arriviamo così ai “pattada” autentici made in Scarperia! Nel rimandare al prossimo articolo la descrizione dettagliata della vera resolza pattadese, si esaminano ora quei coltelli realizzati in Toscana e destinati soprattutto ai mercati e mercatini turistici sardi.
Come già accennato buona parte della produzione di lame per le pattadesi non artigianali provengono proprio da Scarperia, e, senza offesa per nessuno, fino agli anni 80 del passato secolo i coltelli sardi montavano lame fatte in continente, di costo nettamente inferiore per il tipo di produzione industriale e di maggiore uniformità per materiali usati e dimensioni.
Ma accanto alle lame, spesso marcate con nomi “ di fantasia” ( come: Pattada, Pattadese, Rujo, Piras ecc) di chiaro sapore isolano, venivano realizzati più o meno fedelmente coltelli che potevano ingannare l’occhio del turista meno esperto.
Come si è visto nelle immagini sopra riportate i più vecchi cataloghi riuniscono sotto un'unica denominazione di “coltelli tipo sardo” sia quelli fatti alla “vecchia maniera” sia il tipo pattada;dopo la seconda guerra mondiale i primi tendono a scomparire per lasciar posto ai secondi, anche perché di più facile costruzione per una azienda ormai improntata a lavorazioni semiindustriali, con una produzione in serie sia per quanto riguarda il manico (in due pezzi) sia per la lavorazione della lama, quasi tutta effettuata con le macchine. Se da un lato la produzione di Scarperia si è incamminata su binari paralleli, cioè non proprio divergenti da quella che era la produzione artigiana sarda, dall’altro le “reinterpretazioni “ e le varianti per forme e materiali sono tante e non certo tutte accettabili.
Alcuni di questi coltelli erano copie ben fatte, a regola d’arte, ma pur sempre commerciali e di medio-bassa qualità, ma altri esemplari gridano vendetta al Cielo, per la tecnica costruttiva ed i materiali usati!
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Uno di questi ultimi è quello fotografato, marcato PILU.S e sotto T.PATTADA, con lama dotata di tallone, senza pianelle, con la smentatura appena accennata sulla costa, ma in misura minore di quanto si trova nel modello originale.
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Dove proprio si rasenta l’obbrobrio e la mancanza di ogni criterio è nel manico. Come vedremo meglio nella terza parte, la resolza pattadese ha il manico realizzato con due piastre di corno ( di montone, di muflone, ed anche bovino) unite fra loro da una lamina d’acciaio (arco o molla finta), rinforzate in alto da una unica fascetta metallica, praticamente cilindrica, sulla quale è fissato il perno della molla.
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Orbene il coltello, che ora vediamo, è invece un coltello “ferrato”, con le guance di ottone che, in una unica fusione, in alto presentano le semifascette (false), ed al calcagno due ringrossi, ad imitazione del calcagno della pattada.
20  DORSO = MOLLA FISSA E  FASCE  IN OTTONE.jpg
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Fra le fascette ed i ringrossi sono state fissate due piastre di corno (?) grezzo di un certo spessore e di forma piatta, laddove il manico della pattadese presenta una sezione quasi circolare ed uno spigolo vivo fra le parti laterali dell’impugnatura ed il solco che accoglie la lama.
Dulcis in fundo non poteva mancare la molla fissa tradizionale di Scarperia! Quello della molla fissa era proprio una idea FISSA dei coltellinai scarperiesi. Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo.
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21 PATTADESE MANICO RESINA E MANICO OLIVO.jpg (43.34 KiB) Visto 9623 volte
Molto più simili al modello originale sono invece questi altri due coltelli, certamente provenienti da Scarperia, il primo con il manico in resina, marcato RUJU sul tallone (ma in maniera quasi illeggibile) ed il secondo, con manico (probabilmente) di olivo, marcato sul tallone a sinistra “Danilo Casu - Aritzo” ed a destra con il contorno della Sardegna ed al centro del disegno un puntino col nome della città. Anche se sugli elenchi telefonici di Aritzo (NU) non risulta alcun Danilo Casu, pare, controllando sul web, che ad Aritzo ci sia un omonimo bravo pasticcere cioccolataio, comunque niente a che vedere con un maestro coltellinaio.
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Per dovere di cronaca aggiungo che il coltello con il manico in olivo presenta la fascetta in ottone decorata ( a macchina) con due linee sinusoidali e che sul retro della stessa è presente la tacca di blocco della lama. Il manico è fermato sull’arco mediante tre ribattini di ottone ( nella pattada classica sono almeno cinque, ed anche più per i modelli maggiori), mentre il perno di rotazione della lama è in acciaio. La forma della lama corrisponde all’originale pattadese.
Effettivamente, se non avessero origini toscane, questi ultimi due potrebbero passare quasi per originali: sappiamo però che resolze pattadesi col manico di resina erano, e forse lo sono ancora oggi, “esportate” in Sardegna per essere vendute a bassissimo costo, per l’originario uso agricolo; la linea e la maggior cura nella realizzazione del secondo farebbero presumere come destinazione finale, sull’isola, uno di quei tanti negozietti di souvenir, sparsi in ogni paesino, della costa e dell’interno.
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Se per oltre un secolo e mezzo a Scarperia sono stati fatti coltelli ad imitazione della produzione sarda, occorre riconoscere che è giusto conferire a questi il titolo di “tradizionali”, anche perché nonostante tutto, sia a Maniago che a Frosolone venivano prodotti utensili ad imitazione di quelli “originali” di altre regioni. La “rivoluzione” avvenuta nel modo dei maestri artigiani, dopo gli anni 80, ha per fortuna portato alla luce un grande numero di coltellinai, la cui fama si è estesa oltre i confini della Sardegna, ed in molti casi a livello internazionale.
Proprio per la presenza della elevata bravura degli artigiani sardi, che realizzano uno per uno i loro lavori, anche le migliori aziende di Scarperia hanno cominciato a produrre coltelli molto più aderenti a quelli originali sia nei materiali che nelle forme della lama e del manico: ancorché si tratti di una produzione di serie, questi coltelli mostrano una indubbia qualità di lavorazione. La produzione di Scarperia ha almeno avuto il pregio di traghettare tanti modelli da un passato senza prospettive ad una, quantomeno più positiva, realtà dei nostri giorni.
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Gianni Merlini

Malo malo malo ire, quam mala mala malis malis mandere.
(Preferisco morire d'un brutto male, che mangiare mele cattive con denti guasti)

Mi diletto con: Fujinon Polaris FMTRC SX 7x50, Konus zoom 10-30x50, Bushnell stableview 10x35, Bushnell legend ultra hd 8x42, Nikon HG L 10x25 dcf , Vixen BCF 20x80, Swarovski SLC 15x 56 WB, Lens2Scope, Auriol spottingscope 20 - 60 x60 .......
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