Recensione del telescopio apocromatico Telescope Engineering Company – TEC 140

PREMESSA

Dopo aver venduto quasi un anno fa il mio glorioso Apocromatico Sky- Watcher ESPRIT 150ED, sono stato colto dalla classica “crisi di astinenza” da rifrattore con diametro generoso. Pur possedendo altri ottimi rifrattori, riflettori e catadiottrici infatti, sentivo la mancanza di un “primo della classe” a lenti.

Casualmente, ai primi di maggio 2022, sono entrato nel negozio UnitronItalia (importatore ufficiale TEC per l’Italia)  e cosa ti vedo, poggiato a terra nel suo baule? Un favoloso TEC 140 in attesa di acquirente. Strumento usato, come da conferma di Yuri Petronin patron della TEC, con data di produzione settembre 2003, tra i primi 50 realizzati (numero di matricola 45). Mandato alla TEC per pulizia e controllo a Marzo 2022.

Una breve trattativa sul prezzo di vendita e lo strumento diventa mio.

Immediatamente ho portato il rifrattore presso la sede della Avalon Instruments di Casalazzara per montarlo sulla montatura M1. Mi è stato allora fornita l’apposita torretta distanziatrice indispensabile per farle scavallare l’asse polare.

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FIG.1- Il TEC 140 montato sulla nota AVALON M1

Come potete vedere in fig. 1, l’impressione visiva sulla M1 è notevole. Come pure rimane sulla mia seconda montatura  Rainbow Astro RST-135 (Fig. 2), dotata di mezza colonna Avalon, che permette di innalzare il baricentro e consente una visione ottimale con i rifrattori.

FIG.2 – Il TEC 140 montato sulla Rainbow Astro RST-135

DATI TECNICI DICHIARATI DALLA CASA MADRE

I dati tecnici riportati dalla casa sono i seguenti:

Disegno ottico

Rifrattore apocromatico a tre lenti spaziate in olio con un elemento in vetro ED e due elementi in vetro differente.

Ottimizzato per la riga “E” a 546 nm. Strehl Ratio 0.98

Picco-Valle 1/20 (calcolato)

Apertura

140 mm

Lunghezza focale

980 mm

Rapporto focale

f/7

Back focus (dal bordo posteriore del corpo focheggiatore)

200 mm

Coating

Proprietario TEC

Potere risolutivo

0.8 arc. sec.

Magnitudine limite

14.5

Capacità di raccolta luce

400 x (rispetto alla pupilla umana aperta 7 mm)

Filetto adattatore

50.8mm

Lunghezza

870  mm

Diametro

152 mm

Peso

9 kg

 

Ho misurato 87 cm dal tappo copri-obiettivo al tappo copri-porta-oculari, 105 cm con il paraluce interamente estratto e 116 cm con il focheggiatore Starlight Instruments Feather Touch (mod. #3545). Il peso, senza cercatore, ma con la culla e le due barre Losmandy superiore e inferiore, è risultato identico a quello dichiarato dal costruttore e pari a 9 Kg.

 

OTTICA

 Lo schema ottico è sviluppato interamente dalla TEC e consiste in un rifrattore apocromatico a tre lenti spaziate in olio e con l’elemento ED intermedio. La correzione del cromatismo è ottimizzata sia per l’uso visuale che per quello fotografico. Ha un trattamento anti-riflesso proprietario su tutte le superfici ottiche che non presenta alcuna dominante colorata alla vista. 

FIG.3 – Un primo piano sul tripletto spaziato in olio

L’obiettivo è collimabile con apposite viti anteriori, ma essendo stato riportato in fabbrica per una revisione generale ovviamente non ha necessitato di alcuna regolazione ulteriore.

Non ho modo di misurare lo Strehl ratio dichiarato dal costruttore (>= 0.98), ma di sicuro le immagini presentano un’incisività superiore alla media a testimoniare un progetto ottico eccellente.  TEC dichiara che la cella è realizzata in alluminio leggero che garantisce un’eccellente termo-regolazione mantenendo leggerezza e robustezza. Anche il tubo è in alluminio verniciato bianco latte e dotato internamente di diaframmi affilati che svolgono perfettamente il compito di intercettare eventuali riflessi interni del tubo. Quest’ultimo peraltro è annerito con vernice opaca nera.

Esiste un riduttore di focale dedicato, che moltiplica la focale per un rapporto di 0.62x, riducendo la stessa da 980 a 0,62, e portando la velocità fotografica dello strumento a f/4.3. Non dispongo di tale riduttore e non ho potuto provarlo, quindi non esprimo alcun giudizio in merito.

 

MECCANICA

 Esteticamente si tratta di un tubo molto classico e senza fronzoli che contraddistingue tutti gli strumenti TEC. È verniciato bianco crema opaco con raccordi verniciati in nero lucido. È dotato di culla formata da una coppia di anelli apribili con doppia slitta Losmandy superiore e inferiore. Il mio esemplare è dotato pure di una comoda maniglia a coda di rondine Losmandy realizzata dalla Baader Planetarium che agevola tantissimo il trasporto e il montaggio sulla montatura. La slitta per cercatore che ho scelto non è quella proprietaria TEC, ma una standard Vixen/Sky- Watcher/Orion della Baader Planetarium.

 La parte frontale del telescopio è protetta da un leggero tappo piano in metallo con la scritta TEC che si avvita direttamente sul paraluce. Aspetto positivo è che anche senza avvitarlo si appoggia e chiude perfettamente la luce all’obiettivo (ovviamente in posizione inclinata almeno di 10 gradi dall’orizzontale) il che è molto utile per realizzare i dark in fase di ripresa fotografica.  Una chicca il fatto che a tappo completamente avvitato la scritta TEC risulta perfettamente orizzontale.

Il paraluce, non rimovibile, ma estraibile facilmente, è smussato ai bordi con effetto gradevole esteticamente e molto utile per evitare sgocciolamenti interni della rugiada notturna.

Le slitta Losmandy sono di lunghezza giusta (23 cm) per non appesantire troppo il tutto, ma presentano un piccolo difetto: le viti di fissaggio, a passo americano, sporgono leggermente e impediscono quindi di far scivolare il tubo nella coda femmina: forse un accorgimento voluto del costruttore per impedire scivolamenti involontari, ma che certamente non facilita il montaggio sulla montatura.  Io ho comunque provveduto a far fresare le teste per consentire uno scivolamento ottimale nei morsetti Losmandy.

Il tubo è veramente leggero per le dimensioni (molto più del mio precedente apocromatico SW ESPRIT 150ED che assommava circa 15 kg) tanto da risultare facilmente gestibile con una sola mano senza particolari problemi. Sulla mia montatura Rainbow Astro RST-135 (che ho dotato di morsetto Losmandy con manopola di serraggio “super dimensionata”) richiede meno di un minuto per il montaggio avendo avuto cura di porre prima il morsetto in posizione orizzontale (che peraltro corrisponde alla posizione “Home” di parcheggio della montatura).

Su questa montatura e col treppiede Geoptik Hercules (o TPOD 120 AVALON Instruments) le vibrazioni vengono smorzate in circa 2 secondi. Non male per un tubo così lungo. Stessi risultati ovviamente sulla Avalon M1 che lo regge ancora più agevolmente.

Il focheggiatore è semplicemente da manuale, con demoltiplica 9:1 e anello di serraggio da 2” normalmente chiuso da tappo metallico con la scritta TEC. Il movimento è preciso e fluido, il che, unito al punto di fuoco “univoco” del rifrattore, garantisce sempre una messa a fuoco perfetta anche senza far ricorso a motorini.

FIG.4 – Un bel primo piano sul focheggiatore

L’interno gruppo del focheggiatore è ruotabile di 360° per permettere facilmente di inquadrare i soggetti sul fotogramma della camera. La corsa è generosa (113 mm) e dotata di scala millimetrica e, ovviamente di doppia vite di serraggio (con testa a brugola la superiore – che non andrebbe toccata mai) e di comodo pomello zigrinato inferiore. Il costruttore raccomanda di non serrare troppo questa vite, pena perdita di allineamento del treno ottico.

Tra l’altro il back-focus di 200 mm permette anche il montaggio di torrette binoculari senza alcun problema. Però con alcune camere di ripresa potrebbe essere utile una prolunga da 2”. Io ne uso una lunga 10 cm.

 

PROVA SUL CIELO

 Il contrasto dell’immagine è molto elevato: sulla Luna le ombre sono nere senza traccia di colorazione residua anche spingendo gli ingrandimenti oltre i 450x. Su Saturno la divisione di Cassini è netta e si possono osservare almeno 5 satelliti. I festoni di Giove, gli ovali e la Grande Macchia Rossa come pure le ombre dei satelliti sul disco sono di una nettezza esemplare, seeing permettendo, ovviamente.

Le stelle sono estremamente  puntiformi, e l’immagine è ben definita non solo a centro campo ma anche verso il bordo, a patto ovviamente di usare oculari con campo spianato bene: per le mie prove ho usato i Pentax XW e gli ortoscopici Zeiss.

Ho fatto una prova inquadrando M13, con il Pentax XW 14 mm: non solo le zone periferiche, ma anche il centro del globulare si è risolto facilmente in stelle puntiformi e ben visibili.

Sulle stelle doppie poi questo rifrattore, aiutato dalla Barlow Zeiss 2x, è un vero e proprio spettacolo: nel caso di colori differenti delle componenti della doppia (come per esempio Ras Algedi), questi sono sempre nitidi senza alcun effetto di impastato. E, in serate con seeing buono, i cerchi di diffrazione sono da manuale dell’ottica. Il campo è nitido e piatto fino a circa il 95%: che è poi il limite della planeità degli oculari sul loro campo apparente di 70°.

Lo “snap test”, ovvero il punto preciso di fuoco, è univoco e preciso, com’era da attendersi vista la qualità ottica del telescopio.

Il tono è neutro ma non estremo come a esempio quello, per me troppo freddo, dei “cugini” TSA  Takahashi e risulta estremamente simile a quello reso dal mio telescopio di riferimento, il Maksutov Zeiss Meniscas 180.

Il telescopio regge bene gli ingrandimenti rispetto al diametro: in condizioni di ottimo seeing ho spinto sulla Luna fino a 560x (Pentax XW 3.5mm e Barlow Zeiss 2x) con immagine appena un po’ confusa.

FIG-5 – Una immagine del pianeta Giove ottenuta da Claudio Costa con il TEC 140

Su Giove, con la camera planetaria QHY5III-462c ho “osato” utilizzare il sistema telecentrico AMPLI-515 di Adriano Lolli (a 5x) realizzando immagini che hanno registrano dettagli incredibili per un diametro così piccolo. 
In fotografico, sugli oggetti di cielo profondo mi sono divertito a provarlo con una camerina planetaria non raffreddata, la QHY462C. In fig. 6 vedete il risultato su M13 esponendo per 1500 s (475 pose da 4 s ciascuna) e senza alcun filtro.  Le pose non erano guidate grazie all’ottimo inseguimento della montatura. La somma e l’allineamento delle immagini è stato eseguito con il programma Astro Pixel Processor e i ritocchi finali con Win10 Photo. Riprese effettuate da casa il 12 Settembre 2022, da casa a Roma con la luna quasi piena.

FIG.5 – L’ammasso stellare M13, ripreso magistralmente da Claudio Costa

In altre serate ho utilizzato invece la mia camera maggiore, una QHY268C per testare le capacità del TEC sui soggetti più difficili (perché annegati nel cielo inquinato dalla luce di Roma), come le nebulose a emissione.

FIG.7. Questo telescopio è risultato un valido performer anche nella mera fotografia astronomica

Come esempio dei risultati ottenibili, la Fig. 7 fa vedere una ripresa della nebulosità attorno all’ammasso NGC 6823, nella costellazione della Vulpecula, eseguita con la tecnica della somma di moltissime pose brevi (nel caso specifico 240 frame da 15 s ciascuno per un’integrazione totale di un’ora) tramite il software di ripresa SharpCap Pro in modalità Live Stack. A ogni frame veniva, prima della somma, applicato automaticamente un dark frame della stessa durata. L’elaborazione successiva con i programmi Nebulosity 4.0, Iris e Win10 Photo Editor ha permesso di “tirare fuori” la debole emissione dei gas ionizzati della nebulosa pur osservando col cielo inquinato di Roma e senza l’uso di alcun filtro a banda stretta: ma qui mi preme di farvi notare come il TEC riesca con la sua ottica superlativa a fornire immagini perfettamente puntiformi sull’intero chip della camera che ha un formato APS-C.

 

CONFRONTO SUL CAMPO DEL TEC 140  CON LO ZEISS MENISCAS 180

 Ma quanto è “buono” questo apocromatico rispetto ad altre ottiche di provata qualità? Per rispondere mi sono avventurato in una prolungata ricerca di serate di buon seeing che mi permettessero un confronto diretto tra il TEC 140 e il mio strumento di riferimento, il catadiottrico Maksutov Zeiss Meniscas 180 e alla fine ho impiegato quasi tre mesi per confrontare i due strumenti, posti uno accanto all’altro sul mio terrazzo di casa a Roma. 

Fig.8 – Una comparativa che farà felici molti appassionati: TEC 140 vs ZEISS MENISCAS 180

È vero, si tratta di ottiche diverse, non ostruito ed f/7 il TEC, ostruito ed F/10 lo Zeiss. Ma trattandosi di veri “top di gamma” il confronto si imponeva. 

Non avendo alcuna necessità di mettere mano alla collimazione dei due strumenti, mi sono limitato ad assicurarmi ogni volta che i due strumenti raggiungessero l’equilibrio termico con l’ambiente, il che, a causa della massa notevole dello Zeiss (15 kg), necessitava di almeno un paio d’ore di acclimatamento, mentre il TEC già dopo mezzora era perfettamente in equilibrio. Ho giudicato il raggiungimento di quest’ultimo guardando periodicamente la stessa stella (Ras Algedi in Ophiucus) nei due strumenti e constatando la perfetta simmetria e stabilità del primo cerchio di diffrazione attorno alle due componenti della doppia.

Essendo le due focali dei telescopi in rapporto 1,84 tra loro (1800 contro 980) ho usato quasi esclusivamente una coppia di oculari Pentax XW che rispettasse più o meno lo stesso rapporto, restituendo in entrambi  ingrandimenti confrontabili: 5 mm sul TEC (pari a 196x) e 10 mm sul Meniscas (pari a 180x).

RISULTATI

Luna e Pianeti

 La prima sera, il 2 Ottobre 2022, con entrambi i telescopi sul balcone ho aspettato che la Luna fosse in meridiano prima di cominciare le osservazioni.  La Luna era di 6,3 giorni, illuminata al 40% e presentava un semi-disco illuminato e ricchissimo di particolari. Il seeing oscillava tra mediocre e buono (attorno a 5-6 Pickering).

Dopo una decina di minuti mi sono concentrato sul cratere Hipparchus in buone condizioni di illuminazione al terminatore. In entrambi i telescopi apparivano dettagli finissimi, nonostante la turbolenza abbastanza forte. Aiutato dal testo “Craters of the near side Moon” di John Moore, che fornisce immagini di gran parte dei crateri lunari riprese dalla sonda Lunar Reconnaisance Orbiter (LRO) col massimo dettaglio possibile e una cartina che riporta le dimensioni delle formazioni, ho potuto stimare la risoluzione dei due strumenti: all’oculare era chiaramente e stabilmente anche nei momenti di turbolenza massima il craterino etichettato con N nell’immagine del LRO (Fig 9). Il diametro è di circa 5,5 km, corrispondenti a circa 3” d’arco alla distanza della Luna. Non male per un particolare al limite della percezione a causa della turbolenza.

FIG.9 – Il micro cratere N in Hipparchus oggetto della sfida tra Meniscas e TEC

L’immagine nel TEC era come da prevedersi più luminosa, mentre nello Zeiss si percepivano, negli istanti migliori di seeing, alcuni particolari in più, diciamo fino circa la metà di dimensioni del cratere T suddetto e quindi raggiungendo una risoluzione pari a circa 1,5” d’arco.

Nessuna traccia di cromatismo nel rifrattore che mostrava lo stesso contrasto e l’assenza totale di colori spuri come evidenziato dal confronto diretto con l’immagine fornita dal Matsukov.

La notte del 3 Ottobre 2022 il seeing era quasi perfetto e allora ho atteso la mezzanotte per osservare il pianeta Giove all’opposizione e in meridiano.

Rispetto alle osservazioni lunari del giorno prima, devo ammettere che su Giove il TEC forniva dettagli leggermente maggiori dello Zeiss, specialmente nelle bande della North-North Temperate Zone (NNTZ) che a tratti rivelavano strutture solo intuibili nello Zeiss. La “gara” quindi terminava con la vittoria di strettissima misura del TEC non solo per luminosità ma anche per la finezza di dettagli e la nitidezza dei colori.

In definitiva, la visione era simile in entrambi i telescopi, ma lo Zeiss per rendere alla pari o superare il TEC deve proprio avere un seeing impeccabile, altrimenti il suo maggior diametro non prevale, anche a causa dell’ostruzione del secondario assente ovviamente nel rifrattore. Inoltre probabilmente il trattamento anti-riflesso del menisco anteriore e l’alluminatura dello specchio risentono degli anni trascorsi (lo Zeiss è dell’inizio degli anni ’90 del secolo scorso) e questo aiuta a spiegare la minore luminosità e i colori meno vividi.

Stelle binarie

Sulle stelle binarie, campo di elezione di entrambi gli strumenti, mi attendevo i medesimi risultati: colori più netti e puri sul TEC e visione più “naturale”, laddove i primi due cerchi di diffrazione sarebbero stati ben più evidenti sullo strumento ostruito: a me piacciono, ma in caso di binarie strettissime, l’apocromatico ha una marcia in più. Il classico test su Albireo (β Cygni) e su ε Lyrae conferma tutto con una visione perfetta dei dischi di Airy delle componenti, con i cerchi meno evidenti nell’apocromatico.

Il fondo cielo è risultato sempre più scuro nel Meniscas, sia usando gli oculari Pentax XW che i “vecchi” ma ottimi ortoscopici Zeiss. Anche gli 82° gradi di campo apparente dell’oculare Explore Scientific 4,7 mm erano perfettamente spianati con le stelline di campo perfette fino a bordo campo. Addirittura mi sono avventurato ad usare il Tele Extender 2x telecentrico della Explore Scientific arrivando a un ingrandimento di 417x e l’immagine reggeva ancora. Come pure, sempre col Tele Extender, era piacevole usare lo zoom Baader Planetarium Hyperion 8-24x, nonostante la necessità di ri-focheggiare leggermente al variare della focale.

LE CONCLUSIONI

 

Il TEC 140, com’era da aspettarsi, ha dimostrato un’eccellente qualità:

  • Ottiche apocromatiche da manuale
  • Costruzione meccanica solida, essenziale nelle linee ed esteticamente superiore
  • Molto rapido ad acclimatarsi
  • Tutto sommato leggero abbastanza da potere essere sostenuto anche da montature di medio carico massimo
  • Dotato di un diametro già generoso da permettere sia osservazioni in alta risoluzione degli oggetti del Sistema Solare, sia una buona visione degli oggetti del cielo profondo, ovviamente una volta portato sotto cieli sufficientemente bui.
  • Perfettamente sfruttabile come astrografo sul formato Full Frame e oltre

E’ un telescopio che sicuramente darà molta soddisfazioni, sia in visuale che in fotografico,  con le sue immagini che rasentano la perfezione.