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Omaggio al Cavento e ai ghiacciai che se ne vanno.

Inviato: 20/08/2012, 23:17
da Marzan
Fine settimana di montagna con obiettivo la cima del Corno di Cavento, nel gruppo dell’Adamello, cima contesa tra Italiani e Jaeger austriaci nello scenario alpino che ha segnato l’epopea di una nazione, teatro di cruente battaglie. Si parte dalla Val di Genova, che si stacca da Pinzolo (TN), con ingresso nella laterale e selvaggia Val di Lares a 1.100 m.
L’approccio è “integralista”: tenda e sacco a pelo, oltre alla necessaria e completa dotazione alpinistica, per un bivacco in riva al Lago del Lares a 2.650 m. e successiva salita per l’omonimo ghiacciaio fino alla cima del Cavento a 3.405 m.. Non siamo più ragazzi, anzi, ma lo spirito è quello dei vent’anni.
Carichi di zaini “sega spalle” che tirano giù, saliamo con passo cadenzato nel bosco di larici (da cui il nome alla valle) e faggi, accompagnati dal torrente che produce alcuni salti fragorosi e potenti: inizia lo spettacolo.
Pausa dopo un paio d’ore alla Malga Lares, opportuno punto di appoggio a 1.850 m. con annesso bivacco e di nuovo in marcia per la meta della prima giornata. Arriviamo a sera, dopo 6 ore di marcia, in riva al lago. La corona che cinge il ghiacciaio è grandiosa: Carè Alto, Corno di Cavento, Crozzon di Lares raccolgono ciò che rimane. Venni qui la prima volta nel 1997 e porto nello zaino una foto di allora: la differenza, ictu oculi, è evidentissima: il fronte glaciale non solo è arretrato di almeno 150 metri, ma è l’assotigliamento dello spessore a sbalordire; la superficie è almeno 50 metri più bassa, alcune lingue di ghiaccio ridotte all’osso, molte rocce affioranti che accelerano il processo di fusione.
Il Lares oggi è un gigante ferito a morte, vittima dei cambiamenti climatici e dell’effetto serra. Qui si tocca con mano che l’acqua è un bene “finito”, non un fiotto a comando di rubinetto da aprire e chiudere ad libitum , con un gesto meccanico e inconsapevole.
Monto la tenda, mangio con i miei due amici, con il fedele “piccolo di famiglia”, lo Zeiss Classic 10x25, mi godo il tramonto del sole sul Brenta in un cangiante succedersi cromatico dall’arancione, al violetto, al grigio della silhouette della splendida catena dolomitica. Un ultimo sguardo alla via di salita dell’indomani: il ghiacciaio è molto aperto, con numerosi crepacci, non sarà una passeggiata.
E’ ormai buio, ma ci sono ancora 11 gradi! Mi accingo a coricarmi; la quota e l’oggettiva novità del giaciglio mi fanno girare e rigirare, ma alla fine Morfeo mi accoglie.
L’alba è una cascata di oro puro sulle rocce granitiche con riflessi aurei nelle acque del lago. Resto con lo stupore innocente di un bambino a guardare le linea di luce che avanza e il giorno che prende vigore. Il silenzio è rotto solo da un improvviso frullio d’ali di tre pernici bianche (ora con livrea estiva, quindi più grigie che altro, con alcune striature bianche), che spiccano il volo da una roccia non distante dalla mia tenda.
Partiamo e in breve tempo raggiungiamo la crepaccia terminale; attrezzati come si deve iniziamo a salire la china glaciale. Le conseguenze del disastro ambientale che i ghiacciai stanno subendo si presenta davanti ai nostri occhi con uno scenario da Patagonia; il ghiacciaio presenta in un punto, per una larghezza di 50 metri, una frattura semicircolare alta non meno di 30 metri, alla cui base si è formato uno specchio d’acqua ove vagano piccoli e grandi blocchi di ghiaccio, alimentati da seracchi che di tanto in tanto cadono. Una sorta di “Petito Moreno” in scala ridotta, il Lares che presenta la sua “carne viva” verde -azzurra, che perde pezzi di se stesso nella lenta e inarrestabile corsa verso la disgregazione.
La progressione su ghiaccio offre a cielo aperto il repertorio dei più svariati residuati bellici: bombe, granate, filo spinato, cartucciere, i simboli di una guerra disperata e combattuta contro le armi nemiche e contro un nemico comune: il grande freddo di quei luoghi così inospitali per il genere umano.
Dopo tre ore giungiamo alla base rocciosa della sommità, in cresta: lo sguardo spazia dal Bernina alla severa parete Sud della Marmolada; c’è mezzo arco alpino da osservare, ma prima di raggiungere la vetta ci imbattiamo in un volontario SAT che presidia la caverna scavata nella roccia dagli austriaci, recentemente scoperta per il concomitante ritiro dei ghiacci. Entriamo e mi fa rabbrividire il pensiero che 40 persone, così ci dice la guida, vivessero in uno spazio di 20 metri per tre in quelle condizioni. Il Cavento è veramente un museo della Grande Guerra a cielo aperto. I nostri Alpini dovevano veramente essere animati da valori che neppure lontanamente mi pare di poter riscontrare nell’odierna società, così avviluppata nell’individualismo dominante.
Ringraziamo la guida SAT, percorriamo l’aerea ferratina che porta in vetta e raggiungiamo la croce: due elmetti, uno italiano e uno austriaco sono uniti da filo spinato, nell’ultimo abbraccio che lascia spazio solo al cielo. Suono la campana ricavata da un bossolo di vetta, mi congratulo con gli amici e mi allontano alcuni metri per vivere in solitaria l’emozione che ogni volta provo al cospetto dell’immenso spettacolo della natura. Porto lo Zeiss agli occhi e passo in rassegna le circostanti cime. Altre cordate hanno approfittato della splendida giornata; le scorgo nitidamente in Presanella, di ritorno dal Carè Alto, in arrivo sull’Adamello, guardo dall’alto lo scintillio del nevaio sommitale di Cima Tosa , nel Brenta; 1500 metri più in basso, a precipizio, scorre festoso il Chiese bambino che porta il suo nastro lucente a formare il lago di Malga Bissina, cinto dall’omonima diga.
Per me si chiude un ciclo: il Cavento è l’ultima cima del gruppo che non avevo salito, il palcoscenico di scontri cruenti e di cronache di soldati di cui avevo letto nei libri; desideravo raggiungerla dal Lares, da questo ghiacciaio che ho voluto vedere ancora una volta prima del commiato, come un vecchio amico.

P.S: mi scuso per la lunghezza del racconto e se mi sono lasciato trascinare dal pathos della narrazione, ma la sensibilità e il garbo di coloro che frequentano questo forum mi sembrava potessero indulgere.

Re: Omaggio al Cavento e ai ghiacciai che se ne vanno.

Inviato: 20/08/2012, 23:30
da Diogene
Grazie, ci hai portati in un posto meraviglioso a condividere le tue emozioni. Chi ha davvero qualcosa da dire non si deve scusare se prende lo spazio necessario a farlo. A presto.

Re: Omaggio al Cavento e ai ghiacciai che se ne vanno.

Inviato: 21/08/2012, 1:03
da Enotria
Marzan ha scritto: P.S: mi scuso per la lunghezza del racconto e se mi sono lasciato trascinare dal pathos della narrazione, ma la sensibilità e il garbo di coloro che frequentano questo forum mi sembrava potessero indulgere.
Non sei certo tu a doverti scusare, ma noi a ringraziarti per la tua bellissima descrizione.

Peccato solo che non hai corredato il racconto con delle foto, avrebbero completato degnamente la descrizione del tuo viaggio.

Re: Omaggio al Cavento e ai ghiacciai che se ne vanno.

Inviato: 21/08/2012, 6:04
da CARLO ROSSI
Mi unisco al coro dei ringraziamenti.

Sublime.
ancora
ancora
ancora

carlo

Re: Omaggio al Cavento e ai ghiacciai che se ne vanno.

Inviato: 21/08/2012, 6:16
da Born to... Zeiss
La narrazione e' bellissima. I posti li conosco bene perche' sono le valli delle mie vacanze montane quando ero bambino, con i miei nonni ed i miei genitori...quanti ricordi...
Grazie Marzan!!! ;)

Re: Omaggio al Cavento e ai ghiacciai che se ne vanno.

Inviato: 21/08/2012, 8:32
da piergiovanni
grazie mille, eccellente racconto!!!
Pier

Re: Omaggio al Cavento e ai ghiacciai che se ne vanno.

Inviato: 08/09/2012, 15:16
da abramo giusto
Questo racconto mi era scappato !!
se non tornavo indietro a vedere i vecchi argomenti me lo sarei perso e sarebbe stato un vero peccato ...
Un bravo all'autore
Abramo