Intervista a Plinio Camaiti “Telescope Doctor”

Quando è nata la tua passione per i telescopi e l’astronomia?

La prima scintilla che accese la mia passione per l’astronomia si accese quando, negli anni ‘70, la RAI trasmise, di pomeriggio, una serie di documentari di argomento astronomico. Non me ne persi uno. Nell’autunno successivo un mio coetaneo e buon amico, mi convinse a partecipare ad una riunione serale del Circolo Astrofili di Milano presso il Civico Planetario Ulrico Hoepli. Mi ricordo che, pur avendo noi due solo 13 anni, eravamo andati in tram, dopo cena, fino a Corso Venezia, partendo dalla periferia est di Milano. Tutto normale a quell’epoca. Per farla breve, io rimasi affascinato dall’ambiente degli astrofili e pertanto tornai a frequentare il Planetario, mi iscrissi al Circolo e ci rimasi. Il mio amico invece no. Aggiungo che, in quegli anni, il Circolo era molto frequentato, soprattutto da giovanissimi, e l’attività del gruppo era molto vivace.
Fu un altro amico, che frequentavo quando andavo in vacanza al mare, a influenzarmi – involontariamente – verso l’astronomia e i telescopi. Infatti questo amico, avendo saputo della mia nascente passione, mi vendette per qualche lira un vecchio libro che lui aveva in casa, il celebre “Astronomia Pratica” di W. Schoeder, che divorai in pochi giorni e contribuì in modo notevole a sviluppare la mia passione e soprattutto a stimolare la mia curiosità. Infatti questo piccolo libro conteneva addirittura una guida al calcolo semplificato della posizione dei pianeti e un manuale per la costruzione di un semplice telescopio rifrattore equatoriale. È facile immaginare la reazione di un giovanissimo curioso quale ero io; in pochi giorni avevo calcolato la posizione dei pianeti del Sistema Solare e progettato un telescopio per iniziare. Poi, siccome il mese successivo andai in vacanza presso i nonni paterni in Valle d’Intelvi, il nonno mi permise di usare il suo vecchio binocolo Zenith 10×50, con cui incominciai la mia avventura di astrofilo visualista. Passarono pochi mesi e acquistai, a Milano in via Torino, un rifrattore “zoom” 20-60×60 mm, con cui, da cortile di casa, osservai la prima volta gli anelli di Saturno. Fu un’emozione e, constatata la forte limitazione di questo piccolo rifrattore, lo cambiai subito con un Newton altazimutale giapponese da 90 mm, che mi sembrò subito bellissimo e potentissimo. Poi seguirono telescopi sempre più sofisticati, ma l’astrofilo dell’epoca non poteva considerarsi completo senza avere autocostruito il proprio telescopio. E qui nacque la mia passione per la tecnica degli strumenti. Infatti, stimolato e aiutato da Roberto De Manzano, esperto autocostruttore e allora presidente del Circolo astrofili, progettai, feci realizzare i pezzi meccanici e assemblai il mio primo strumento autocostruito, un Newton da 200mm F/7.5 (ottiche Pecchioli) con montatura a forcella in acciaio. Uno strumento pesante e ingombrante. Ricordo che, per poter pagare i vari pezzi dello strumento, lavorai come cameriere in una pizzeria per tutta l’estate. Lo strumento poi, praticamente inutilizzabile a Milano a causa del suo ingombro, trovò posto a Brugherio (Monza-Brianza) nel cortile dell’astrofilo Maurizio Sirtori, dove restò per molti anni. A seguito di quelle esperienze divenni sufficientemente competente da attirare l’attenzione delle aziende del settore astronomico che operavano a Milano, con cui cominciai a collaborare dal punto di vista tecnico.

Come è nato il soprannome “Telescope Doctor” e cosa rappresenta per te?

 

Quando il tuo lavoro è quello di fare il riparatore di strumenti tecnologici, in qualche modo vieni considerato come un medico che guarisce. Anzi, per molti clienti sei addirittura un pediatra a cui affidano il loro bambino (telescopio) o bambina (montatura) per farli guarire dai loro malanni.
Anche il laboratorio di assistenza tecnica è organizzato, in qualche modo, come una clinica, perché le riparazioni vengono eseguite in ordine cronologico o in base alle eventuali urgenze.
Ma il soprannome Telescope Doctor mi fu proposto dal simpaticissimo e brillante astrofilo riminese Gianluca Valentini – che ho aiutato in varie occasioni a prendere le decisioni secondo me più adatte riguardanti la sua attrezzatura di osservazione e imaging – che durante una cena di mi disse che mi considerava il “dottore” dei suoi telescopi; e siccome lui aveva un PHD conseguito negli USA, fu naturale usare la traduzione di quell’appellativo nella lingua di Mark Twain. Questo nickname mi piacque subito moltissimo e, con il preziosissimo aiuto dell’astrofilo-informatico Carlo Muccini, feci nascere il sito Telescopedoctor.com che negli anni ha raggiunto il ragguardevole numero di 3.6 milioni di pagine visitate, pur essendo inattivo per obsolescenza del software che permette di modificarlo.

Quando hai deciso di creare un sito web per gli appassionati e il nuovo gruppo Facebook?

 

Come ho affermato nella risposta precedente, il sito Telescopedoctor.com (e anche .it) nacque a seguito della fondamentale collaborazione con Carlo Muccini, nel maggio del 2007. Ho continuato ad aggiornare il sito fino all’ottobre 2013, decidendo poi di lasciarlo in rete come “archivio” di test e articoli, a causa della difficoltà di usare la vecchia piattaforma di programmazione, che non avevo più intenzione di rinnovare. 
Il gruppo Telescope Doctor su Facebook è nato nel maggio del 2011 per trasferire l’attività del vecchio sito sui social network, che sono oggettivamente più moderni, più facili da aggiornare e oggettivamente più frequentati e accessibili rispetto ad un sito web. Ad oggi il gruppo conta più di 4000 iscritti ed è molto consultato e molto attivo. Ho poi creato, sempre su Facebook, anche il gruppo Osservazioni astronomiche visuali, che ha lo scopo di stimolare questo genere di osservazioni astronomiche, di recente non più tanto in auge a causa dell’invadenza dell’astrofotografia nel mondo dell’astronomia non professionale.

In che modo la tua lunga esperienza ha influenzato il tuo lavoro attuale come tecnico per Auriga?

 

L’esperienza è fondamentale in tutte le attività professionali e, come sanno tutti quelli che lavorano con impegno e dedizione, si acquisisce con la pratica quotidiana. Non è una frase fatta l’affermare che non si finisce mai di imparare, nella vita come nel lavoro. Ma quello che fa la differenza, sicuramente nel mio caso come in quello di tanti colleghi – è la passione – e ne ho tanta – e la voglia di imparare e di correggere i miei errori giorno per giorno.

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Ricordo come, quando ero studente, decisi di frequentare a titolo gratuito un’officina del quartiere Lambrate dove il costruttore meccanico Sig. Vittorio Radaelli mi insegnò le basi della meccanica, fondamentali per sapere, almeno a grandi linee, come si progetta, si costruire e si ripara un treppiede, una montatura e gli altri organi meccanici di cui è fatto un telescopio. Questi insegnamenti di base sono ancora vivi nella mia mente e mi hanno permesso di avere successo nella mia carriera di riparatore di telescopi e accessori. La mia – pur modesta – competenza nel campo della meccanica applicata agli strumenti amatoriali è poi cresciuta negli anni per merito del mio amico astrofilo Maurizio Sirtori, di Brugherio. Maurizio è sempre prodigo di insegnamenti e consigli e mette spesso a disposizione la sua grande competenza quando mi aiuta a riparare montature, tubi ottici, treppiedi e anche cannocchiali e binocoli, che porto nella sua officina di casa. Un altro grande aiuto mi viene fornito, abbastanza spesso, da Davide Dal Prato, che arriva dove io e Maurizio non possiamo arrivare perché Davide dispone di un’officina più attrezzata e di un’enorme esperienza nel settore.
Ho poi avuto la fortuna di gestire un osservatorio astronomico personale – ormai purtroppo smantellato per motivi familiari – attraverso cui ho aggiunto alla mia esperienza anche la conoscenza delle camere CCD e dei software per l’acquisizione delle immagini. Non ho invece mai avuto la voglia e l’energia di approfondire il settore del post-processing, che di recente la fa da padrone nel mondo dell’astrofotografia.

FIG.1 – Plinio Camaiti in compagnia del collega Fabio Sandrini

Quali sono le tecnologie o i progressi recenti nel campo dei telescopi che trovi particolarmente utili o promettenti e quali quelli che ritieni superflui?

Almeno dagli anni 2000 l’industria dei telescopi e delle attrezzature collegate all’astronomia ha cavalcato con convinzione l’onda della digitalizzazione degli strumenti e chi si oppone fa, a mio avviso, una battaglia di retroguardia. Molto spesso è la ricerca astronomica professionale che è il vero volano della tecnologia degli strumenti: si pensi all’impetuosa evoluzione dell’imaging digitale, sia hardware (camere CCD/CMOS, encoder assoluti nelle montature) che software (post-processing di immagini, guida intelligente, plate solving, stacking, derotazione).
Nel settore dell’ottica è evidente la tendenza a offrire strumenti sempre più dedicati alla fotografia e quindi con schemi ottici aplanatici e a campo piano. Gli strumenti per puro uso visuale, a parte quelli entry-level, sono anch’essi diventati sempre più sofisticati e sono diventati una piccola nicchia, seguita da un pubblico motivato ma sempre meno numeroso. E l’industria si adegua alla domanda, come è ovvio.

Le tre innovazioni tecnologiche che vanno per la maggiore sono a mio avviso:
1) il puntamento assistito tramite App che sfrutta i sensori degli smartphone per guidare il principiante nel processo di puntamento degli oggetti. Mi riferisco alla tecnologia brevettata StarSense Explorer della Celestron, che offre un aiuto concreto agli astrofili principianti ed è tutto sommato una tecnologia “popolare” e a basso costo.

2) Le montature con riduttori a moto armonico, che sono compattissime e reggono tanto peso, sono a gioco e backlash zero, funzionano anche in altazimutale e non richiedono contrappesi. Inoltre pur avendo, per costruzione, un errore periodico ampio, è molto regolare e lento e quindi molto facile da compensare con l’autoguida.

3) I telescopi “smart”, ovvero gli strumenti totalmente automatici che sono stati inizialmente progettati per scopi divulgativi e che si sono rapidamente evoluti verso la fotografia astronomica del cielo profondo e verso la ricerca astronomica amatoriale e semi-professionali. Questi strumenti, come gli Unistellar, i Vaonis, il SeeStar, il Dwarf II o il più sofisticato Celestron Origin, sono oggetto di un vivace dibattito tra gli appassionati e che hanno indiscutibili vantaggi a fronte di pochi svantaggi pratici che però taluni sottolineano. La mia opinione è che questo tipo di telescopi sono il futuro perché possono essere usati anche in città, su un balcone striminzito, e sono progettati per agevolare al massimo grado sia i principianti che i più esperti. In pratica, zero problemi, niente fili, nessuna complicazione. Peccato che non siano adatti a tutto, ad esempio non sono adeguati per l’imaging di pianeti, ma diamo tempo al tempo.

 
Come bilanci la tua passione personale per l’astronomia con il lavoro quotidiano?

La mia passione per l’astronomia, che non è l’unica perché ad esempio mi piace molto l’osservazione e la fotografia naturalistica, può essere definita totalizzante perché occupa il mio tempo libero come il mio lavoro. Di fatto la mia mente è quasi sempre focalizzata sulla mia attività perché ho la fortuna di fare esattamente il lavoro che mi piace.

Cosa consiglieresti a un giovane astrofilo? Un telescopio smart o uno strumento classico?

Consiglio sempre ai principianti di partire con un libro di astronomia pratica (o in mancanza, una app astronomica) e con un buon binocolo non troppo potente, da sostenere a mano libera. Il passo successivo può essere un piccolo rifrattore su montatura altazimutale o un piccolo Newton come il mitico 114 o 130, ma non lo ritengo un passo obbligatorio. In generale il mio consiglio è più articolato: prima bisogna imparare a riconoscere le costellazioni ad occhio nudo, poi si può passare al binocolo per apprezzare stella colorate, ammassi e qualche nebulosa luminosa e poi, assieme ad alcune buone letture di base, imparare a conoscere la natura degli oggetti celesti. Passando al telescopio sarà fondamentale imparare, con pazienza, ad “osservare” più che a “vedere” gli oggetti del cielo.
I telescopi a puntamento automatico o addirittura gli smart telescope possono essere presi in considerazione da chi, dopo avere percorso il cammino che ho appena descritto, si vuole concentrare sull’osservazione o sulla fotografia degli oggetti più che sul loro puntamento a vista o a mano. Ovviamente c’è chi ricava soddisfazione proprio dal fatto di trovare da sé gli oggetti – come fanno gli appassionati visualisti che usano strumenti a puntamento manuale – ma si tratta di una nicchia di mercato.

FIG.2 – Plinio Camaiti con Maurizio Sirtori e André Bernasconi. Foto scattata Grottammare (AP)

Qual è il progetto o l’esperienza più gratificante a cui hai lavorato nel corso della tua carriera?

Mi sono piaciute molto le visite alle fabbriche americane dei telescopi Astro-Physics e TEC o agli stabilimenti bavaresi della Baader Planetarium. In quelle occasioni ho visto dal vivo come si costruiscono strumenti di alto livello e seguito le spiegazioni dei progettisti di questi strumenti di alta gamma, i maestri Roland Christen, Yuri Petrunin e Thomas Baader, che hanno fatto la storia recente dei telescopi amatoriali e professionali. Ma l’esperienza più bella l’ho avuta partecipando ad una edizione del Winter Star Party nelle isole Florida Keys. In una settimana ho avuto la possibilità di parlare a lungo di astronomia e di strumenti con veri maestri del settore come Al Nagler, Richard Berry, David Levy, Thomas M. Back, tutti disponibilissimi e di grande modestia.

 

In che modo la tecnologia sta cambiando il modo in cui concepiamo e utilizziamo i telescopi oggi?

Le nuove generazioni sono, in generale, molto meno disposte a fare fatica e percorrere tutti i gradini che noi “anziani” abbiamo dovuto affrontare per raggiungere i risultati desiderati. Inoltre il forte impatto culturale dei social network impone soprattutto ai giovani di ottenere “tutto e subito” per essere in grado di condividere immediatamente le foto ottenute. La tecnologia della strumentazione astronomica sta evolvendosi proprio in quella direzione, ovvero verso strumenti semi-automatici o automatici che non richiedono competenze particolari né esperienza e che consentono a chiunque di ottenere subito immagini pubblicabili sui social. Per chi appartiene, come me, alla vecchia scuola, tutto questo può sembrare squalificante, ma io sono ottimista e credo che alla fine lo sviluppo (a cui seguirà una probabile, forte discesa dei prezzi) spingerà sempre più le persone a interessarsi di astronomia, che la tecnologia avrà reso più alla portata, in senso tecnico e pratico, di tutti.

Cosa pensi dell’attuale evoluzione dell’astrofotografia?

Sto vedendo un salto tecnologico notevole, soprattutto perché, per merito dei filtri ottici progettati per ridurre l’inquinamento luminoso e per merito della grande evoluzione delle camere di ripresa e dei software che le controllano, è diventato oggettivamente fattibile per chiunque ottenere immagini strepitose, impensabili fino a pochi anni fa, anche dal balcone di casa e in piena città. Questo discorso vale sia per le riprese di Luna, Sole e pianeti che per le riprese degli oggetti del cielo profondo. Ho visto, di recente, una foto strepitosa e dettagliatissima della nebulosa “spaghetti”, che si trova nel Toro, ripresa da un astrofotografo che l’ha ottenuta dalla sua casa vicino a Monza con una strumentazione di medio livello. Tenendo presente che si tratta di un oggetto enorme, di debolissima luminosità e super difficile da “staccare” dal fondo cielo, si tratta di un risultato di grande rilievo, impensabile anche pochi anni fa. Nel caso della fotografia degli oggetti DSO è però necessario sottolineare che c’è da fare un grande lavoro di post-processing che non è alla portata di tutti e che prevede, spesso, l’acquisto di software costosi che oltretutto richiedono che l’utente segua un corso per raggiungere la necessaria competenza per utilizzarli.
Allo stesso modo, ci sono ormai centinaia di astrofotografi, sia italiani che stranieri, che ottengono dettagliatissime immagini planetarie con telescopi “normali”, ben sfruttati con le moderne camere digitali dedicate all’alta risoluzione e sfruttando la disponibilità di software di elaborazione, in questo caso tutti gratuiti come Autostakkert, Astrosurface, WinJups e Registax, che hanno raggiunto un livello di sofisticazione impressionante senza richiedere una particolare competenza da parte degli utilizzatori.
Va aggiunto che gli utilizzatori dei più recenti Smart Telescope non hanno nemmeno bisogno di fare post-processing perché ci pensa una App a fare tutto per rendere la foto già gradevole.
Nel complesso, la fotografia astronomica moderna mi sorprende ogni giorno di più.