Na giurnàdazza ad Pier
Inviato: 30/10/2017, 10:47
.
Pier era felice e contento, tutto andava per il meglio, aveva persino trovato un nuovo sponsor per Binomania !
Con la sua borsa piena di fotocamere ed obiettivi camminava sulle sponde del lago alla ricerca di scorci interessanti. Il SUO lago, quel lago che ormai aveva ripreso in tutti i modi possibili e che pure ogni volta riusciva ad incantarlo.
Forse per la nostalgia, ma aveva persino portato con se una vecchia fotocamera Canon (allora non si era ancora convertito alla Nikon) con cui aveva scattato alcune foto dei sassi immersi nell’acqua trasparente del lago, resa immobile da una esposizione di tre ore, in modo che neppure la minima ondulazione rovinasse la tranquilla staticità della immagine.
Stanco, alla fine della bella giornata di svago, se ne tornava verso casa, ma qualcosa gli dava un vago senso di insicurezza, non capiva cosa o perché, ma man mano che lasciava il suo amato lago la sensazione diventava sempre più forte e chiara.
E il dubbio riprende a rodere: l’unica cosa diversa dal solito era quella vecchia Canon che aveva voluto portare con se per qualche nostalgico scatto analogico. Ora il dubbio aveva un nome e, alla prima occasione, il nostro bravo Pier si ferma per osservare meglio la vecchia Canon. Nulla da dire, anche se vecchia, è ancora bellissima.
Per completare anche all’interno l’osservazione di questa vecchia “signora”, Pier toglie l’obiettivo e all’istante una morsa gli attanaglia lo stomaco, quasi a farlo vomitare.
Giallo, il fondo dell’obiettivo era giallo, l’ultima lente, la più importante, quella che focalizza l’immagine, invece che essere bella e trasparente come l’acqua del suo lago, era gialla, un giallo miele schifoso, come una pozzanghera di pi . . . . , no, non si dice, non sta bene !
Mamma mia !
Pier sapeva cosa significava quel giallo, ne aveva letto spesso, ma non gli era mai capitato di trovarsi fra le mani un obiettivo radioattivo.
E pensare che per tutta una giornata quello era stato dentro al suo borsone, a contatto con tutti i suoi migliori obiettivi.
Un dubbio tremendo: non è che stando a contatto, anche i costosi obiettivi si erano contaminati ?
Non c’è pezza, con un dubbio simile non si dorme più e, del resto, la radioattività non la si vede, servono strumenti molto particolari per rilevarla.
Detto e fatto, il giorno dopo era già in macchina, in viaggio per Ferrara dove aveva appuntamento con Enotria per il controllo degli obiettivi.
Inutile prolungare l’attesa, subito prendiamo l’obiettivo incriminato e lo accostiamo ad un ottimo contatore Geiger per verificare il livello della radioattività emessa.
Però, mica poco ! Considerate che la radioattività ambientale media è attorno ai 0,015 mR/h (millesimi di Roentgen per ora), quella del nostro obiettivo è 3,6 mR/h, ben 200 volte superiore !
Piuttosto elevata, ma possiamo subito tranquillizzare il buon Pier che i suoi obiettivi “buoni” non hanno corso alcun rischio: per fortuna ci vuole ben altro per rendere radioattivo un oggetto che non lo è.
A questo punto abbiamo già valutato dal punto di vista “quantitativo” la radioattività emessa, vediamo ora in modo qualitativo quali radioisotopi sono i colpevoli della emissione.
Per meglio separare la radioattività propria dell’obiettivo da quella naturale sempre presente, mettiamolo in una cella di isolamento, dietro spesse pareti di piombo.
Una volta chiusa la cella, la sonda rileva gli impulsi radioattivi, li separa per energia e li somma formando un grafico che rappresenta lo spettro energetico di questa radiazione: sarà quindi la sua “carta di identità”, identificando quali isotopi radioattivi contiene.
Guardando da sinistra, vi è subito un picco imponente di impulsi con energia attorno agli 80 KeV (80.000 elettron Volt), ma non è riferibile a radioisotopi se non per via indiretta: quando le particelle radioattive vengono bloccate dal piombo, la loro velocità di colpo si azzera e l'energia cinetica si trasforma in radiazioni X, che quindi vengono captate dal sensore.
Poi vi è un tratto pianeggiante, corrispondente alle emissioni del Cerio 144, una delle innumerevoli “terre rare” utilizzate come chiarificante nella preparazione dei vetri ottici ed anche nella lucidatura delle lenti.
Successivamente compare il macroscopico picco del Piombo 212, un radionuclide diretto discendente del torio, utilizzato nella preparazione dei vetri ottici per aumentarne l’indice di diffrazione.
Il picco successivo è l’Attinio 228, anche questo un discendente diretto che si forma dalla trasmutazione del torio.
Altro isotopo simpatico che incontriamo successivamente è il Tallio 208, tristemente noto per la sua velenosità, tanto che è stato bandito persino nella derattizzazione. Ma anche questo è un diretto discendente del torio, per cui non ci meraviglia il trovarne il relativo picco.
A questo punto, lo spettrogramma ci ha dato la composizione dei radio isotopi, ora sappiamo quali sono i principali “colpevoli”, ma resta una domanda: cosa ci fanno dentro al nostro obiettivo e perché solo alcuni obiettivi sono radioattivi, mentre altri, perfettamente identici, non lo sono ?
Infatti, a questo punto propongo a Pier uno scambio: il suo obiettivo radioattivo in cambio di uno mio, uguale identico, ma assolutamente “innocuo” e, soprattutto, perfettamente trasparente, senza quel colore giallo bruno del vetro contaminato.
Così entrambi ne traiamo vantaggio: io faccio i miei esperimenti sulla radioattività e Pier può fare tutte le foto che vuole.
Resta ora da chiarire come mai solo alcuni obiettivi risultano radioattivi e perché lo sono.
In generale, alla base del misfatto, vi è il torio, un minerale che è vero che è leggermente radioattivo, ma lo è talmente poco che manco si riesce a notarlo. Pensate che il suo tempo di dimezzamento è di 14 miliardi di anni, roba da emettere una radiazione giusto ad ogni morte di Papa.
Lo si utilizza nelle miscele vetrose perché migliora moltissimo le qualità del vetro ottico, permettendo la progettazione di obiettivi molto luminosi e con una altissima definizione.
Il torio non è certo raro, lo si trova in abbondanza in un minerale, la monazite, che è piuttosto diffusa in India ed in Africa.
Ma questa monazite contiene un mare di altri minerali e di terre rare. Un ben di Dio per chi fabbrica vetri: dentro c’è oltre al torio, il lantanio, il cerio, l’uranio, ecc.
Si, un ben di Dio per il vetro, ma SOLO se viene purificato e liberato dai tantissimi altri isotopi ben più radioattivi ed instabili chimicamente.
Il guaio è tutto qui: la raffinazione costa cara ed è difficile da fare per bene e così, ogni tanto, viene immessa sul mercato una partita di monazite, magari a basso prezzo, ma non ben raffinata.
Questi isotopi finiscono nei vetri ed iniziano a decomporsi emettendo radiazioni. Nel giro di pochi anni il vetro comincia a virare di colore: dal giallo paglierino diventa via via più scuro, fino ad arrivare ad un color miele, più tendente al bruno che al giallo, completamente inutilizzabile
per la fotografia.
Pacifico allora che quando il produttore delle ottiche si accorge del difetto, prima sono cazziatoni per chi ha autorizzato l’acquisto della partita di monazite, poi si sospende la produzione ed immediatamente si acquista del prodotto migliore con cui continuare la produzione.
E chi ha in casa uno di questi obiettivi, cosa se ne fa ?
Ma, se l’unico suo interesse è per la fotografia, la soluzione più semplice è consegnarlo all’ARPA come rifiuto speciale.
Se invece lo vuole conservare a scopo collezionistico, tenga presente che il livello di emissione non è insignificante e che le radiazioni emesse sono principalmente di tipo Gamma, quindi altamente penetranti. In queste condizioni, i rimedi sono solo due: distanza ed isolamento.
Per questo, non tenetelo in bella vista sul comodino della camera da letto, ma lontano da voi e dentro una bella scatola di metallo o, meglio, di piombo.
Di sicuro non gli fa certo male, ma farà del bene a voi !
Pier era felice e contento, tutto andava per il meglio, aveva persino trovato un nuovo sponsor per Binomania !
Con la sua borsa piena di fotocamere ed obiettivi camminava sulle sponde del lago alla ricerca di scorci interessanti. Il SUO lago, quel lago che ormai aveva ripreso in tutti i modi possibili e che pure ogni volta riusciva ad incantarlo.
Forse per la nostalgia, ma aveva persino portato con se una vecchia fotocamera Canon (allora non si era ancora convertito alla Nikon) con cui aveva scattato alcune foto dei sassi immersi nell’acqua trasparente del lago, resa immobile da una esposizione di tre ore, in modo che neppure la minima ondulazione rovinasse la tranquilla staticità della immagine.
Stanco, alla fine della bella giornata di svago, se ne tornava verso casa, ma qualcosa gli dava un vago senso di insicurezza, non capiva cosa o perché, ma man mano che lasciava il suo amato lago la sensazione diventava sempre più forte e chiara.
E il dubbio riprende a rodere: l’unica cosa diversa dal solito era quella vecchia Canon che aveva voluto portare con se per qualche nostalgico scatto analogico. Ora il dubbio aveva un nome e, alla prima occasione, il nostro bravo Pier si ferma per osservare meglio la vecchia Canon. Nulla da dire, anche se vecchia, è ancora bellissima.
Per completare anche all’interno l’osservazione di questa vecchia “signora”, Pier toglie l’obiettivo e all’istante una morsa gli attanaglia lo stomaco, quasi a farlo vomitare.
Giallo, il fondo dell’obiettivo era giallo, l’ultima lente, la più importante, quella che focalizza l’immagine, invece che essere bella e trasparente come l’acqua del suo lago, era gialla, un giallo miele schifoso, come una pozzanghera di pi . . . . , no, non si dice, non sta bene !
Mamma mia !
Pier sapeva cosa significava quel giallo, ne aveva letto spesso, ma non gli era mai capitato di trovarsi fra le mani un obiettivo radioattivo.
E pensare che per tutta una giornata quello era stato dentro al suo borsone, a contatto con tutti i suoi migliori obiettivi.
Un dubbio tremendo: non è che stando a contatto, anche i costosi obiettivi si erano contaminati ?
Non c’è pezza, con un dubbio simile non si dorme più e, del resto, la radioattività non la si vede, servono strumenti molto particolari per rilevarla.
Detto e fatto, il giorno dopo era già in macchina, in viaggio per Ferrara dove aveva appuntamento con Enotria per il controllo degli obiettivi.
Inutile prolungare l’attesa, subito prendiamo l’obiettivo incriminato e lo accostiamo ad un ottimo contatore Geiger per verificare il livello della radioattività emessa.
Però, mica poco ! Considerate che la radioattività ambientale media è attorno ai 0,015 mR/h (millesimi di Roentgen per ora), quella del nostro obiettivo è 3,6 mR/h, ben 200 volte superiore !
Piuttosto elevata, ma possiamo subito tranquillizzare il buon Pier che i suoi obiettivi “buoni” non hanno corso alcun rischio: per fortuna ci vuole ben altro per rendere radioattivo un oggetto che non lo è.
A questo punto abbiamo già valutato dal punto di vista “quantitativo” la radioattività emessa, vediamo ora in modo qualitativo quali radioisotopi sono i colpevoli della emissione.
Per meglio separare la radioattività propria dell’obiettivo da quella naturale sempre presente, mettiamolo in una cella di isolamento, dietro spesse pareti di piombo.
Una volta chiusa la cella, la sonda rileva gli impulsi radioattivi, li separa per energia e li somma formando un grafico che rappresenta lo spettro energetico di questa radiazione: sarà quindi la sua “carta di identità”, identificando quali isotopi radioattivi contiene.
Guardando da sinistra, vi è subito un picco imponente di impulsi con energia attorno agli 80 KeV (80.000 elettron Volt), ma non è riferibile a radioisotopi se non per via indiretta: quando le particelle radioattive vengono bloccate dal piombo, la loro velocità di colpo si azzera e l'energia cinetica si trasforma in radiazioni X, che quindi vengono captate dal sensore.
Poi vi è un tratto pianeggiante, corrispondente alle emissioni del Cerio 144, una delle innumerevoli “terre rare” utilizzate come chiarificante nella preparazione dei vetri ottici ed anche nella lucidatura delle lenti.
Successivamente compare il macroscopico picco del Piombo 212, un radionuclide diretto discendente del torio, utilizzato nella preparazione dei vetri ottici per aumentarne l’indice di diffrazione.
Il picco successivo è l’Attinio 228, anche questo un discendente diretto che si forma dalla trasmutazione del torio.
Altro isotopo simpatico che incontriamo successivamente è il Tallio 208, tristemente noto per la sua velenosità, tanto che è stato bandito persino nella derattizzazione. Ma anche questo è un diretto discendente del torio, per cui non ci meraviglia il trovarne il relativo picco.
A questo punto, lo spettrogramma ci ha dato la composizione dei radio isotopi, ora sappiamo quali sono i principali “colpevoli”, ma resta una domanda: cosa ci fanno dentro al nostro obiettivo e perché solo alcuni obiettivi sono radioattivi, mentre altri, perfettamente identici, non lo sono ?
Infatti, a questo punto propongo a Pier uno scambio: il suo obiettivo radioattivo in cambio di uno mio, uguale identico, ma assolutamente “innocuo” e, soprattutto, perfettamente trasparente, senza quel colore giallo bruno del vetro contaminato.
Così entrambi ne traiamo vantaggio: io faccio i miei esperimenti sulla radioattività e Pier può fare tutte le foto che vuole.
Resta ora da chiarire come mai solo alcuni obiettivi risultano radioattivi e perché lo sono.
In generale, alla base del misfatto, vi è il torio, un minerale che è vero che è leggermente radioattivo, ma lo è talmente poco che manco si riesce a notarlo. Pensate che il suo tempo di dimezzamento è di 14 miliardi di anni, roba da emettere una radiazione giusto ad ogni morte di Papa.
Lo si utilizza nelle miscele vetrose perché migliora moltissimo le qualità del vetro ottico, permettendo la progettazione di obiettivi molto luminosi e con una altissima definizione.
Il torio non è certo raro, lo si trova in abbondanza in un minerale, la monazite, che è piuttosto diffusa in India ed in Africa.
Ma questa monazite contiene un mare di altri minerali e di terre rare. Un ben di Dio per chi fabbrica vetri: dentro c’è oltre al torio, il lantanio, il cerio, l’uranio, ecc.
Si, un ben di Dio per il vetro, ma SOLO se viene purificato e liberato dai tantissimi altri isotopi ben più radioattivi ed instabili chimicamente.
Il guaio è tutto qui: la raffinazione costa cara ed è difficile da fare per bene e così, ogni tanto, viene immessa sul mercato una partita di monazite, magari a basso prezzo, ma non ben raffinata.
Questi isotopi finiscono nei vetri ed iniziano a decomporsi emettendo radiazioni. Nel giro di pochi anni il vetro comincia a virare di colore: dal giallo paglierino diventa via via più scuro, fino ad arrivare ad un color miele, più tendente al bruno che al giallo, completamente inutilizzabile
per la fotografia.
Pacifico allora che quando il produttore delle ottiche si accorge del difetto, prima sono cazziatoni per chi ha autorizzato l’acquisto della partita di monazite, poi si sospende la produzione ed immediatamente si acquista del prodotto migliore con cui continuare la produzione.
E chi ha in casa uno di questi obiettivi, cosa se ne fa ?
Ma, se l’unico suo interesse è per la fotografia, la soluzione più semplice è consegnarlo all’ARPA come rifiuto speciale.
Se invece lo vuole conservare a scopo collezionistico, tenga presente che il livello di emissione non è insignificante e che le radiazioni emesse sono principalmente di tipo Gamma, quindi altamente penetranti. In queste condizioni, i rimedi sono solo due: distanza ed isolamento.
Per questo, non tenetelo in bella vista sul comodino della camera da letto, ma lontano da voi e dentro una bella scatola di metallo o, meglio, di piombo.
Di sicuro non gli fa certo male, ma farà del bene a voi !