Il rifrattore Verne 220 F/15 di Monfestino Parte 1: la creazione

Cari lettori di Binomania, in questo primo articolo vorrei  raccontarvi  l’avventura che ha portato alla costruzione  del rifrattore  220 f/ 15 di Monfestino.

Il grande rifrattore è lo strumento principale dell’osservatorio di ” Achropolis ” , espressamente dedicato all’osservazione della Luna e dei Pianeti con rifrattori a lungo fuoco.

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La possibilità di poter osservare con un cannocchiale di grande diametro a lunga focale, da sempre nei miei sogni  , ha potuto realizzarsi nel 2015 quando decisi di rivolgermi ad Istar: l’azienda americana, che attingeva allora dal grande bacino di Barride, si occupava dell’ottimizzazione delle ottiche per quanto riguarda i controlli finali ed i trattamenti antiriflesso ed aveva come target di mercato gli astrofili che avessero la possibilità e lo spazio di utilizzare rifrattori di grande apertura al di la’ del “guinzaglio” dei 6″, diametro per così dire limite per quanto concerne gli strumenti a rifrazione a livello amatoriale.

Quando scrissi a Mike Harden, avevo già adocchiato da tempo l’obiettivo ” lens in cell” 220-3300 acromatico in Bk7/F4 che avevano in listino ma la lavorazione offerta di lambda/4 non mi bastava, io volevo un rifrattore “research grade”.
Azzardai quindi a chiedere se fosse stato possibile avere un doppietto di quel diametro e focale ma con una lavorazione maggiore.
Dopo un paio di settimane Mike mi diede la risposta che aspettavo:
Avrebbero potuto fornirmi un doppietto custom in bk7/F4 lavorato a lambda/7 con certificazione da ben 220 mm e perdipiù avrebbero garantito un trattamento antiriflesso ottimizzato dagli ottici di Istar specificatamente per la correzione CeF da me richiesta e per l’osservazione planetaria. Tale intenso trattamento multistrato di nuova generazione, in concerto con l’ottima lucidatura garantitami, avrebbe conferito all’immagine una tonalità spiccatamente luminosa e il dettaglio, mi scrisse Mike, sarebbe ” popped out”.


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La propensione per un semplice quanto potente Fraunhofer a lungo fuoco che può apparire una scelta meramente nostalgica,veniva piuttosto dalla volontà di coniugare il meglio della conoscenza del passato ai progressi della tecnologia moderna; oggigiorno la qualità dei trattamenti e della lavorazione è arrivata a livelli insperabili per l’era doro dei rifrattori a lungo fuoco, ma dal passato abbiamo alcune cose da imparare:
Abbiamo fin troppo spesso dimenticato Il”turbo” che una lunga focale può aggiungere a qualsiasi configurazione, sempre alla ricerca del telescopio a tutti i costi tascabile: La profondità di fuoco, l’ insensibilità al seeing, il contenimento dello sferocromatismo, la semplicità di collimazione,l’ immediatezza di utilizzo.
Osservare la Luna a 335 ingrandimenti con un oculare da 10 mm senza nessuna barlow è un ‘esperienza ben diversa che farlo con oculari da 4-5 mm, grazie alla pupilla d’uscita i floaters ( le miodesopsie ) non danno il benchè minimo fastidio.
Un doppietto a lungo fuoco, naturalmente più sottile di uno a corto fuoco, non presenta le problematiche di acclimatamento di un tripletto di analoga apertura ed è meno soggeto nell’arco della notte ad i cambi di temperatura. L’utilizzo di oculari semplici come gli Huygens, i Ramsden o gli Ortoscopici garantisce, grazie ai minori passaggi aria-vetro, un’ immagine sempre contrastata e tridimensionale.

 

La profondità di fuoco di cui si può beneficiare da f 15 in su consente, infatti,  una volta raggiunta la perfetta messa a fuoco, di non dover focheggiare in continuazione per quasi tutto il resto di una sessione di osservazione, a tutto vantaggio del relax osservativo:  La maggiore insensibilità al seeing della quale si può godere grazie alla profondità di fuoco si palesa come una minore necessità di dover rifocheggiare sia in seguito alle variazioni di temperatura che alle oscillazioni atmosferiche ; l’immagine risulta più “calma”, ferma, marmorea.


Il doppietto, appollaiato a diversi metri dal terreno, è inoltre ben distante sia dalle correnti termiche che salgono dal terreno sottostante, sia dal calore generato da chi sta osservando: Non si pensa mai abbastanza a quanto il calore sprigionato dall’osservatore possa alterare la qualità delle immagini al telescopio, soprattutto quando esso, di dimensioni contenute, si trovi a poca distanza da chi sta osservando – figuriamoci se ad osservare si è in gruppo, magari tutti in movimento nell’atto di alternarsi all’oculare.. 

Il contrasto , la trasparenza e la nitidezza dell’immagine possono essere addirittura maggiori di quelli di un più classico tripletto apocromatico: Quest’ ultimo, possedendo un rapporto focale più spinto, generalmente f6-7 è formato da più elementi e di spessore maggiore, cause queste di maggior diffusione e assorbimento interni, oltreché di potenziali riflessi.
Il rapporto focale maggiore produce inoltre un piano focale praticamente piano, andando ad eliminare il problema della curvatura di campo, problematica che caratterizza tutti gli Apocromatici, anche quelli meglio lavorati.


Avrei finalmente visto coi miei occhi come performava sul campo una buona ottica di grande diametro e lunga focale rispetto al più comune ottimo apocromatico da 5-6″ e ad un atrettanto egregiamente lavorato acromatico a lunghissimo fuoco, entrambi di diametri “standard” ( erano presenti a Monfestino da 5 anni fra gli altri, un Takahashi fs 128 ed un acromatico 150 – 3000 egregiamente lavorato da Romano Zen nel 1984).
Il diametro maggiore ” semplicemente ” di buona qualità coi suoi Lambda/7 avrebbe fornito più dettaglio e contrasto rispetto ai perfettamente lavorati apocromatico e lunghissimo acromatico di diametro minore?

Ricordo le avide letture del meraviglioso ” Osservare i pianeti” del 1994 di Marco Falorni e Paolo Tanga nel quale i due osservatori planetari ci raccontavano che nella maggiorparte delle notti il divario in termini di quantità di informazione dell’immagine che intercorre guarda caso fra il diametro di 5-6″ ed il diametro di 8-10″ e’ più grande di quello che intercorre fra quest’ultimo ed un diametro di 12″-16″ . Questo dovuto alla grandezza delle celle dell’atmosfera.

interessante a riguardo questa lettura :

https://www.astronomia-euganea.it/drupa … tmosferica

Pensando ai disegni dettagliatissimi del pianeta Marte eseguiti fra gli anni 70′ dell 800 e gli anni 70′ del secolo scorso con rifrattori dagli 8″ ai 12″ a lungo fuoco viene da pensare che la scelta di tale range di apertura non fosse casuale.
Ricordo che lo Schiaparelli preferiva nello studio di Marte il 22 cm al Repsold Merz da 49 .

Il diametro di 220 mm era a questo proposito un diametro assai evocativo, di taglia analoga ( In realta ‘ 218 mm sempre ad f 15 ) era proprio il rifrattore del nostro Virgilio Schiaparelli seppur la sua correzione fosse CdE -ben corretto per il rosso – :

L’attenzione degli osservatori planetari di quell’epoca era principalmente rivolta allo studio del Pianeta Marte, furono le sonde , negli anni 60 ‘ del secolo scorso, a demolire definitivamente la possibilità che sul Pianeta Rosso fosse presente Vita intelligente.


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Riguardo all’intubazione avevo le idee ben chiare: La visita pochi mesi prima assieme agli amici Vincenzo Rizza “il direttore” e Francesco Fumagalli “il profeta” all’Aras di Milano dove era temporaneamente tenuto il Repsold Merz maggiore dello Schiaparelli, il 49 cm f 15, mi aveva profondamente colpito cosi come le due serate passate pochi mesi prima ad Arcetri ad osservare Marte con il 350 mm f 15 di Amici che utilizzava Marco Falorni.

 


Il rifrattore di Monfestino avrebbe avuto la livrea del cannocchiale di fine 800′ con i rivetti, i contrappesi ed i dettagli in bronzo, il focatore in ottone, le corone coi comandi a distanza in AR e gli spostamenti fini in declinazione, i freni per bloccare il pesante tubo agevolmente ; nulla sarebbe stato lasciato al caso, il colore sarebbe stato il mitico vrede vagone in dotazione ai gloriosi rifrattori Repsold Merz di quella romantica era dell’astronomia pre-sonde.

 

 

 


L’intubamento del ” Verne ” e’ stato sostanzialmente effettuato a chilometri zero, il timone in legno, così come i pomelli di regolazione li ho costruiti personalmente al tornio partendo da un’ asse  ricavata da un tronco di castagno del mio bosco, il tubo come le flange provengono da un officina meccanica situata a pochi km da Monfestino, i lavori di saldatura, di smerigliatura e carteggiatura come di carrozzeria sono stati eseguiti in loco.

 

 

Per quanto concerne la diaframmatura interna ho optato per una via di mezzo fra il concetto più moderno dell’utilizzo di tanti diaframmi come consiglia il caro amico Davide Dal Prato e le più minimaliste direttive dei vecchi maestri come Mauro Meco che aveva risposto alle mie numerose telefonate con santa pazienza, di metterne pochissimi;
dieci diaframmi perfettamente anneriti e distanziati fanno compagnia al vellutino messo all’interno di tutta la lunghezza del tubo. il vellutino interno adesivo è stato annerito ulteriormente nei 70 cm più vicini al doppietto grazie all’utilizzo del nero fumo di una candela, vecchio trucco semplice quanto vincente che rende la superficie così trattata nerissima, impedendo il crearsi di qualsiasi riflesso indesiderato, provare per credere.

L’amico Maurizio Sirtori ha costruito la flangia sciftante sulla quale è alloggiato il focheggiatore : Grazie ad essa può essere comodamente verificata la collimazione dall’oculare, che sarebbe altrimenti disagevole, data la lunghezza focale di 3334 mm.
Il focatore da 3″, costruito completamente in ottone, e’ di per se una piccola opera d’arte e proviene da un osservatorio in Germania; un focheggiatore elicoidale in bronzo aggiuntivo funge da demoltiplica ” ante litteram” per la focheggiatura fine, ma serve anche per la collimazione del Chromacor che sta all’interno ( di questo parlero’ in dettaglio nei prossimi interventi).
Il paraluce, lungo 80 cm, è essenziale sia per evitare che si crei condensa nella lente nei mesi primaverili, sia ai fini di scongiurare che lo sporco ed i pollini si depositino sulla grande lente.
La barra sovradimensionata con gli anelli, lunga 1 mt, compartecipa a diminuire i rischi di vibrazione ed è accompaganata da una particolare struttura chiamata ” hargreaves strut “, in sostanza un cavo stazionato in tensione fra l’estremità dell’asse di declinazione e la parte finale del tubo, presso la flangia del doppietto, il cui scopo è quello di rendere più stabile la struttura. Sono presenti altri cavi che parendo sempre dall’asta dei contrppesi possono essere tirati fino al focatore.

 


Nulla è lasciato a caso per quanto concerne il rifrattore lungo:
Tanti piccoli quanto importanti particolari fanno si che una imponente e pesante struttura possa essere manovrata con la punta di un dito.


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Proprio in quel periodo mi aveva contattato il caro amico Vincenzo Rizza il “Direttore”, confidandomi che il cavalier Domenico Gellera di Lodi, grande osservatore di doppie nonchè vicepresidente dell’Aras illo tempore, avrebbe potuto cedere la sua gigantesca montatura parallattica risalente agli anni 60′, con assi da 60 mm, braccio tangente, dal peso complessivo di più di 200 kg e dalla granitica robustezza. Non esitai un momento.
Quella sarebbe stata la montatura che avrebbe retto il 220 mm.
La settimana successiva la mia Golf di ritorno da Lodi sembrava un catamarano in autostrada a causa del grande peso caricato :D : La gloriosa montatura alla quale il Gellera aveva dedicato due anni di vita era ora nella mia macchina, caricata in una decina di grandi contenitori in legno: Il cavaliere l’aveva smantellata negli anni 90′ e da allora giaceva inutilizzata nell’ umido della sua cantina, era venuto il momento che potesse risorgere.
Ricordo i momenti passati con Domenico nella sua biblioteca , fra gli appunti e i quaderni con i disegni di Marte appartenuti al De Mottoni, i libri sul Pianeta Rosso, le lettere ricevuti dagli osservatori planetari e di stelle doppie negli anni 60′ e 70′..


Proprio quel giorno, al ritorno, approfittando del fatto che fosse di strada, mi sarei dovuto fermare da un gentile astrofilo di Reggio Emilia, Daniele Borghi, con il quale avrei dovuto concludere una trattativa per un oculare. Quando Daniele, una volta accortosi di quanto avevo in macchina mi offrì il suo aiuto per riassemblarla mi resi conto non solo di aver incontrato una persona assai disponibile, ma che la mia buona stella mi stava seguendo:
Da quel giorno e’ nata una fraterna amiciza con Daniele senza il quale non so come sarei riuscito a rimettere insieme la gloriosa quanto enorme montatura, non potevo sapere che Daniele era un bravo tornitore nonchè titolare di un’ officina meccanica :dance:



Nel frattempo i giorni passavano e mentre aspettavo l’arrivo del doppietto dagli Stati Uniti e lavoravo sull’ intubamento mi andavo a rileggere il bellissimo articolo che Ivano Dal Prete aveva scritto in un numero de “L’Astronomia” di inizio anni 90′ riguardo la sua visita all’osservatorio di Brera e al suo emozionante ed emozionato resoconto circa l’osservazione del pianeta Giove. Non sapevo che anche io avrei con il 220 Istar riscontrato sul gigante gassoso analogie con quanto lui aveva visto quella notte .



A Monfestino potevo dedicarmi ai lavori sul basamento .
Avevo optato per saldare assieme 4 fogli di ferro spessi 5 mm alti 1 mt e 70 fino a creare una struttura a parallelepipedo che una volta lavorata con il flessibile e la smerigliatrice, avrebbe dovuto avere l’aspetto del monolito di ” 2001 Odissea nello spazio” .

Questa struttura, saldata a sua volta su una base in ferro di 1.20 mt per 1.50 spessa 2 cm poggia su di un base di fogli di castagno spessi 25 mm , alta 35 cm e può’ essere collimata grazie a 4 viti calanti m 30 che anch’esse reggono parte del peso. Per metà e’ riempita di cemento armato mentre per la seconda metà di ghiaia e sabbia; solo la colonna senza montatura pesa quasi 800 kg. La collimazione fine della montatura può essere eseguite tramite 4 prigionieri saldati sulla colonna stessa che si inseriscono nella medesima.
Una volta arrivata da Reggio Emilia la montatura potevo procedere con la messa in opera della colonna prima e allo stazionamento della montatura poi, grazie ai potenti mezzi di Monfestino, un glorioso trattore fiat del 1963 con benne ;) grazie al quale ho potuto spostare agilmente la tonnellata abbondante di astronomica portata.
La montatura era rimasta per un paio di mesi nell’officina di Daniele : Il lavoro di pulizia delle parti disassemblate che erano state corrose dal tempo e dalla ruggine e del rimontaggio dei pezzi smontati 20 anni prima ha richiesto un lavoro certosino, le ore dedicate alla rimessa in opera, fra me e Daniele , sono nell’ordine delle centinaia. Anche la monatura veniva dipinta nel verde vagone consigliatomi dal Gellera.

E qui arriva l’inaspettato.
Questi lavori erano stati effettuati per comodità all’interno del sagrato della chiesa medioevale dove si svolgono le sagre e le feste estive e avrei dovuto successivamente portare il tutto nella mia proprietà entro la quale sono alloggiati altri rifrattori a lungo fuoco, fra i quali lo Zen 150 f 20 . Mai avrei immaginato che il responsabile del comitato del paese per le feste evocative storiche ed il parroco di Monfestino il caro Don Franco Misley  mi proponessero l’utilizzo del sagrato medievale come locazione definitiva ove poter stazionare il grande rifrattore.

Il Verne veniva posizionato in loco, a fianco della torre campanaria del 400′, immerso nel silenzio in una cornice storica assolutamente unica.


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Il sagrato e’ situato nel borgo medioevale a fianco del castello del 1200.
Monfestino si trova in una posizione dI dominanza unica nel quadro dell’ Appennino modenese.
Situato a 850 mt slm nelle giornate terse è possibile spaziare come da un grattacielo su tutta la Pianura Padana dagli archi di Calatrava di Reggio Emilia alla Ghilandina a Modena sino a San Luca a Bologna. Certi giorni sembra di toccare a Nord le prealpi orobiche.
La qualità del cielo e’ particolarmente buona durante tutto l’arco dell’anno.

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Come si vede dalle immagini la posizione di osservazione al rifrattore è abbastanza bassa rispetto al terreno, infatti il cannocchiale e’ stato ottimizzato per seguire comodamente il cammino dei Pianeti e della Luna in cielo senza l’utilizzo di scale, scopo principale dell’osservatorio e’ quello dello studio degli oggetti del sistema solare.


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Questa è la storia di come è nato il cannocchiale.

 

 

Nelle prossime settimane vi racconterò delle osservazioni condotte la scorsa Estate.
La correzione cromatica CeF del 220 f 15 si è rivelata essere vincente sul Pianeta Giove, a dismostrazione del fatto che i rifrattori acromatici sono de facto eccellenti telescopi planetari, in particolar modo allorquando lo shifting cromatico sia ottimizzato per il target osservato. Schiaparelli sapeva assai bene che il suo 22 cm, corretto bene per il rosso – CdE – sarebbe stato un eccellente cannocchiale “marziano”. Parimenti per Venere e Urano la corrzione FeD – il blu ben a fuoco – potrebbe essere la migliore.

A Monfestino è infatti presente un altro grande rifrattore, con correzione FeD, ma anche di questo parleremo più avanti.

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