E se un Apocromatico......
Inviato: 05/09/2019, 14:36
Buongiorno a tutti/e,
Venerdì sera è salito in quel di Monfestino il caro Maurizio Forghieri, portando con se' il suo Tripletto a contatto da 155 mm ad f7.
Maurizio abita a meno di un'ora dall'Osservatorio di Achropolis, quindi l'incontro di pochi giorni fa è stato l'apripista di una serie di osservazioni che abbiamo intenzione di condurre assieme nei mesi autunnali venturi il cui scopo sarà Osservare le superfici dei Pianeti e della Luna mettendo una a fianco dell'altra - letteralmente - sul campo ottiche a rifrazione Apocromatiche e ottiche Acromatiche a lungo fuoco.
Conditio sine qua non : La comprovata qualità delle summenzionate, Apo o Achro che siano.
Troppo spesso si legge infatti di verdetti nei confronti dei rifrattori acromatici definiti "acromaticoni" "cinesoni" "tuboni" con un'accezione vezzeggiativa se non spregiativa, come se le "cenerentole" acromatiche giocoforza debbano essere un gradino sotto la qualità dei cugini apocromatici semper et ubique.
I test che abbiamo intenzione di condurre vedranno sempre in campo a fianco di ( veri )Apo rifrattori lunghi con doppietti molto ben lavorati, intubati propriamente e solidamente con massicci focatori da 3 e 4", dotati di ottiche ottimizzate per l'osservazione planetaria, correzione CdE,CeF, FeD, a seconda dell'oggetto osservato.
Il tripletto di Maurizio, che assieme a Piergiovanni e Federico abbiamo simpaticamente soprannominato "spaziato ad incenso", a causa della qualità elevata della lavorazione e la sopraffina superlucidatura delle superfici dei vetri è stato stazionato a fianco del 250 f11.5 R 30 Istar diaframmato a 150 che si trovava ad operare in tal maniera ad f 18.
Finemente intubato in un OTA intelligentemente sovradimensionato di 180 mm di diamtero di color bianco puro, è equipaggiato con un ormai introvabile granitico focheggiatore Baader da 3", indispensabile quando ci si trova a focheggiare ad f6-7.
In questi casi la lunga focale degli acromatici - quasi tre volte quella del tripletto - unita alla qualità di lavorazione dei vetri, dovrebbe essere il turbo in grado di permettergli di stare col fiato sul collo dell'Apo, il quale in linea teorica ha tutte le carte in regola per essere IL rifrattore planetario senza tanti fronzoli.
Ecco ordunque i due contendenti : Acromatico correzione FeD 150-2750 mm vs Tripletto in fpl53 a contatto in olio 155-1080.
Lo Star Test del 250 diaframmato a 150 mm è stato definito "eccellente" dall'amico Lattanzi. Sfuocando le immagini in Intra ed Extra focale si palesa praticamente nessuna alterazione delle due figure e un'ottima pulizia d'immagine con anelli molto netti, centriche perfettamente allineate e nessuna luce diffusa a significazione di un ottimo contenimento dell'aberrazione sferica; il punto di fuoco è assolutamente univoco e la cosa è bene evidenziata dallo snap test . Parimenti non è presente nessuna aberrazione extra-assiale come l'astigmatismo.
La correzione di quest'obiettivo è un' atipica FeD o D-f che dir si voglia, e nonostante la letteratura riporti che lo shifting prediletto degli osservatori planetari del passato fosse sempre stato il CdE - il Pianeta più studiato nell'era pre-sonde era principalmente Marte - e tempo addietro fossero sorte su Cloudynights selvagge discussioni circa il fatto che questo tipo di correzione non possa essere sulla carta capace di sfoderare buone prestazioni planetarie, da quanto si può rilevare da Monfestino pare proprio sia vero il contrario:
Dopo un'Estate passata ad osservare con il 250 R30 FeD sembra proprio avesse ragione Raffaello quando scriveva che
"Se consideriamo le curve di sensibilità dell’occhio in visione fotopica e scotopica vediamo che la correzione in grado di offrire in visuale le prestazioni complessivamente migliori sarebbe la d-F."
Per certi versi e su certi target planetari essa sembra essere addirittura migliore della CeF ( Verne Istar 220 f 15 ) , mi riferisco ad esempio alla capacità di cogliere le tonalità e i dettagli sui pennacchi e festoni gioviani.
Sarà altresì interessante vedere come si comprterà questo rifrattore, meglio corretto nel blu, su Venere.
La prima cosa che è balzata all'occhio è stato l'ottimo contenimento dell'aberrazione cromatica dell' R30, perlomeno rispetto a quanto ci si aspetterebbe da un "cenerentolo" acromatico:
Lavorando ad f 18 godeva certamente del "turbo" citato poc'anzi; i bordi di Giove nettissimi, come incisi col bulino, sfondo cielo nero come la pece, nessun tipo di "nebbiolina" attorno al disco del Pianeta, caratteristica degli acromatici a corta focale non ottimanente lavorati: Il Pianeta pareva galleggiare nell'infinito,immobile, marmoreo, tridimensionale.
L'aberrazione cromatica in questo caso non è assolutamente disturbante, si palesa fattualmente come una leggerissima e tenue sfumatura magenta ( Fed corrected ), crimson, all' *interno* del disco planetario, assolutamente non intorno al medesimo, perlomeno col diframma da 150 mm ; nesssuno "spettro" da cui doversi guardare insomma, semmai una caratteristica peculiare a questo specifico shifting cromatico, che dona al Pianeta un' accezione molto particolare, e fra l'altro molto "gioviana".
Ovviamente non può esser tutto rose e fiori: un 6" raggiunge la cosiddetta apocromaticità strumentale ad f 37 circa mentre qui siamo ad f 18 ed ecco che il tripletto in questo ambito è palese sia in grado di raggiungere un risultato migliore:
Nonostante la cromatica nell'f 18 non sia assolutamente invalidante,essa si traduce fattualmente nell'incapacità di leggere correttamente alcune sfumature di colori e features sul pianeta, che si presentava nondimeno traboccante nell'acromatico di dettagli, ovali, tacche, pennacchi: Sembra come che l'acromatico sia in grado di coglier, escludendo le tenui sfumature di tonalità, tutte le features presenti nell'apocromatico.
Certamente , dato che il seeing non era dei migliori ( III sulla scala Antoniadi ) credo sia saggio rimandare conclusioni su questo punto ad un'osservazione sotto un buon cielo fermo, il tripletto è più delicato per quanto concerne la capacità di lettura dei tenui dettagli planetari attraverso la turbolenza ed ha necessità di più tempo per ambientarsi: Parimenti so per esperienza che anche il lungo R30 è in grado di sfoderare prestazioni migliori quando il seeing lo concede.
Nel tripletto 155 f 7 a contatto dal punto di vista della correzione cromatica e della capacità di leggere i dettagli Giove sembra una fotografia:
L'ottima lavorazione dei vetri e la certosina superlucidatura delle superfici si traduce in un'immagine " da copertina" del gigante gassoso allorquando il Seeing lo concede :
L'accezione lievemente "rosè" dell'acromatico lascia spazio nel tripletto ad un Pianeta con tutti i colori al loro posto, la NEB amaranto ben staccata dalla Zona Equatoriale ricca di features e trame, SEB ben più chiara. Fondo scuro nerissimo, nitidezza ai massimi livelli. Da notare peraltro la maggior luminosità del tripletto rispetto al doppietto, davvero evidente, da imputare sicuramente alla spaziatura ad olio del rifrattore di Maurizio più che ai 5 mm che separavano il diaframma di 150 mm del Prometeo dai 155 del tripletto. I riflessi interni vengono abbattuti per merito dell'olio a immersione.
L'immagine è sfavillante, accesa, splendente, a tratti vibrante, laddove nel Prometeo diaframmato è chiaramente più cupa e forse un pelo più calma.
Rimando alla spiegazione tecnica accurata di Maurizio a riguardo alla maggior luminosità conferita dalla spaziatura ad olio:
http://www.northek.it/moduli/modDettaglio.cfm?id=149
Probabilmente la mezz'ora di attesa forzata che nella prima parte della serata ci ha obbligato ad aspettare che le nubi si diradassero - attesa resa piacevole dagli aneddoti raccontati da Maurizio circa le avventure del papà di sua moglie, il mitico Vittorio Rustichelli, pioniere dell'atrofilia italiana - ha permesso al Tripletto di acclimatarsi definitivamente e di poter performare al meglio.
L'immagine nel lungo fuoco, di contro, era apprezzabilmente tridimensionale, la profondità di fuoco ad f18 consente, una volta raggiunta la perfetta messa a fuoco, di non dover focheggiare in continuazione per quasi tutto il resto della serata, a tutto vantaggio del relax osservativo: La maggiore insensibilità al seeing del lungo R30 si è palesata come un' assai minore necessità di dover rifocheggiare in seguito sia alle variazioni di temperatura che alle oscillazioni atmosferiche ed in un 'immagine più "calma" e ferma, seppur più buia.
Migliore peraltro la resa degli oculari dovuta all'angolo del cono di luce e indubbio il maggior comfort di osservazione dovuto all'utilizzo di oculari di focale più lunga - 180 x erano forniti nell' f 18 da coppia di ortoscopici Zeiss CZJ da 16 mm, nell'f 7 da coppia di ortoscopici Takahashi Abbe da 6 mm.
Se dovessi racchiudere con una aggettivo l'osservazione e la ricerca di dettagli al limite della visibilità in un 150 mm f 18 la definirei "distensiva".
La trasparenza era molto buona in entrambi i rifrattori:
Probabilmente il Verne ( 220 f 15 nativo ), umile Fraunhofer, grazie ai due soli elementi ottici di minor spessore a causa della lunga focale, avrebbe regalato qualcosa in più a questo riguardo rispetto al Prometeo, che con i suoi giganteschi (16 Kg ) e spessi vetri - quasi 8 cm ! - potrebbe avvicinarsi concettualmente alle prestazioni dello spesso e pesante monoblocco di un tripletto il quale, possedendo un rapporto focale più spinto, è formato da più elementi e di spessore maggiore.
Quest' Estate ho potuto notare sera dopo sera di come il 250 proprio a causa della grossezza e della considerevole massa di vetro offra visioni che potrebbero essere definite "Triplet-like":
Più cromaticamente corretto del Verne CeF 220 f 15 ma probabilmente più predisposto ad maggior diffusione e assorbimento interni.
Bisogna peraltro porre l'attenzione sul fatto che I test di laboratorio di certi Apo a corto fuoco di fascia media, effettuati sul banco ottico in ambienti asettici, al chiuso , altresì lo Strehl spesso troppo sbandierato come il Deus ex machina , rischiano di non trovare sempre una corrispondenza nel mondo reale, quando ci si trova ad osservare sotto un oceano d'aria, vicini al calore che sale dal terreno, a quello sprigionato dall'osservatore la cui testa si trova aletetralmente ad un passo dalla lente, per non parlare di quando si è in tanti a sgironzolare attorno allo strumento.
Passando all'oservazione di Saturno, suggestivo ed incantevole in entrambi gli strumenti, il Tripletto mostrava rispetto al Prometeo diaframmato a 150 mm più facilmente alcuni satelliti al limite della visibilità ed evidenziava maggiormente le differenze di tonalità sulle nubi:
Merito della superlucidatura che Maurizio ha regalato al 155 f 7, alla maggior luminosità proveniente dalla spaziatura ad olio o all'immagine più "buia" data forse dalla correzione FeD ?
Ricordo una lunga dicussione tempo addietro con Angelo Ferri, il quale , paragonando un classico 150 f 8 acromatico ad un 150 f8 Istar R30 con la medesima correzione del Prometeo, mi riportava di una indiscutibile maggior luminosità del primo.
Di contro nel tripletto Saturno si mostrava "acceso" e sfavillante, davvero molto luminoso e trasparente, semplicemente stupendo.
Notevoli su entrambi le prestazioni del visore Zeiss Mark V il quale, a differenza di altre torrette binoculari, annulla completamente la luce diffusa e toglie cromatismo, senza nulla togliere in termini di contrasto rispeto alla visione monoculare.
Da un'unica serata non si possono trarre certamente conclusioni definitive, che devono essere rimandate a più approfondite analisi; con condizioni di seeing medio le prestazioni dei due rifrattori si sono mostrate più simili di quanto ci si potesse aspettare.
Intanto però alcuni punti sono già abbastanza chiari:
Rifrattori a lungo fuoco di qualità caratterizzati da ottima lavorazione, eccellente superlucidatura, trattamenti antiriflessi dedicati, non offrono formalmente sul campo in una sera di seeing medio-basso risultati così diversi da un ottimo Apocromatico come una certa letteratura ha lasciato intendere nei due decenni passati, ed è indubitabile che il Tripletto di Forghieri si possa definire eccome un eccellente e reale Apocromatico e rapace planetario.
Tuttavia gli ingombri e la mole di catafalchi lunghi 3 metri ed oltre rischiano di essere uno scoglio per chi voglia intraprendere l'osservazione planetaria con rifrattori lunghi, e l'aberrazione cromatica , seppure non invalidante come si legge in giro,è la significazione che qualcosa dell'informazione va fattualmente perduto lungo la strada.
L'immagine piu' fioca per quanto estremamente contrastata in questo specifico lungo fuoco potrebbe non essere apprezzata da tutti i palati.
In condizioni di ottimo seeing probabilmente il tripletto a contatto sarebbe in generale più performante sul planetario rispetto al lungo fuoco il quale è indubbiamente assai ben lavorato ma non può avere il medesimo grado di correzione dell'Apocromatico :
il 155 di Maurizio fra l'altro ha dalla sua la capacità di poter tirare decisamente con gli ingrandimenti senza significativa perdita di contrasto e- sorprendentemente -di luminosità: Abbiamo tirato entrambi i rifrattori fino a circa 360 x senza calo di qualità dell'immagine.
Il lungo di contro riesce ad arrivare col fiato sul collo dell'f 7 nel mondo reale per vie traverse, coi pianeti bassi, l'aria sempre mossa, grazie alla sua capacità di penetrare meglio la turbolenza, alla profondità di fuoco,l'immagine sempre caratterizzata da calma olimpica e alla possibilità di poter utilizzare oculari di focale più lunga, il contrasto e la nitidezza sempre ai massimi livelli, soprattutto nei sottili doppietti nativi a fuoco molto lungo.
Onestamente la sensazione che si prova passando la stessa sera da uno all'altro fa pensare a due modalità differenti e assolutamente non contrapposte di tentare di salire su di una montagna: Con l'acromatico lungo si tratta di una progressione lenta e rilassata godendosi i profumi della Natura, con l'apocromatico è una salita veloce e oscillante in seggiovia :
In entrambe le maniere si raggiunge lo scopo: Raggiungere la cima godere del Panorama da lassù.
Un confronto molto interessante, fra due rifrattori estremamente diversi come tipologia, che ci ha dato un sacco di spunti su cui ragionare e che ha lasciato diversi punti in sospeso, i quali non mancheranno certo di essere presi in esame nei prossimi appuntamenti a Monfestino.
Venerdì sera è salito in quel di Monfestino il caro Maurizio Forghieri, portando con se' il suo Tripletto a contatto da 155 mm ad f7.
Maurizio abita a meno di un'ora dall'Osservatorio di Achropolis, quindi l'incontro di pochi giorni fa è stato l'apripista di una serie di osservazioni che abbiamo intenzione di condurre assieme nei mesi autunnali venturi il cui scopo sarà Osservare le superfici dei Pianeti e della Luna mettendo una a fianco dell'altra - letteralmente - sul campo ottiche a rifrazione Apocromatiche e ottiche Acromatiche a lungo fuoco.
Conditio sine qua non : La comprovata qualità delle summenzionate, Apo o Achro che siano.
Troppo spesso si legge infatti di verdetti nei confronti dei rifrattori acromatici definiti "acromaticoni" "cinesoni" "tuboni" con un'accezione vezzeggiativa se non spregiativa, come se le "cenerentole" acromatiche giocoforza debbano essere un gradino sotto la qualità dei cugini apocromatici semper et ubique.
I test che abbiamo intenzione di condurre vedranno sempre in campo a fianco di ( veri )Apo rifrattori lunghi con doppietti molto ben lavorati, intubati propriamente e solidamente con massicci focatori da 3 e 4", dotati di ottiche ottimizzate per l'osservazione planetaria, correzione CdE,CeF, FeD, a seconda dell'oggetto osservato.
Il tripletto di Maurizio, che assieme a Piergiovanni e Federico abbiamo simpaticamente soprannominato "spaziato ad incenso", a causa della qualità elevata della lavorazione e la sopraffina superlucidatura delle superfici dei vetri è stato stazionato a fianco del 250 f11.5 R 30 Istar diaframmato a 150 che si trovava ad operare in tal maniera ad f 18.
Finemente intubato in un OTA intelligentemente sovradimensionato di 180 mm di diamtero di color bianco puro, è equipaggiato con un ormai introvabile granitico focheggiatore Baader da 3", indispensabile quando ci si trova a focheggiare ad f6-7.
In questi casi la lunga focale degli acromatici - quasi tre volte quella del tripletto - unita alla qualità di lavorazione dei vetri, dovrebbe essere il turbo in grado di permettergli di stare col fiato sul collo dell'Apo, il quale in linea teorica ha tutte le carte in regola per essere IL rifrattore planetario senza tanti fronzoli.
Ecco ordunque i due contendenti : Acromatico correzione FeD 150-2750 mm vs Tripletto in fpl53 a contatto in olio 155-1080.
Lo Star Test del 250 diaframmato a 150 mm è stato definito "eccellente" dall'amico Lattanzi. Sfuocando le immagini in Intra ed Extra focale si palesa praticamente nessuna alterazione delle due figure e un'ottima pulizia d'immagine con anelli molto netti, centriche perfettamente allineate e nessuna luce diffusa a significazione di un ottimo contenimento dell'aberrazione sferica; il punto di fuoco è assolutamente univoco e la cosa è bene evidenziata dallo snap test . Parimenti non è presente nessuna aberrazione extra-assiale come l'astigmatismo.
La correzione di quest'obiettivo è un' atipica FeD o D-f che dir si voglia, e nonostante la letteratura riporti che lo shifting prediletto degli osservatori planetari del passato fosse sempre stato il CdE - il Pianeta più studiato nell'era pre-sonde era principalmente Marte - e tempo addietro fossero sorte su Cloudynights selvagge discussioni circa il fatto che questo tipo di correzione non possa essere sulla carta capace di sfoderare buone prestazioni planetarie, da quanto si può rilevare da Monfestino pare proprio sia vero il contrario:
Dopo un'Estate passata ad osservare con il 250 R30 FeD sembra proprio avesse ragione Raffaello quando scriveva che
"Se consideriamo le curve di sensibilità dell’occhio in visione fotopica e scotopica vediamo che la correzione in grado di offrire in visuale le prestazioni complessivamente migliori sarebbe la d-F."
Per certi versi e su certi target planetari essa sembra essere addirittura migliore della CeF ( Verne Istar 220 f 15 ) , mi riferisco ad esempio alla capacità di cogliere le tonalità e i dettagli sui pennacchi e festoni gioviani.
Sarà altresì interessante vedere come si comprterà questo rifrattore, meglio corretto nel blu, su Venere.
La prima cosa che è balzata all'occhio è stato l'ottimo contenimento dell'aberrazione cromatica dell' R30, perlomeno rispetto a quanto ci si aspetterebbe da un "cenerentolo" acromatico:
Lavorando ad f 18 godeva certamente del "turbo" citato poc'anzi; i bordi di Giove nettissimi, come incisi col bulino, sfondo cielo nero come la pece, nessun tipo di "nebbiolina" attorno al disco del Pianeta, caratteristica degli acromatici a corta focale non ottimanente lavorati: Il Pianeta pareva galleggiare nell'infinito,immobile, marmoreo, tridimensionale.
L'aberrazione cromatica in questo caso non è assolutamente disturbante, si palesa fattualmente come una leggerissima e tenue sfumatura magenta ( Fed corrected ), crimson, all' *interno* del disco planetario, assolutamente non intorno al medesimo, perlomeno col diframma da 150 mm ; nesssuno "spettro" da cui doversi guardare insomma, semmai una caratteristica peculiare a questo specifico shifting cromatico, che dona al Pianeta un' accezione molto particolare, e fra l'altro molto "gioviana".
Ovviamente non può esser tutto rose e fiori: un 6" raggiunge la cosiddetta apocromaticità strumentale ad f 37 circa mentre qui siamo ad f 18 ed ecco che il tripletto in questo ambito è palese sia in grado di raggiungere un risultato migliore:
Nonostante la cromatica nell'f 18 non sia assolutamente invalidante,essa si traduce fattualmente nell'incapacità di leggere correttamente alcune sfumature di colori e features sul pianeta, che si presentava nondimeno traboccante nell'acromatico di dettagli, ovali, tacche, pennacchi: Sembra come che l'acromatico sia in grado di coglier, escludendo le tenui sfumature di tonalità, tutte le features presenti nell'apocromatico.
Certamente , dato che il seeing non era dei migliori ( III sulla scala Antoniadi ) credo sia saggio rimandare conclusioni su questo punto ad un'osservazione sotto un buon cielo fermo, il tripletto è più delicato per quanto concerne la capacità di lettura dei tenui dettagli planetari attraverso la turbolenza ed ha necessità di più tempo per ambientarsi: Parimenti so per esperienza che anche il lungo R30 è in grado di sfoderare prestazioni migliori quando il seeing lo concede.
Nel tripletto 155 f 7 a contatto dal punto di vista della correzione cromatica e della capacità di leggere i dettagli Giove sembra una fotografia:
L'ottima lavorazione dei vetri e la certosina superlucidatura delle superfici si traduce in un'immagine " da copertina" del gigante gassoso allorquando il Seeing lo concede :
L'accezione lievemente "rosè" dell'acromatico lascia spazio nel tripletto ad un Pianeta con tutti i colori al loro posto, la NEB amaranto ben staccata dalla Zona Equatoriale ricca di features e trame, SEB ben più chiara. Fondo scuro nerissimo, nitidezza ai massimi livelli. Da notare peraltro la maggior luminosità del tripletto rispetto al doppietto, davvero evidente, da imputare sicuramente alla spaziatura ad olio del rifrattore di Maurizio più che ai 5 mm che separavano il diaframma di 150 mm del Prometeo dai 155 del tripletto. I riflessi interni vengono abbattuti per merito dell'olio a immersione.
L'immagine è sfavillante, accesa, splendente, a tratti vibrante, laddove nel Prometeo diaframmato è chiaramente più cupa e forse un pelo più calma.
Rimando alla spiegazione tecnica accurata di Maurizio a riguardo alla maggior luminosità conferita dalla spaziatura ad olio:
http://www.northek.it/moduli/modDettaglio.cfm?id=149
Probabilmente la mezz'ora di attesa forzata che nella prima parte della serata ci ha obbligato ad aspettare che le nubi si diradassero - attesa resa piacevole dagli aneddoti raccontati da Maurizio circa le avventure del papà di sua moglie, il mitico Vittorio Rustichelli, pioniere dell'atrofilia italiana - ha permesso al Tripletto di acclimatarsi definitivamente e di poter performare al meglio.
L'immagine nel lungo fuoco, di contro, era apprezzabilmente tridimensionale, la profondità di fuoco ad f18 consente, una volta raggiunta la perfetta messa a fuoco, di non dover focheggiare in continuazione per quasi tutto il resto della serata, a tutto vantaggio del relax osservativo: La maggiore insensibilità al seeing del lungo R30 si è palesata come un' assai minore necessità di dover rifocheggiare in seguito sia alle variazioni di temperatura che alle oscillazioni atmosferiche ed in un 'immagine più "calma" e ferma, seppur più buia.
Migliore peraltro la resa degli oculari dovuta all'angolo del cono di luce e indubbio il maggior comfort di osservazione dovuto all'utilizzo di oculari di focale più lunga - 180 x erano forniti nell' f 18 da coppia di ortoscopici Zeiss CZJ da 16 mm, nell'f 7 da coppia di ortoscopici Takahashi Abbe da 6 mm.
Se dovessi racchiudere con una aggettivo l'osservazione e la ricerca di dettagli al limite della visibilità in un 150 mm f 18 la definirei "distensiva".
La trasparenza era molto buona in entrambi i rifrattori:
Probabilmente il Verne ( 220 f 15 nativo ), umile Fraunhofer, grazie ai due soli elementi ottici di minor spessore a causa della lunga focale, avrebbe regalato qualcosa in più a questo riguardo rispetto al Prometeo, che con i suoi giganteschi (16 Kg ) e spessi vetri - quasi 8 cm ! - potrebbe avvicinarsi concettualmente alle prestazioni dello spesso e pesante monoblocco di un tripletto il quale, possedendo un rapporto focale più spinto, è formato da più elementi e di spessore maggiore.
Quest' Estate ho potuto notare sera dopo sera di come il 250 proprio a causa della grossezza e della considerevole massa di vetro offra visioni che potrebbero essere definite "Triplet-like":
Più cromaticamente corretto del Verne CeF 220 f 15 ma probabilmente più predisposto ad maggior diffusione e assorbimento interni.
Bisogna peraltro porre l'attenzione sul fatto che I test di laboratorio di certi Apo a corto fuoco di fascia media, effettuati sul banco ottico in ambienti asettici, al chiuso , altresì lo Strehl spesso troppo sbandierato come il Deus ex machina , rischiano di non trovare sempre una corrispondenza nel mondo reale, quando ci si trova ad osservare sotto un oceano d'aria, vicini al calore che sale dal terreno, a quello sprigionato dall'osservatore la cui testa si trova aletetralmente ad un passo dalla lente, per non parlare di quando si è in tanti a sgironzolare attorno allo strumento.
Passando all'oservazione di Saturno, suggestivo ed incantevole in entrambi gli strumenti, il Tripletto mostrava rispetto al Prometeo diaframmato a 150 mm più facilmente alcuni satelliti al limite della visibilità ed evidenziava maggiormente le differenze di tonalità sulle nubi:
Merito della superlucidatura che Maurizio ha regalato al 155 f 7, alla maggior luminosità proveniente dalla spaziatura ad olio o all'immagine più "buia" data forse dalla correzione FeD ?
Ricordo una lunga dicussione tempo addietro con Angelo Ferri, il quale , paragonando un classico 150 f 8 acromatico ad un 150 f8 Istar R30 con la medesima correzione del Prometeo, mi riportava di una indiscutibile maggior luminosità del primo.
Di contro nel tripletto Saturno si mostrava "acceso" e sfavillante, davvero molto luminoso e trasparente, semplicemente stupendo.
Notevoli su entrambi le prestazioni del visore Zeiss Mark V il quale, a differenza di altre torrette binoculari, annulla completamente la luce diffusa e toglie cromatismo, senza nulla togliere in termini di contrasto rispeto alla visione monoculare.
Da un'unica serata non si possono trarre certamente conclusioni definitive, che devono essere rimandate a più approfondite analisi; con condizioni di seeing medio le prestazioni dei due rifrattori si sono mostrate più simili di quanto ci si potesse aspettare.
Intanto però alcuni punti sono già abbastanza chiari:
Rifrattori a lungo fuoco di qualità caratterizzati da ottima lavorazione, eccellente superlucidatura, trattamenti antiriflessi dedicati, non offrono formalmente sul campo in una sera di seeing medio-basso risultati così diversi da un ottimo Apocromatico come una certa letteratura ha lasciato intendere nei due decenni passati, ed è indubitabile che il Tripletto di Forghieri si possa definire eccome un eccellente e reale Apocromatico e rapace planetario.
Tuttavia gli ingombri e la mole di catafalchi lunghi 3 metri ed oltre rischiano di essere uno scoglio per chi voglia intraprendere l'osservazione planetaria con rifrattori lunghi, e l'aberrazione cromatica , seppure non invalidante come si legge in giro,è la significazione che qualcosa dell'informazione va fattualmente perduto lungo la strada.
L'immagine piu' fioca per quanto estremamente contrastata in questo specifico lungo fuoco potrebbe non essere apprezzata da tutti i palati.
In condizioni di ottimo seeing probabilmente il tripletto a contatto sarebbe in generale più performante sul planetario rispetto al lungo fuoco il quale è indubbiamente assai ben lavorato ma non può avere il medesimo grado di correzione dell'Apocromatico :
il 155 di Maurizio fra l'altro ha dalla sua la capacità di poter tirare decisamente con gli ingrandimenti senza significativa perdita di contrasto e- sorprendentemente -di luminosità: Abbiamo tirato entrambi i rifrattori fino a circa 360 x senza calo di qualità dell'immagine.
Il lungo di contro riesce ad arrivare col fiato sul collo dell'f 7 nel mondo reale per vie traverse, coi pianeti bassi, l'aria sempre mossa, grazie alla sua capacità di penetrare meglio la turbolenza, alla profondità di fuoco,l'immagine sempre caratterizzata da calma olimpica e alla possibilità di poter utilizzare oculari di focale più lunga, il contrasto e la nitidezza sempre ai massimi livelli, soprattutto nei sottili doppietti nativi a fuoco molto lungo.
Onestamente la sensazione che si prova passando la stessa sera da uno all'altro fa pensare a due modalità differenti e assolutamente non contrapposte di tentare di salire su di una montagna: Con l'acromatico lungo si tratta di una progressione lenta e rilassata godendosi i profumi della Natura, con l'apocromatico è una salita veloce e oscillante in seggiovia :
In entrambe le maniere si raggiunge lo scopo: Raggiungere la cima godere del Panorama da lassù.
Un confronto molto interessante, fra due rifrattori estremamente diversi come tipologia, che ci ha dato un sacco di spunti su cui ragionare e che ha lasciato diversi punti in sospeso, i quali non mancheranno certo di essere presi in esame nei prossimi appuntamenti a Monfestino.