COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA. Prefazione.

Rispondi
GIANNI MERLINI
Buon utente
Messaggi: 1044
Iscritto il: 01/03/2012, 20:48
Località: PONTASSIEVE -FI-

COLTELLI TRADIZIONALI D'ITALIA. Prefazione.

Messaggio da GIANNI MERLINI »

CONSIDERAZIONI DI BASE SUI COLTELLI TRADIZIONALI D’ITALIA

Mi rendo conto che avrei dovuto esporre queste mie idee ancora prima di parlare dei singoli modelli dei coltelli tradizionali d’Italia: ma, preso dalla foga di aprire l’argomento a puntate, ho colpevolmente trascurato il necessario preambolo.

Quando si parla di “coltelli tradizionali d’Italia" occorre subito fare una importante considerazione: vi sono coltelli che nascono in un certo luogo, da cui generalmente prendono nome, e che vengono prodotti quasi esclusivamente in quel luogo. Ve ne sono altri che pur sorti in una determinata regione o addirittura in un certo territorio, anche ristretto, assurgono per svariati motivi agli onori di una più vasta diffusione e che quindi vegono prodotti o riprodotti anche altrove.
In alcuni casi, specie nel passato, si poteva assistere al fenomeno, peraltro abbastanza diffuso, che certe parti degli utensili, specie le lame, venissero commissionate ad aziende di maggiori dimensioni, ancorché artigiane o semi-artigiane, e poi venissero montate e finite in loco dal coltellinaio che non era in grado, con la sua produzione, di soddisfare le maggiori richieste della clientela. E’ il caso dei coltelli sardi più commerciali, le cui lame provenivano quasi integralmente da Scarperia.
Non solo: se in passato si avvertiva che un certo tipo di coltello potesse incontrare i favori del pubblico anche al di fuori della zona di origine, ci si ingegnava a copiarlo, sic et simpliciter, o più spesso a reinterpretarlo. E' il caso, per esempio, della ZUAVA, che, portata in Italia dagli Zuavi al seguito delle truppe napoleoniche, venne reinterpretata in Italia dalle manifatture di Maniago, di Scarperia e di Frosolone. Il concetto base resta identico, ma le differenze, cristallizzate nelle singole realtà produttrici, fanno sì che si riconosca bene una zuava prodotta a Maniago piuttosto che quella di Scarperia o quella di Frosolone. Sono questi, tre “diversi” coltelli, e quindi quando si parla di zuava si dovrà ben distinguere le tre tipologie. Così pure accade con la “MOZZETTA” e con lo SFINATO DI FROSOLONE, che si ritrovano nella produzione “corrente” dei tre centri principali di fabbricazione, ma con quelle particolarità che ne definiscono inequivocabilmente la provenienza.
Poteva altresì accadere che, per i più svariati motivi, qualche artigiano locale non potesse produrre un numero sufficiente di coltelli “locali” e quindi fosse costretto a rivolgersi a colleghi di altre zone: è il caso del Vernantin, originario di Vernante (CN), che proprio per il motivo ora esposto, venne per un certo periodo prodotto a Scarperia, sulla base del modello originale, senza alcuna reinterpretazione.
Ma se a Maniago la scelta dei modelli da produrre era dettata esclusivamente da motivi commerciali, ben disgiunti e lontani da qualsiasi emozione evocativa della tradizione e della consuetudine familiare, ( si fa un certo tipo di temperino o di coltello solamente perché si vende bene), a Scarperia si segue una diversa politica: si fa un coltello per poter imporre anche fuori della Toscana la “supremazia” della produzione artigiana locale. In questo periodo le manifatture di Scarperia vengono favorite dal processo di unificazione della nazione con l’apertura SENZA DAZI di nuovi ed interessanti mercati. Frosolone, invece, considerata la sua posizione geografica, ha sfruttato già dalla prima metà dell’ottocento, la maggiore vicinanza con le regioni più meridionali della penisola, rafforzando la sua rete commerciale di conoscenze e scambi, continuando a detenere una posizione di monopolio in quelle zone.
Troveremo quindi a Maniago utensili da taglio pari pari copiati - con bravura ed eleganza – da quelli prodotti in Germania ed in Inghilterra, mentre a Scarperia vengono definiti “tradizionali” modelli come il napoletano, l’abruzzese, il calabrese, il sardo e così via, che non si riscontrano nei luoghi originari a cui farebbe pensare il nome, ma sono forse una reinterpretazione a spanne di una certa tipologia di coltelli che si pensava fossero maggiormente in voga in quelle regioni. E’ emblematico che proprio a Scarperia vi sia una linea tradizionale di “coltelli di tipo sardo”che pur ricordando alla lontana i più antichi coltelli isolani niente hanno a che vedere con la ben nota “pattada”.
Qui apro una parentesi: il nome pattada deriva esclusivamente dal paese di Pattada, dove si era concentrato un elevato numero di coltellinai che avevano rivoluzionato il concetto costruttivo, rispetto alla precedente produzione locale, ma il vero nome di quel modello dovrebbe essere “resolza pattadese”.
Accade addirittura che una particolare partita di coltelli fatta per una specifica ( ed isolata) fornitura dia poi il nome ad un modello: venne ordinato da un commerciante di Favara (Sicilia) un certo numero di coltelli con punta tonda. Bene, si presero i coltelli in magazzino, (zuave, fiorentini, senesi), se ne arrotondò la punta… e così fu inventato il coltello”alla favarese[/b]”, cioè spuntato!
Dopo questa lunga e forse prolissa premessa si pone la questione più importante: comprare un coltello “tradizionale” fatto nel luogo dì’origine ( magari in maniera un poco “rustica” e con i materiali tradizionali da tempo usati dagli artigiani locali) oppure mi rivolgo, seguendo maggiormente i canoni estetici, ad un prodotto fatto “fuori” ( anche se da una azienda artigianale o semi-artigianale) e quindi, tutto sommato, privo dell’“odore di casa”?
Non è facile rispondere, anche perché la scelta, nell’uno o nell’altro caso, è sempre e solo soggettiva, dettata più dal feeling che intercorre fra lo strumento e l’eventuale futuro possessore che da freddi ragionamenti logici. Personalmente antepongo l’origine al fattore estetico. Quindi, per esempio, fra un vernantin fatto a Vernante (CN) ed uno fatto a Scarperia (FI) - anche se più bello e curato - non ho dubbi: scelgo quello di Vernante, e magari comprato dal coltellinaio che l’ha fatto.
Devo altresì considerare un ulteriore fattore: se la produzione caratteristica di un determinato luogo comprende o meno fra i “tradizionali” quel certo modello: ad esempio il “gobbo”( o Abruzzese) è a buon diritto considerato un coltello “tradizionale” di Scarperia. Perciò non troverò disdicevole acquistare un gobbo di Scarperia. Invece se voglio uno “scannaturi” siciliano, non guarderò il “siciliano” di Scarperia, ma cercherò di trovare quello specifico modello fatto da un oscuro coltellinaio di uno sperduto paesino della Trinacria, che in un anno ne spedisce sì e no una decina al negozio di mia fiducia, solamente perché da più di quarant’anni gli viene confermato l’ordine dalla anziana commerciante. E aggiungo che, nonostante reiterate richieste, non ha mai aumentato la quantità di quelli spediti.
Perciò parlando di “coltelli tradizionali d’Italia” cercherò di uniformarmi ai principi sopra esposti. Non me ne vogliano coloro che hanno idee diverse! I nostri avi latini dicevano: tot capita, tot sententiae. E noi italiani siamo esperti in quest’arte!
Allegati
coltelli 3 bis.jpg
coltelli 3 bis.jpg (49.67 KiB) Visto 1396 volte
Gianni Merlini

Malo malo malo ire, quam mala mala malis malis mandere.
(Preferisco morire d'un brutto male, che mangiare mele cattive con denti guasti)

Mi diletto con: Fujinon Polaris FMTRC SX 7x50, Konus zoom 10-30x50, Bushnell stableview 10x35, Bushnell legend ultra hd 8x42, Nikon HG L 10x25 dcf , Vixen BCF 20x80, Swarovski SLC 15x 56 WB, Lens2Scope, Auriol spottingscope 20 - 60 x60 .......
Rispondi