Guida alla scelta del telescopio astronomico

ll telescopio astronomico, quale prediligere? In questo articolo vi darò qualche consiglio utile: dalle varie configurazioni ottiche,  ai vari pregi e difetti.

Il telescopio astronomico (e terrestre) è un sistema ottico composto da specchi o da lenti in grado di raccogliere e focalizzare la luce.

Gli strumenti a specchio adottano il principio della riflessione ottica, gli strumenti a lente, ossia i rifrattori, il principio della rifrazione mentre i catadiottrici (Schmidt Cassegrain, Maksutov, Schmidt Newton, etc.,etc.)  entrambi i principi.

Dato che tratterò più specificamente, in alcuni articoli successivi, le varie configurazioni ottiche disponibili sul mercato, ho deciso di sintetizzare le caratteristiche generali che dovrebbe possedere un telescopio.
Inizio questa breve panoramica parlando della loro capacità di raccogliere molta più luce e di discernere piccolissimi dettagli rispetto all’occhio umano 

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Vincenzo Rizza posa accanto al telescopio San Giorgio Morais 190 /2850
Immagine: Vincenzo Rizza posa accanto al telescopio astronomico San Giorgio Morais 190 /2850.

La luminosità di uno strumento è direttamente proporzionale al suo obbiettivo, un telescopio con dieci centimetri di diametro, ad esempio, raccoglie duecento volte più luce rispetto al nostro occhio umano. Anche in questo caso, però, si deve tenere contro della capacità di trasmissione dell’obbiettivo che raramente è in grado di raggiungere una percentuale superiore al 98%.

Un altro fattore da considerare è la ostruzione che varia a seconda della configurazione ottica dei telescopi.
Un telescopio si definisce ostruito quando è anteposto allo specchio primario uno specchio secondario in grado di occludere parte della sua superficie ma anche di restituire le immagini all’oculare.

Immagine: in questa fotografia di Raffaello Braga si nota l’ostruzione di un classico Maksutov Cassegrain di produzione cinese

 

La lunghezza focale di un telescopio è data dalla distanza che esiste tra l’obbiettivo sia esso lente o specchio e il piano su cui si forma l’immagine

La luminosità relativa, invece, è il rapporto che esiste tra la lunghezza focale e il diametro dell’obbiettivo. Ad esempio, un rifrattore da 80 mm di diametro con una lunghezza focale di 500 mm avrà un rapporto focale pari a F/4.

Generalmente strumenti di tale luminosità sono utilizzati per le osservazioni degli oggetti del cielo profondo (galassie, ammassi stellari, comete) mentre è preferibile utilizzare telescopi dal medio e lungo rapporto focale per l’osservazione della Luna, del Sole e dei pianeti; infatti, dalla lunghezza focale di un telescopio dipende l’ingrandimento raggiungibile attraverso gli oculari.

Il “potere risolutivo”, invece, corrisponde al minimo angolo che un obbiettivo è in grado di percepire, questa caratteristica è direttamente proporzionale all’obbiettivo del telescopio. Essa è facilmente misurabile attraverso la formula empirica di Dawes: (120/D) laddove D corrisponde al diametro del telescopio misurato in millimetri. Ad esempio un rifrattore da 100mm avrà un potere risolutivo pari ad 1.2”.

In linea teorica, come avete compreso, attraverso un semplice calcolo potrete calcolare la capacità risolutiva del vostro telescopio, ma non è detto che nel corso delle vostre sessioni osservative potrete raggiungere questo limite strumentale. È noto tra astrofili esperti come la turbolenza atmosferica limiti notevolmente le prestazioni di un telescopio. Lo stesso dicasi per la mediocre qualità di alcune ottiche molto commerciali che non consentono di raggiungere il potere risolutivo teorico.
 

 

Gli ingrandimenti e l’osservazione visuale

Le  lenti e/o gli specchi dei telescopi inviano l’immagine ottenuta all’oculare, per calcolare quanto è possibile aumentare  la grandezza di questa immagine dobbiamo ancora una volta utilizzare una semplice formula matematica, che è data dalla:

focale del telescopio
                                     __________________  = ingrandimento
focale dell’oculare

Per tale motivo, nel caso di un telescopio con 2000m di focale, usufruendo di un oculare da 10 mm si otterranno 200 ingrandimenti.

Ma di quanto è possibile ingrandire questa immagine?

Posso confermarvi, in modo molto sbrigativo che la formula teorica appena evidenziata ha dei limiti che dipendono innanzitutto da caratteristiche imputabili al telescopio, quali il diametro, la composizione e la lavorazione dell’obbiettivo, la sua ostruzione, la turbolenza e la lunghezza focale. Molto spesso, gli astrofili alle prime armi mi chiedono come mai il loro piccolo rifrattore da 60 mm non sia in grado di utilizzare 400 ingrandimenti. Per questo motivo, possiamo utilizzare altre due semplici fattori per calcolare sempre in maniera approssimativa l’ingrandimento minimo, e l’ingrandimento massimo utilizzabile da un telescopio

Il primo si calcola moltiplicando per 0.15 il diametro del telescopio, il secondo moltiplicandolo per 2.4.

Sempre facendo un esempio: uno Schmidt Cassegrain da 200mm di diametro potrà essere utilizzato in una fascia di ingrandimenti compresa fra 30x (200×0.15) e 480x (200×2.4).

Resta ovviamente il fatto che telescopi dalla qualità ottica superiore, come ad esempio i rifrattori apocromatici, sono in grado di superare la semplice formula dell’ingrandimento massimo, mentre ottiche molto ostruite o scarsamente lavorate potranno generare immagini confuse anche a ingrandimenti al di sotto del loro fattore “teorico”.

Immagine: L’autore davanti allo stupendo rifrattore di proprietà di Francesco Toni, noto appassionato di osservazione planetaria. Con un rifrattore del genere è ovvio che sia possibile raggiungere degli ingrandimenti molto elevati.

Molti lettori leggendo queste brevi righe si saranno soffermate sulla formula dell’ingrandimento minimo, perché questa limitazione? Non è possibile ottenere soltanto due o tre ingrandimenti? Prima di dare una risposta a questo quesito vorrei analizzare brevemente il comportamento dell’occhio umano durante le osservazioni astronomiche.

Generalmente le pupille di un uomo in condizioni di scarsa illuminazione si dilatano  sino a raggiungere un diametro massimo di 7 mm, invece, in presenza di una forte illuminazione si restringono ancor meno di  due millimetri. Questa elasticità pupillare si riduce con il trascorrere degli anni, di fatto gli occhi di un cinquantenne sono in grado di dilatarsi sino ad un massimo di 5 mm ( mediamente, perché ciò dipende anche dalle condizioni fisiologiche soggettive) . Per questo motivo, se noi tentassimo di osservare usufruendo di soli dieci ingrandimenti in un telescopio il cui ingrandimento minimo è di 30, potremo osservare un fascio di luce più ampio di quello visibile dalle nostre pupille , per esemplificare potrei scrivere che sarebbe come tentare di far confluire il getto di acqua fluente da un grosso idrante  all’interno di una piccola borraccia, E’ ovvio che l ’acqua in eccesso non potrebbe far altro che spargersi all’esterno! Avrete quindi compreso che lo stesso fenomeno accadrebbe alla luce.

 

I vari tipi di telescopi

 Come preannunciato, esistono tre categorie fondamentali di telescopi:

I rifrattori, i riflettori e i catadriottici, questi ultimi sono anche chiamati telescopi misti, poiché utilizzano sia elementi a rifrazione che elementi a riflessione. Per motivi di sintesi, tratterò solo tre tipi principali di telescopi misti: lo Schmidt Cassegrain, il Maksutov Cassegrain e il Maksutov Newton.

 

I rifrattori

Immagine: un classico rifrattore cinese da 100 mm di diametro con ottiche ED che è possibile trovare sul mercato dell’usato a prezzi molto interessanti, rappresenta un ottimo punto di partenza, almeno per l’osservatore di luna e pianeti

Il sistema ottico a rifrazione più semplice è quello formato da un obbiettivo costituito da due lenti che sono poste a una determinata distanza per correggere in parte l’aberrazione cromatica. Esistono, inoltre, configurazioni ottiche a più lenti, definite apocromatiche, per la loro capacità di correggere quasi totalmente i difetti appena citati. Questo genere di strumenti, se ben progettati, offrono un ottimo contrasto e un’ottima definizione. Ritengo che per le pretese dell’astrofilo medio, il diametro più consigliabile sia quello di 100 mm, il quale oltre all’ingombro è in grado di contenere anche il prezzo.


I riflettori

Immagine: un telescopio Newton da 150 mm rappresenta una valida scelta per un utilizzo generico

In questi strumenti, uno specchio primario, quasi sempre parabolico,  riflette la luce verso lo specchio secondario che formando un angolo di 45 gradi  con l’asse ottico dello strumento ha la funzione di deviare l’immagine  verso l’oculare. Grazie alla maggior economicità nella lavorazione degli specchi, è possibile a acquistare un riflettore con uno diametro maggiore rispetto a quello di un rifrattore rimanendo nella stessa fascia di prezzo. Il riflettore più utilizzato dagli astrofili è quello di Newton anche se esistono altre configurazioni a riflessione come ad esempio il Cassegrain. 
Il newtoniano (che nella versione da 114mm) è quasi sempre la scelta consigliata per chi si accinge a osservare per la prima volta il cielo.  I suoi pregi, oltre al fattore economico, consistono nella comodità della osservazioni allo zenith  data dalla deviazione operata dallo specchio secondario che fa deviare la luce a 90° rispetto alla posizione dell’obbiettivo, e dalla possibilità di spaziare fra aperture focali da f/4 sino ad F/10, a i modelli a tubo aperto, inoltre, risentono della turbolenza in misura maggiore rispetto ai rifrattori mentre la presenza dello specchio secondario quasi sempre sorretta da spessori (spikes) può comportare una maggior tenenza alla collimazione, ossia lo spostamento degli obbiettivi.

 

I telescopi misti

 Successivamente al 1930 iniziarono ad apparire i sistemi ottici misti, facenti uso di elementi a rifrazione combinati ad elementi a riflessione, il più celebre tra essi è senza dubbio il sistema catadiottrico, che è formato da una lente correttrice in grado di sostenere lo specchio secondario e da uno specchio primario il quale riflette la luce, rifratta dalla correttrice, inviandola al secondario che rivolge, infine, l’immagine generata, verso l’oculare

 

Lo Schmidt Cassegrain

Immagine: Il telescopio astronomico Schmidt Cassegrain Celestron C8 è ancora tra gli strumenti piu’ venduti

E’ stato il punto di riferimento per gli astrofili degli anni Ottanta e Novanta. La sua compattezza, unita a rapporti focali abbastanza chiusi (solitamente F/10) deriva dalla presenza di uno specchio secondario che moltiplica il rapporto focale in proporzione alla lunghezza del tubo. Il costo di produzione, inoltre, è di gran lunga inferiore rispetto a un rifrattore di pari diametro. Per questi motivi questo strumento ha conquistato un’ampia fetta di mercato.
 Tra i suoi pregi, oltre la compattezza e la leggerezza, posso citare la estrema universalità che consente di essere utilizzato in qualsiasi genere di osservazioni, seppur non prevalga in nessun settore.

 

Il Maksutov Cassegrain

Immagine: mia moglie posa, nel 20213, accanto a un Maksutov Cassegrain Meade da 7 pollici che ho avuto il piacere di usare e comparare per molti anni

Nel lontano 1930 l’astronomo Bernard Schmidt (1879-1935) migliorò i telescopi a riflessione utilizzando, nel centro di curvatura dello specchio principale, una lente asferica in grado di eliminare l’aberrazione sferica dello specchio principale, introducendone una di segno opposto. Nacque così il telescopio di Schmidt, che pur essendo un ottimo compromesso tra la compattezza e le prestazioni in ambito fotografico, presentava il delicato problema della lavorazione della lamina asferica. Negli anni quaranta il russo D.D Maksutov e distintamente l’olandese Bouwers e il nostro Colacevich dell’Osservatorio d’Arcetri, compresero che fosse possibile surrogare la superficie asferica con una lente che fungesse da menisco concavo e concentrico allo specchio che, se ben progettato, sarebbe stato oltre che acromatico anche capace di introdurre a sua volta un’aberrazione sferica in grado di annullare quella indotta dallo specchio. Attraverso questo nuovo progetto ottico era possibile conseguire gli stessi risultati della lente asferica di Schmidt ma con un procedimento più semplice e con una miglior compattezza, giacché era anche avverabile situare il menisco più vicino al fuoco, in antitesi a quanto concesso dallo schema del signor Bernard.
Era così nato il sistema Maksutov. In seguito, nel 1957, Jonh Gregory sostituì lo specchio secondario convesso alluminando la parte centrale del menisco dando origine al sistema Maksutov-Cassegrain anche detto Maksutov-Gregory, uno schema ancor oggi attuale e utilizzato da quasi tutte le aziende costruttrici, tranne l’americana Questar che predilige alluminare la parte esterna del correttore.

  

Il Maksutov Newton

Immagine: un Maksutov Newton Intes Micro che ebbi il piacere di utilizzare nei primi anni del Duemila

 Il cuore dello strumento essendo, come anticipato, un sistema misto è formato da uno specchio primario e come in tutti gli schemi Maksutov da un menisco che assicura la correttezza dell’aberrazione sferica. La caratteristica principale che invece lo accomuna con i telescopi Newton, (da cui il nome Maksutov Newton) è la presenza di uno specchio secondario che trasmette il fascio di luce a 90° rispetto all’asse ottico dello specchio primario.

Otticamente parlando, sembrerebbe un ottimo compromesso tra il contrasto, la luminosità e la correzione delle immagini, inoltre nei diametri non superiori ai 150mm di diametro, deterrebbe ancora una discreta leggerezza. I lati negativi sono un’ambientazione termica molto piu’ lenta rispetto a un classico doppietto a rifrazione e l’ovvia collimazione che spesso è necessario operare.

 

Quale telescopio astronomico scegliere?

Immagine: la scelta di un telescopio astronomico è sempre molto personale, io non ho grandi dubbi: il rifrattore! A sinistra Vincenzo Rizza durante la NLT (Notte dei Lunghi Tubi) a Opera (MI)

Dopo la breve descrizione sulle configurazioni ottiche principali, è giunto il momento di fare una breve panoramica sui telescopi presenti sul mercato italiano tentando di dare qualche consiglio a chi, per la prima volta, si appresta ad acquistare uno di questi strumenti.

I nuovi astrofili partono decisamente avvantaggiati, soprattutto per quanto riguarda l’offerta attuale delle aziende del settore. Solo una decina di anni fa le scelte si potevano contare sulla punta delle dita. Grazie alla nascita di nuovi prodotti ed alla volontà degli addetti ai settori, gli astrofili possono scegliere tra innumerevoli telescopi e innumerevoli marche.

Se nei primi anni Novanta, il Newton da 114 era una scelta quasi forzata, ora per una cifra che a volte non supera i 400 euro è possibile portare a casa, la stessa configurazione ottica ma con un diametro di 130 mm, completo di montatura e di motorizzazione.

Con un cifra di poco superiore si può già avere a disposizione dei telescopi dal diametro di  150mm sempre in versione Newton oppure dei piccoli Maksutov Cassegrain, da 130mm  circa, che presentano generalmente delle buone prestazioni.

Immagine: i piccoli telescopi astronomici Maksutov Cassegrain da 90 e 127 mm sono sempre una valida scelta per chi inizia


 In molti casi, però,  il basso costo dovuto in parte al minor costo della manodopera cinese , ma anche alla minor lavorazione delle ottica e della qualità dei materiali utilizzati  implica prestazioni medie e a volte scarse. Per questo motivo, prima di pentirsi di facili acquisti è utile apprendere qualche nozione basilare. E’ ovvio, infatti, che un rifrattore acromatico a corta focale proposto a 400 euro, completo di vari accessori non potrà mai fornire le prestazioni di un performante rifrattore apocromatico dal costo dieci volte superiore, visto e considerato che i metodi di lavorazione e di progettazione per crearlo sono totalmente differenti. Quindi al neofita più esigente, però con un budget limitato, potrei consigliare la ricerca dello strumento ideale nel mercato dell’usato oppure presso le stesse aziende, le quali propongo ai clienti, telescopi invenduti dell’anno precedente, oppure demo, utilizzate per esposizioni o fiere.  Ho notato, ad esempio, come un ottimo rifrattore da 100 con ottiche ED di buona qualità si possa trovare spesso nel mercato dell’usato con un prezzo che raramente supera i 500 euro, ovviamente sprovvisto di montatura.

 Nella maggior parte dei casi, però consiglio ai futuri astrofili di non acquistare subito strumenti costosi e performanti. Questa mia convinzione è retta da due motivi  principali: in primis, è molto più gratificante “farsi le ossa” con uno strumento dal piccolo diametro per imparare le nozioni basilari dell’astronomia pratica, come il metodo dello star hopping, il puntamento e lo stazionamento, ma anche per verificare se la loro nuova passione possa avere un seguito. Personalmente evito anche l’utilizzo repentino di montature GOTO e di sistemi che impigriscano troppo la voglia di imparare le nozioni fondamentali.

Immagine: un Celestron CPC 8 dei primi anni del Duemila. Era un telescopio astronomico eccezionale per l’epoca, ma che ho sempre sconsigliato ai neofiti. Per amare il cielo si deve imparare prima le nozioni fondamentali, meglio se con strumenti privi di sistemi GOTO

Ricordo ancora come se fosse oggi, la bella esperienza che vissi nel 2001, quando partecipai come relatore, insieme al compianto Giorgio di Iorio, a un corso di geologia lunare in uno stupendo convento calabrese.

Una sera uscimmo con i corsisti ad ammirare il cielo tersissimo nei pressi dei monti Silani. Tra i presenti c’erano alcuni fortunati possessori di strumenti GPS. Il professor Angelo Angeletti presidente del Club Nebula di Macerata nonché ottimo conoscitore del cielo, usufruendo di un binocolo da 80 mm.
Angelo fece una rapida carrellata degli oggetti osservabili durante la sera con il semplice metodo dello star hopping, ossia raggiungendo un oggetto celeste saltando di stella in stella, mentre nel frattempo i GPS si stavano allineando con il satellite. Queste nuove tecnologie sono quindi utilissime per gli astrofili esperti ma ribadisco diseducative per i neofiti alle prime armi. Il cielo è come il mare, per conoscerlo ed apprezzarlo bisogna essere in grado di nuotare!

Il secondo problema che l’astrofilo deve però affrontare oltre al budget, il più delle volte limitato, è quello della zona abituale dalla quale si osserverà.

I fortunati che vivono in montagna o in collina, avranno accesso anche ai favolosi oggetti del cielo profondo, galassie, ammassi stellari, etc., etc. 
Chi abita nei centri urbani, invece, dovrà fare i conti con il gravissimo problema dell’inquinamento luminoso, una piaga sempre più presente che incide negativamente sulle prestazioni dei nostri cari telescopi.

Tutto sommato, però, anche dal centro di una città come Roma è possibile fare ottime osservazioni di oggetti luminosi come Luna, pianeti e le stelle doppie. L’unico problema che in questo caso si potrebbe incontrare è quello delle dimensioni strumentali, poiché in città solitamente si è costretti ad osservare dai balconi dei condomini o da piccoli “fazzoletti” di giardino condominiale. 
In questo caso pare sensato l’acquisto di una configurazione ottica compatta, come ad esempio uno Makstuv Cassegrain o uno Schmidt Cassegrain.