L’astigmatismo negli obiettivi dei rifrattori

di Raffaello Braga

Recentemente sono entrato in possesso di un rifrattore da 12 cm affetto da un certo astigmatismo che con un po’ di buona volontà sono riuscito a eliminare. Il fatto mi ha ricordato di altri casi analoghi che ho avuto l’opportunità di esaminare nel corso del tempo – l’astigmatismo è un’aberrazione ottica tutt’altro che infrequente sia negli obiettivi acromatici sia negli apocromatici – e mi ha dato lo spunto per scrivere questo articolo nella speranza che possa essere utile ai lettori che si trovano, o potrebbero trovarsi, ad usare uno strumento astronomico non propriamente perfetto.

CENNI PRELIMINARI

Per prima cosa ricordiamo cos’è l’astigmatismo facendo uso delle convenzioni dell’ottica geometrica e semplificando un po’ l’argomento per non tediare il lettore (che potrà trovare qualche utile riferimento bibliografico alla fine dell’articolo).

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Immaginiamo che l’obiettivo sia intersecato da due superfici perpendicolari tra loro che chiameremo piano sagittale e piano tangenziale (o meridionale) e che i raggi che convergono lungo questi piani giungano a intersecarsi nel medesimo punto, il fuoco. In un obiettivo non astigmatico il fuoco sagittale e il fuoco tangenziale coincideranno, in uno astigmatico no: in corrispondenza del fuoco sagittale i raggi tangenziali formeranno una linea contenuta nel piano sagittale, nel fuoco tangenziale i raggi sagittali formeranno una linea contenuta nel piano tangenziale. Lontano da questi i raggi formeranno un’ellisse e a metà strada tra i due fuochi si troverà il circolo di minima confusione, dove si trova il miglior fuoco astigmatico:

Origine dell’astigmatismo (da H. Rutten, M. van Venrooij, Telescope Optics, Willmann-Bell). I raggi tangenziali vanno a fuoco in “b”, i sagittali in “d”. In “c” si trova il circolo di minima confusione.

In presenza di astigmatismo il disco di Airy non appare più come in un’ottica perfetta (immagine a sinistra qui sotto) ma, nel punto di miglior fuoco, genera una figura a croce che disperde energia al di fuori del disco spurio e genera pertanto un errore sul fronte d’onda che si somma a quelli delle altre aberrazioni eventualmente presenti.

Nei rifrattori apocromatici la forma a croce che si osserva a fuoco può inoltre essere colorata: un ramo della croce avrà il colore che orla l’immagine di diffrazione intrafocale e l’altro ramo il colore che si osserva in extrafocale (in genere sono il magenta e il verde): in questo caso pur essendo un’aberrazione geometrica l’astigmatismo finisce per generare anche un’aberrazione cromatica.

COME SI RICONOSCE L’ASTIGMATISMO

Per individuare l’eventuale presenza di astigmatismo nei rifrattori occorre effettuare uno star test preceduto da alcune operazioni preliminari, vale a dire:

  • rimuovere eventuali deviatori
  • controllare la collimazione con l’oculare Cheshire o almeno col metodo del cartoncino e se possibile collimare l’obiettivo nel caso i riflessi non fossero concentrici
  • verificare che le eventuali prolunghe necessarie per mettere a fuoco si possano serrare tra loro e col portaoculari senza inclinarsi
  • indossare occhiali correttivi se si è astigmatici (evitare gli occhiali di tipo progressivo in quanto generano facilmente un astigmatismo spurio)
  • inserire nel percorso ottico un filtro verde o giallo-verde che servirà a isolare il colore per il quale un obiettivo acromatico o apocromatico fotovisuale è maggiormente corretto
  • selezionare un oculare che dia una pupilla d’uscita di 1 millimetro o leggermente inferiore.

A causa della necessità di non utilizzare deviatori è opportuno effettuare il test su una stella artificiale che ci permetta di tenere il tubo poco o nulla inclinato per osservarla comodamente, altrimenti bisognerà ricorrere a una stella ben alta sull’orizzonte: ciò può costringere ad assumere pose scomode se il sostegno del telescopio non è sufficientemente elevato, e questa è una cosa da evitare assolutamente perché il test per l’astigmatismo non è affidabile se l’asse ottico dell’occhio non coincide con quello del telescopio e se i muscoli della faccia e del collo sono in tensione; se è il caso, quindi, non bisogna farsi troppi problemi a sdraiarsi per terra mettendo qualche rialzo dietro la testa e scegliendo una stella convenientemente posizionata.

Puntata la stella si sfuoca leggermente tra le posizioni intrafocale ed extrafocale alternandole rapidamente. Se l’immagine di diffrazione si allarga in una ellisse il cui asse maggiore cambia orientamento di 90° tra le due posizioni siamo in presenza di astigmatismo.

POSSIBILI CAUSE E RIMEDI SUGGERITI

L’occhio dell’osservatore

L’astigmatismo è un difetto visivo molto comune e sulle prescrizioni degli occhiali da vista è quantificato sotto la voce “cilindro”. L’importanza di questo difetto decresce al decrescere della pupilla d’uscita perché il pennello di luce che arriva dall’oculare utilizza solo una piccola porzione centrale di cornea che di solito è la meno aberrata, questo è il motivo per il quale il test sopra descritto va effettuato a piccole pupille d’uscita. Per essere sicuri di averlo escluso è bene comunque indossare gli occhiali correttivi, se ne abbiamo bisogno.

Su qualche trattato di ottica astronomica si legge, piuttosto semplicisticamente, che per sapere se è l’occhio ad essere astigmatico invece del telescopio basta ruotare la testa e vedere se così facendo ruota anche l’ellisse: se ciò accade allora la colpa è dell’occhio e fine della storia. Questa indicazione è fuorviante: il fatto che l’immagine di diffrazione ruoti con la testa non esclude affatto che anche il telescopio possa essere astigmatico, tuttavia l’esaminatore frettoloso può non rendersene conto e terminare qui il test. Ma c’è di più: questa prova ha un senso solo a grandi pupille d’uscita come quelle che si ottengono dai binocoli, perché allora basta un leggero astigmatismo per vedere un’ovalizzazione: a piccole pupille d’uscita, invece, dobbiamo essere davvero fortemente astigmatici per vedere l’immagine di diffrazione ellittica, ma se siamo così tanto astigmatici allora vuol dire che portiamo anche gli occhiali (a meno di non essere autolesionisti) e dunque basta indossarli durante il test come si diceva più sopra.

L’oculare

Bisogna avere una grossa dose di sfortuna per incappare in un oculare astigmatico al centro del campo. Comunque i sacri testi dicono che è bene ruotare l’oculare nel portaoculari (tenendolo ben in asse) per vedere se l’orientamento dell’ellisse cambia, se è così allora anche l’oculare contribuisce, in tutto o in parte, al difetto. Sinceramente in quasi quarant’anni di osservazioni astronomiche non ho mai trovato un oculare astigmatico al centro del campo, nemmeno i più scassi, ma non posso escludere di essere stato particolarmente fortunato e che in realtà ne esista qualcuno, meglio dunque controllare.

La collimazione

L’ultimo decennio ha visto l’introduzione sul mercato di una varietà impressionante di rifrattori, in maggioranza apocromatici o semiapo, basati su progetti ottici differenti. Ciascun progetto rivela un eventuale difetto di collimazione in modo differente: alcuni obiettivi mostrano della coma, altri astigmatismo, altri un mix dei due. Il classico rifrattore di Fraunhofer, ad esempio, è corretto per la coma su un campo molto ampio e quindi se sarà scollimato potrebbe dare luogo principalmente ad astigmatismo.

In presenza di questo difetto la prima cosa da fare è pertanto controllare la collimazione – argomento sul quale mi sono già trattenuto – controllo che NON si fa sul cielo ma col solito cartoncino o, molto meglio, col Cheshire. Se anche dopo collimazione (ammesso che ce ne fosse bisogno) l’astigmatismo persiste allora il difetto è nei vetri (vedi più sotto).

L’assemblaggio nella cella

Una volta che i vetri dell’obiettivo sono stati alloggiati nella loro cella devono essere fissati perché non si spostino. Può accadere che nel montaggio di fabbrica si sviluppi una tensione eccessiva e in questo caso, se non è uniformemente distribuita lungo il perimetro delle lenti, può dare luogo ad astigmatismo, anche se in genere un obiettivo tensionato tende a generare immagini di diffrazione poligonali più che astigmatiche. In ogni caso nulla ci vieta di allentare leggermente la ghiera frontale della cella per vedere se cambia qualcosa.

La forma dei vetri

Questo è il caso più comune: nell’obiettivo di un rifrattore ci sono come minimo quattro superfici ottiche da lavorare e quindi il rischio che in una o più di esse rimanga un residuo di astigmatismo tale da rendersi visibile allo star test non è trascurabile. Non ci sono molti margini per intervenire, purtroppo, ma almeno due possibilità vanno prese in considerazione.

Se l’obiettivo è collimabile e abbiamo verificato che una volta collimato è astigmatico si può provare a… scollimarlo: introducendo intenzionalmente un astigmatismo che compensi in tutto o in parte quello insito nei vetri possiamo infatti arrivare a ottenere una centrica decente, a patto ovviamente che l’obiettivo sia ben corretto per il coma altrimenti eliminiamo un problema per ottenerne un altro. La correzione va fatta per tentativi, procedimento lungo e tedioso che è bene condurre di giorno su una stella artificiale perché ogni volta che si inclina la cella bisogna prendere nota della posizione assunta dai riflessi visibili al Cheshire, controllare poi l’effetto che ha sull’immagine di diffrazione e via di questo passo finché non si arriva al risultato voluto (ammesso che ci si arrivi). Il sistema funziona solo con decentramenti molto piccoli, altrimenti scollimando l’obiettivo in misura sensibile altre aberrazioni intervengono a degradare l’immagine.

La seconda possibilità è applicabile soltanto ai rifrattori a doppietto e consiste nel ruotare i due vetri tra loro finché l’astigmatismo di uno compensi quello dell’altro. Conditio sine qua non perché il procedimento funzioni è che entrambi i vetri siano astigmatici in qualche misura, e questo è fortunatamente (?) il caso più comune.

Il procedimento esatto dipende dalle caratteristiche costruttive di ciascuna cella. In genere occorre:

  • svitare la cella dal tubo e disporla orizzontalmente su una superficie ampia, morbida e pulita (se ci scivolasse una lente non vogliamo che si rompa o si sporchi)
  • svitare la ghiera frontale di tenuta
  • togliere l’anello che preme direttamente sulle lenti
  • sollevare le lenti agendo su quella posteriore che andrà adagiata su un rialzo in modo che l’obiettivo sporga dall’estremità frontale della cella, la quale viene sfilata verso il basso
  • segnare con una matita sul bordo non lucidato delle lenti la loro posizione reciproca come riferimento e per poter eventualmente ripristinare il loro orientamento originario; si presti attenzione a non cancellare eventuali segni di riferimento fatti dal costruttore durante il montaggio
  • sollevare con la massima delicatezza la lente frontale, ruotarla di 30°-40° e adagiarla nuovamente sullo spaziatore (in genere un anello) o sugli spaziatori (tre pezzetti d’alluminio) avendo cura di rimetterli esattamente nella posizione originaria qualora sollevando la lente dovessero spostarsi
  • se tra le due lenti sono visibili degli anelli di Newton (si possono vedere illuminando l’obiettivo con una luce forte, meglio se monocromatica) si possono utilizzare per verificare che la spaziatura sia stata ripristinata correttamente: gli anelli devono essere circolari e concentrici al centro geometrico dell’obiettivo
  • riportare le lenti nella cella avendo cura che non si inclinino e soprattutto non si incastrino perché le tolleranze tra cella e lenti sono di solito strettissime.

A questo punto si rimette la cella sul tubo, se necessario (e possibile) si collima e si procede con lo star test. Se la situazione è migliorata ma l’astigmatismo non è scomparso del tutto si può ripetere la procedura ruotando ancora un po’ la lente frontale dapprima nel senso della rotazione precedente poi, se l’astigmatismo fosse peggiorato, nella direzione inversa. Dopo un po’ di tentativi si arriverà a ottenere un’immagine di diffrazione se non perfettamente circolare (i due vetri potrebbero avere un astigmatismo di entità differente e quindi non del tutto reciprocamente compensabile) almeno accettabile (quanto lo vedremo più oltre).

Il tutto va fatto in un ambiente pulito, ben illuminato, asciutto e il più possibile secco, senza toccare le lenti con le dita (usando invece un panno per le ottiche) e tenendo la bocca ben chiusa (meglio se protetta da una mascherina) per non inumidire i vetri col fiato o la saliva. In inverno è bene fare tutto l’intervento all’esterno per evitare di appannare l’obiettivo portandolo in casa.

Attenzione a una cosa: lungo il loro perimetro le lenti possono non avere esattamente lo stesso spessore; la correzione del colore viene pertanto massimizzata in fase di assemblaggio facendo coincidere il settore più spesso di una lente con il settore più sottile dell’altra per evitare che lo spazio tra esse assuma la forma di un cuneo (è il cosiddetto wedge error): se dopo la rotazione della lente frontale si nota del colore spurio (rosso da una parte e blu dall’altra) non attribuibile all’atmosfera, controlliamo innanzitutto la disposizione dei distanziatori per verificare che sia corretta, se così fosse vuol dire che ruotando le lenti abbiamo generato un errore cromatico e non ci resta perciò che tornare sui nostri passi.

Col sistema sopra descritto ho personalmente curato una dozzina di rifrattori, compresi dei doppietti apocromatici, ma ovviamente non mi assumo alcuna responsabilità nel caso il lettore voglia cimentarsi egli stesso nell’impresa, soprattutto se lo strumento è in garanzia perché lo smontaggio dell’obiettivo la invalida irrimediabilmente.

Ovviamente la procedura di cui sopra non è applicabile agli obiettivi a tripletto, a quelli cementati e a quelli spaziati in olio.

VALUTARE L’ENTITA’ DEL PROBLEMA

L’astigmatismo sull’asse ottico è un’aberrazione fisiologica in quasi tutti gli obiettivi astronomici, rifrattori e riflettori, perché la lavorazione delle ottiche, soprattutto quelle mass market, è ben lungi dall’essere perfetta. Come scrive Harold Suiter a proposito dell’astigmatismo, solo “few instruments have none”, e a meno di non essere possessori di uno di quei “few instruments” potremmo perciò essere costretti a tollerarne un po’, la domanda è quanto: se infatti un fotografo del cielo profondo può non essere troppo esigente da questo punto di vista, un osservatore di stelle doppie certamente non vorrà usare un rifrattore che al posto dei dischi di Airy gli mostri delle crocette.

Qui il Suiter ci viene in soccorso con un criterio di facile applicazione. Con la formula

Defocus = 0.0176 F^2 (mm)

si calcola di quanti millimetri occorre muovere il tubo fuocheggiatore rispetto alla posizione di fuoco – in direzione intrafocale ed extrafocale alternativamente – per ottenere un defocus di 4 lunghezze d’onda (a 550 nm) se F è il rapporto focale del rifrattore: ad esempio per un f/9 occorre spostare il tubo di 1.4 mm rispetto al miglior fuoco (per eseguire il calcolo si può usare più semplicemente il programma Aberrator). Se così facendo l’immagine di diffrazione – che con questo defocus apparirà molto espansa – sarà ancora ellittica vuol dire che l’astigmatismo è eccessivo. Nella situazione ideale già a 2 lunghezze d’onda di defocus (0.0088 F^2) l’ellitticità non dovrebbe più essere percepibile. Come si vede dalle figure qui sotto quello di Suiter è un criterio abbastanza restrittivo: a 4 lunghezze dal fuoco un astigmatismo di 1/8 d’onda, situazione non infrequente, è ancora lievemente visibile nelle immagini intra ed extrafocali.

1/8 d’onda di astigmatismo con un defocus di 4 lambda: anche se molto poco l’ellitticità della figura di diffrazione è ancora evidente, anche se forse a un esame superficiale può passare inosservata.

Questo criterio vale naturalmente considerando l’astigmatismo da solo, ma nella maggior parte degli strumenti questo si sommerà alle altre aberrazioni presenti e quindi alla fine bisognerà valutare la qualità complessiva dell’obiettivo mettendolo alla prova anche nell’osservazione del cielo, su Luna, pianeti e stelle doppie in particolare: se infatti ci limitiamo allo star test allora sono ben pochi gli strumenti in grado di superarlo senza mostrare nemmeno una lieve aberrazione.


BIBLIOGRAFIA

  • H.D. Taylor, The adjustment and testing of telescope objectives, (Cooke, 1921)J.
  • B. Sidgwick, Amateur Astronomer’s Handook, (Dover, 1971)
  • H. Suiter, Star testing astronomical telescopes (Willmann-Bell, 2008)