Telescopio astronomico Vixen VMC 260L: impressioni d’uso

PREAMBOLO

Nel mese di settembre 2014, cedendo ad un grave attacco di strumentite, mi sono regalato un Vixen VMC 260L. Precedentemente ho posseduto un Mewlon 210, molto apprezzato, il quale aveva alcune specifiche caratteristiche che successivamente mi sono mancate, e che ho quindi ricercato in un altro OTA.

In particolare, l’elemento caratterizzante di cui ho sentito la mancanza è stata l’assenza di lastra/menisco “full aperture”. La lastra/menisco da un lato ha effetti positivi (maggior protezione dello specchio e teoricamente minor turbolenza interna), dall’altro ha effetti negativi (tendenza ad appannarsi e allungamento dei tempi di acclimatamento). Per il tipo di utilizzo che avevo in mente per questo telescopio gli svantaggi della presenza della lastra superavano i vantaggi, così ho proceduto nella scelta.

SPECIFICHE TECNICHE

I dati tecnici riportati dalla casa sono i seguenti:

Disegno ottico

Riflettore Cassegrain modificato
VMC: Vixen original Maksutov Cassegrain

Apertura

260 mm

Lunghezza focale

3000 mm

Rapporto focale

f/11.5

Back focus (dal bordo posteriore del corpo focheggiatore)

149.4 mm

Back focus con riduttore (dal bordo posteriore del riduttore)

63.5 mm

Coating

DiElectric Coated

Potere risolutivo

0.45 arc. sec.

Magnitudine limite

13.8

Capacità di raccolta luce

1380 x

Cercatore

Opzionale

Filetto adattatore

60mm / 50.8mm

Astrofotografia

Fuoco diretto, proiezione oculare ed afocale

Lunghezza

650 mm (26.7″)

Diametro

304 mm (12″)

Peso

10.9 Kg (24 lb)

Fig.1 – Un bel primo sul Vixen VMC 260

Ho personalmente misurato 65 cm dal copri obiettivo alla culatta, e 72 cm compresa la manopola di messa a fuoco. Il peso sulla bilancia indicava 10,3 Kg senza cercatore ma con avvitato il Baader Click-lock e una piastra Vixen femmina piccola che uso come marcatore di posizione per l’equilibrio del tubo.

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SCHEMA OTTICO

Lo schema ottico è proprietario Vixen, in particolare si tratta di un catadiottrico (combinazione di lenti e specchi) derivato dalla famiglia dei sub-aperture Maksutov. E’ dotato di uno specchio primario sferico da 26 cm di diametro (aperto a f/2.5), un secondario (non ho trovato dati sicuri sul fatto che sia anch’esso sferico) supportato da un robusto spider, che ha il compito di reggere anche un sistema di due lenti correttrici (menisco), attraversate quindi ben 2 volte dal fascio ottico (prima e dopo riflessione del secondario) prima di arrivare al punto focale.

Fig.2 – In questa immagine si può notare il grande specchio primario da 260 mm di diametro


Vixen dichiara che questo disegno elimina l’aberrazione sferica e la curvatura di campo, mantenendo un contrasto molto elevato
. Anticipando le conclusioni, mi sento di poter tranquillamente confermare quest’affermazione.
Lo specchio primario è mobile, il che consente di disporre di un back-focus molto ampio, pur se modificando la lunghezza focale nominale a seconda del punto di fuoco.

Il VMC ha dei “fratelli minori” (95L, 110L, 200L) ed un fratello maggiore (330L). Il paragone con il 200L appare immediato, ma si tratta di due disegni tutto sommato abbastanza differenti.

Nel  Vixen 200L lo specchio è fisso e il fuoco si raggiunge con un focheggiatore esterno sulla culatta, inoltre il menisco è formato da una singola lente. Il 200L corrisponde in pieno allo schema “Field-Maksutov” (dal nome dell’amatore Australiano Ralph W. Field, che fu uno dei primi a sviluppare i calcoli per tale tipo di menisco ed a realizzarlo per un primo telescopio reale), mentre nel 260L le lenti correttrici sono, come già anticipato, due. Rientrando comunque nella categoria dei “sub aperture Maksutov”, in base alle mie amatoriali ricerche sono portato a dire che lo schema ottico sia una variante originale sviluppata da Vixen.

L’altra sostanziale differenza con il 200L è il primario mobile, con un sistema di messa a fuoco per traslazione dello stesso, quindi concettualmente simile a quella degli SC più diffusi.

Esiste un riduttore di focale dedicato, che moltiplica la focale per un rapporto di 0.62x, riducendo la stessa da 3000 a 1860, e portando la velocità fotografica dello strumento a f/7.1. Non dispongo di tale riduttore e non ho potuto provarlo, quindi non esprimo alcun giudizio in merito.

ASPETTI MECCANICI

Fig.3- Un primo piano sulla slitta per il collegamento alle montature astronomiche

Esteticamente si tratta di un tubo molto “originale” nel panorama degli OTA più diffusi, essendo colorato di un verde metallizzato veramente piacevole al mio occhio (no, non è il motivo per cui l’ho comprato. Si, c’è un certo piacere edonistico in questo), con finiture bianche (estremi del tubo). So esistere anche una versione denominata “PERL” che, com’è facile intuire, ha il tubo color bianco perla invece che verde metallizzato. La versione qui descritta è dotata di slitta in standard Vixen, senza cercatore e visual back.

E’ disponibile una slitta femmina per ospitare cercatori standard Vixen/GSO/SW, ed un raccordo da 2″ sulla culatta. La slitta per cercatore è comoda e consente di usare cercatori meno costosi dei bei Vixen, mentre il raccordo che si avvita sul filetto (M60) è una delle cose più oscene che mi sia capitato di vedere, rispetto al livello del prodotto. E’ piccolo, con due vitine ridicole ed un grano per consentire la corretta assialità. Consiglio di sostituirlo subito con qualcosa di meglio, io ho optato per un Baader Click-Lock che trovo molto comodo (ben gestibile anche al buio), rapido, e robusto.

La parte frontale del telescopio è protetta da un leggero tappo piano in metallo con incastro a pressione. Aspetto positivo è il fatto che sia leggero (un copri ottica pesante non serve a nulla), ma il meccanismo a pressione è estremamente poco efficiente, il tappo viene via da solo (mi risulta naturale posizionare l’OTA poggiato con il tappo verso il basso, inizialmente alzando il tubo il tappo rimaneva per terra…) e per migliorare la pressione è necessario ingegnarsi un poco, ad esempio spessorando internamente con del nastro isolante. Qui Vixen poteva fare di meglio. Perdono tuttavia facilmente queste piccole “ingenuità” perché facilmente risolvibili, e perché tutto il resto è di ottima fattura.

 

Il tubo è dotato nella parte superiore di una comodissima maniglia. Quando l’ho vista inizialmente ho pensato che fosse “simpatica”, ma non particolarmente utile, invece dopo averla provata la ritengo un ottimo valore aggiunto, che consente di maneggiare (e montare) il tubo con estrema facilità.

La slitta Vixen è dotata di una simpatica accortezza, ovvero una barra in alluminio avvitata su uno dei lati della slitta stessa. La sua funzione è quella di evitare di rovinare la barra a coda di rondine in fase di serraggio. Probabilmente è un’idea intelligente, soprattutto se il tubo viene fissato su morsetti che fanno presa direttamente con le viti, ma ha due svantaggi:

  • primo svantaggio: le viti non consentono di “infilare” la slitta nei morsetti vixen più stretti, come ad esempio quello della montatura EZTouch;
  • secondo svantaggio: la morsa o vite che fa presa non opera direttamente sulla slitta, ma su un elemento aggiuntivo, lasciando un “microlasco” che, pur non avendo all’atto pratico nessuna reale controindicazione, concettualmente mi infastidisce un po’.

Tra l’altro va considerato che ormai (almeno sulle mie montature) le morse sono dotate di barra a pressione che non spinge in un solo punto ma copre una certa lunghezza con maggior sicurezza e senza rovinare nulla. I tempi cambiano…

 

Il tubo non è “piccolo e leggero”, risulta tuttavia ancora facilmente gestibile da una sola persona senza particolari problemi. Io lo utilizzo sia su una montatura William Optics EZTouch, in modo completamente manuale, per un set-up operativo in meno di 2 minuti (ovviamente è organizzato anche lo stocaggio del telescopio, protetto in armadio riparato nel balcone, e della montatura W.O.), sia su una Atlas EQ-G (equivalente Orion della più famosa AZ-EQ6), per un set-up operativo in 5-6 minuti. La Atlas, utilizzata prevalentemente in altazimutale, regge l’OTA con disinvoltura, smorzando le vibrazioni in un paio di secondi o meno. La EZTouch è al suo limite, la utilizzo senza contrappesi per “pigrizia”, ma reagisce ancora bene anche se capisco di avvicinarmi al limite di fluidità dei movimenti, e le vibrazioni vengono smorzate in circa 3/4 secondi. Resta tuttavia un setup estremamente rapido con circa 10″ di apertura, non male! Il tubo corto poi è facile da manovrare manualmente, la posizione dell’oculare in altazimutale resta praticamente sempre la stessa (un tubo più lungo ha la posizione dell’oculare con molta più escursione alto-basso) ed è più difficile da sbilanciare. A volte ho letto che un tubo corto in altazimutale manuale sia meno adatto, ma personalmente non sono di questo parere.

Il Vixen VMC 260 L montato sulla montatura ATLAS PRO

La solidità del tubo è ottima, risulta ben fatto ma non eccessivamente massiccio, mi da l’idea di non essere “overengineered”, che è cosa buona, ma di certo è un tubo robusto. Il livello di finiture è buono, non pari ai “blasonatissimi” ma nemmeno molto distante.

Un discorso a parte va fatto per il focheggiatore. Ho avuto diversi SC, un paio di Maksutov ed anche il Mewlon 210 con il medesimo sistema di focheggiatura per traslazione del primario. Ero quindi ovviamente preparato a dover gestire l’image shift. Dei telescopi sopra citati, gli SC hanno lo shift più evidente, seguiti dal Mewlon. Si sono sempre comportati meglio i Maksutov Sky-Watcher (ne ho avuti 2, uno da 7″ e uno da 5″), ma l’image shift è sempre stato presente.

Con mia ENORME sorpresa, il VMC NON presenta alcun image shift, almeno non rilevabile all’osservazione visuale, nemmeno ad elevati ingrandimenti. Forse è eccessivo affermare che non vi sia alcuno shift, ma francamente l’ho rilevato in misura leggerissima (stimo non più di 4″) a 600x, quindi mi permetto di affermare shift nullo. Un vero plauso a Vixen per questa realizzazione.

Tra l’altro, la manopola del focheggiatore ha una forma peculiare per cui il prolungamento ha una manopola più stretta, mentre la base è più larga. Questo consente di usare la parte finale, stretta, per movimenti “rapidi”, essendo facile da far ruotare rapidamente (ampia variazione del fuoco), e di usare la parte larga vicino alla culatta per una regolazione “fine” (variazione del fuoco più precisa). Il diametro maggiore della manopola infatti consente un maggior controllo della focheggiatura, che in connubio ad un movimento preciso e fluido fa quasi sembrare di utilizzare un focheggiatore demoltiplicato.

Il fatto di non avere un focheggiatore esterno offre il vantaggio di consentire di fisare gli accessori direttamente sulla culatta, ottenendo così una maggiore robustezza del treno ottico collegato al telescopio, sia esso un oculare, una pesante binoculare, o un sistema di ripresa.

In particolare, per quanto riguarda l’osservazione binoculare, a fronte dello svantaggio di modificare la lunghezza focale alle varie posizioni di fuoco, con lo specchio primario mobile si ha il grosso vantaggio di avere una quantità di back-focus enorme (come d’altronde per gli SC e i Mak, e più del Mewlon 210, che in binoculare arrivava proprio “al limite”), che agevola l’utilizzo di molti accessori. Probabilmente anche quelli fotografici, ma non essendo astrofotografo non mi sbilancio su questo punto.

ASPETTI OTTICI – PARTE PRIMA

In realtà questo scritto nasce senza parti successive, non avrebbe rigorosamente bisogno di una “prima parte” relativa all’ottica, tuttavia nei circa 4 mesi in cui ho potuto usare il telescopio il meteo non è stato molto clemente, dando relativamente poche occasioni per testare e provare, mai con condizioni eccellenti, e quasi mai con condizioni veramente buone, quindi sostanzialmente mi sarei ripromesso di “integrare” il tutto con future considerazioni relative alle osservazioni, una volta provato più in dettaglio. Non so se farò questa cosa, intanto riporto le mie impressioni dopo pochi mesi di utilizzo (pur se non intensivo).

Dovessi partire dalla fine direi sostanzialmente che quest’OTA funziona davvero bene, ne sono estremamente soddisfatto. La (lunga) focale di 3 metri favorisce ovviamente un utilizzo ad ingrandimenti medio/alti, non si tratta di certo di un telescopio da “rich field”.

Il contrasto dell’immagine è molto elevato, più di una volta ho osservato facendo fatica a rendermi conto del field stop dell’oculare usato (nel senso che bisognava proprio andarlo a cercare), tanto è “scuro” il fondo cielo. Le tinte sono piene, la differenza di intensità tra le parti scure e le parti chiare dell’immagine è netta ed evidente.

Le stelle, ed i dettagli degli oggetti diffusi, sono molto puntiformi, e l’immagine è ben definita non solo a centro campo ma anche verso il bordo. Questo è un aspetto che va evidenziato, quasi tutto il campo offerto è nitido e ben corretto (nota: almeno fino ad oculari da 24mm e 68° di c.a., che ho provato).

Fig.5 – L’adesivo sul tubo ottico descrive le caratteristiche principali di questo telescopio astronomico a schema ottico misto

Ho fatto una prova inquadrando M41, con oculari Panoptic 24 (in torretta binoculare), guardando stelle molto vicine (non vere e proprie doppie strette, ma il concetto è simile) ho provato a portarle al bordo del campo inquadrato, per vedere dove la perdita di definizione non consentiva più di distinguerle, arrivando al 90-95% del campo inquadrato senza notare aberrazioni! Un risultato sicuramente notevole, nessun astigmatismo, nessuna coma evidente all’osservazione. Stesse prove fatte anche con altri soggetti puntiformi vicini al limite di risoluzione consentito dalle serate (il seeing non mi ha consentito di avvicinarmi al potere risolutivo teorico dello strumento) ha prodotto i medesimi risultati.

Non mi esprimo sulla planarità del campo, probabilmente un filo di curvatura ai bordi c’è perché rifocheggiando leggermente l’oggetto spostato a bordo oculare ho la sensazione di guadagnare qualcosa in definizione anche in quell’ultimo 5-10%. Come anticipato, queste prove sono state fatte con oculari da 24mm di focale e 68° di campo apparente, per un risultato -teorico- di 125 ingrandimenti e 0,54° di campo reale inquadrato. Dico “teorico” perché ho la sensazione che gli ingrandimenti fossero un poco superiori, probabilmente a causa della modificata distanza tra primario e secondario (nessuno dei quali piano) per la focheggiatura richiesta in torretta.

La visione nitida e precisa su tutto il campo è poi particolarmente piacevole nell’osservazione della superficie lunare, settore in cui questo telescopio sicuramente eccelle, offrendo una visione sia di dettaglio che globale di qualità molto elevata, in quanto contemporaneamente tutta nitida.

Il fatto che il secondario sia supportato da un robusto spider è ovviamente fonte di un’immagine di diffrazione a crociera sugli oggetti più luminosi. Questa cosa ovviamente può non piacere, questione di gusti. Per me che sono “nato” sullo schema Newtoniano non è un problema, da anni ci sono abituato e non mi da alcun fastidio. Tra l’altro in media non degrada particolarmente l’immagine (anche se teoricamente abbassa i valori dell’MTF), a meno di casi specifici (ad esempio una stella doppia esattamente in asse con una delle raggiere di diffrazione, ovviamente in quel caso la luce diffusa ridurrà l’informazione fruibile!), sull’osservazione lunare non si nota nulla, sull’osservazione di Giove non da alcun fastidio. Invece per me offre anche alcuni vantaggi, è cosa generalmente poco “sfruttata”, ma gli spikes di diffrazione a crociera possono essere utilizzati per una buona messa a fuoco. Se infatti l’immagine è spostata in intra-focale o extra-focale le raggiere sono “sdoppiate”, e sono univoche solo nel punto preciso di fuoco, agevolando l’operazione medesima.

Lo “snap test”, ovvero il punto preciso di fuoco, è univoco e preciso, e questo depone a favore della qualità ottica del sistema.

Dal punto di vista del cromatismo il telescopio si comporta ottimamente (dopo aver sistemato un problema iniziale di cui relaziono in apposito successivo paragrafo), la tonalità è neutra, molto simile a quella offerta da rifrattori di indiscusso pregio. Per confronto, l’immagine di un ottimo C11 ha un timbro leggermente più caldo, anche se non di molto. La timbrica è simile a quella offerta dal Takahashi TSA 102, che però ha un bianco ancora più freddo/neutro.

Ho ritenuto di render conto del cromatismo avendo lo schema al suo interno due lenti, di fronte al secondario.

 

Un reale difetto dell’ottica, abbastanza anomalo e che non avevo riscontrato in questo modo in altri telescopi, consiste in una sorta di “illuminazione” del campo inquadrato, causata dagli oggetti luminosi posti al di fuori di questo, ad una distanza angolare ben precisa (per fortuna limitata). La cosa è tanto più evidente quanto più è luminoso l’oggetto fuori campo (ad esempio lo è con Giove), fino a diventare fastidiosa se è in gioco la luna. Curiosamente il riflesso sparisce completamente se l’oggetto è direttamente inquadrato (quindi l’osservazione dell’oggetto medesimo NON risente di illuminazioni strane o riflessi fantasma) e si manifesta con l’oggetto fuori dal campo inquadrato di “un bel po'”, che potrei stimare addirittura circa un grado fuori dal campo inquadrato con i Panoptic 24! Quest’area di “fastidio” peraltro è molto limitata, perché basta, appunto, avvicinare o allontanare l’oggetto di pochissimo e l’effetto sparisce, tuttavia in alcune peculiari posizioni da oggettivamente fastidio.

Quest’OTA regge bene gli ingrandimenti rispetto al diametro, sono arrivato sulla Luna (soggetto ad alto contrasto) a 600x (Pentax XW 5mm) con immagine ancora leggibile, anche se “difficile”, pur in condizioni di seeing non buono (oscillante attorno a 5 Pickering). Purtroppo non ho ancora avuto occasione di provarlo sotto un seeing davvero buono, ma le aspettative sono estremamente elevate.

Per quanto riguarda la collimazione, la meccanica fa bene il suo lavoro. La collimazione è molto facile, perfettamente prevedibile, e si effettua solo sul secondario (come con gli SC)  con le classiche 3 viti a 120°. Non mi ha portato via troppo tempo, l’unica vera difficoltà iniziale è stata avere una sera con seeing sufficiente per procedere, e sta reggendo bene da un paio di mesi (nel senso che non l’ho più ritoccata e mi sembra proprio sia rimasta dove l’avevo lasciata, a differenza di altre esperienze con tubi in cui ritoccavo ogni utilizzo o due).

VIXEN VMC 260 L  vs CELESTRON CPC 1100

Nessuna vera e propria comparativa stretta (pari condizioni fino ad oculari dello stesso schema e qualità che fornissero medesimi ingrandimenti), ma ho potuto fare alcune osservazioni affiancandolo ad altri telescopi. Il più simile ed interessante affiancamento probabilmente con un Celestron CPC1100, che ritengo tra l’altro un esemplare particolarmente ben riuscito.

Fig.6 – Il Celestron CPC 11, in primo piano e il Vixen VMC 260 L, sullo sfondo

Ho potuto effettuare alcuni confronti in alcune serate diverse. Nelle prime occasioni di affiancamento l’esemplare di VMC soffriva di astigmatismo e cromatismo per eccessivo tensionamento del gruppo di lenti del secondario (vedi nota a fine articolo) ma questi problemi sono stati completamente risolti allentando il gruppo ottico.

Nelle osservazioni (soprattutto in riferimento a Luna e Giove) non mi sono concentrato sull’identificazione delle formazioni, quanto piuttosto prevalentemente su un “enigmistico” cercare le differenze.

PRIMO AFFIANCAMENTO

La prima volta, con entrambi i telescopi sul balcone, operativi dalla sera precedente e protetti da un telo Geoptik, utilizzati entrambi in altazimutale (il CPC sulla sua forcella, il VMC su montatura Orion Atlas EQ-AZ). A vantaggio del CPC una maggiore stabilità e rapidità di smorzamento delle vibrazioni, praticamente immediato, tuttavia anche il VMC sull’Atlas smorza le vibrazioni tra 1 e 2 secondi, risultando in un’ottima performance.

Gli accessori usati, anche scambiandoli tra i due telescopi, sono stati:

  • visore binoculare Baader Mark V con ortoscopici baader GO (18 e 12,5), diagonale prismatico baader;
  • visore binoculare William Optics con oculari in dotazione (20mm 66°CA) e diagonale a specchio WO;

Seeing discreto (attorno a 6 Pickering). Durante le osservazioni non ho rilevato piume di calore in nessuno dei due OTA, segno di un decente acclimatamento.

M42 – GREAT ORION NEBULA

Nebulosa estesa e piena di chiaroscuri in entrambi i telescopi. Non rilevo evidenze differenti tra uno e l’altro. Nel trapezio le 4 stelle sono facilmente visibili in entrambi, ma più puntiformi nel VMC. Nel CPC percepisco la E, nel VMC la vedo chiaramente e percepisco la F. Rispostandomi sul CPC vedo meglio di prima la E, FORSE, ma non ne sono sicuro, a tratti intuisco la presenza della F (forse più che altro perché so che ci deve essere). Devo tuttavia anticipare che in un’osservazione successiva, in simili condizioni, ho avuto la sensazione opposta, di percepire melgio la E nel CPC1100 (sicuramente leggermente più luminosa, pur se meno puntiforme del VMC).

In questa fase dell’osservazione, il VMC è stato usato con il binoculare W.O. (3000/20=150x) e il CPC con binoculare Baader Mark V (2800/18=155x). Il visore Baader con oculari GO è qualitativamente migliore del WO, tuttavia la puntiformità resta migliore nel VMC. In linea generale, mi sento di dire che il VMC concentra la luce in un punto più piccolo rispetto allo SC, però il CPC è più luminoso. Il VMC ha il vantaggio di avere quasi tutto il campo corretto ed omogeneo.

GIOVE

L’osservazione è proseguita con l’osservazione di Giove fino all’albeggio.

Ancora, la visione era simile in entrambi i telescopi, in questa occasione il VMC ha reso più facile leggere il micro-dettaglio, che appariva leggermente più impastato nel CPC. I festoni erano più netti, le bande tropicali nord e sud più definite, alcune bande chiare apparivano più nettamente nel VMC. Anche qui però in una successiva serata la situazione si è parzialmente invertita, la maggior luminosità del CPC1100 ha giocato a suo favore. Ho sentore che queste differenze di resa possano essere dipese dalla situazione di reciproco acclimatamento (la variabile principale essendo il CPC, il VMC va in temperatura prima e la mantiene meglio -è aperto!-).

Un punto parzialmente a vantaggio del VMC è la resa del colore rispetto al CPC, il VMC rende i “bianchi” di Giove in modo più neutro, mentre nello SC la tonalità di colore è più calda. Va detto che questa è una cosa rilevabile solo con i due tubi affiancati, solo con lo SC la percezione del bianco resta ottima e solo confrontandolo con un “bianco diverso” si percepisce la differenza.

Secondo affiancamento (1 novembre 2014)

Osservando a partire dalla mezzanotte fino alle 5 del mattino, la situazione era simile alla precedente, ma ho rilevato meno differenze, con un seeing meno generoso che livellava le prestazioni. I dettagli visibili erano gli stessi, osservando sempre in torretta alternando Mark V + Baader GO e TV Pan 24 da una parte, e William Optics standard dall’altra, su entrambi gli OTA.

Anche in tale occasione le differenze più evidenti erano il fondo cielo più scuro nel VMC (osservando con gli  ortoscopici GO si faticava a vedere il field stop, che era più facile da individuare nel CPC1100, probabilmente anche a causa della sua maggior luminosità). Maggior contrasto per il  VMC, con una sensazione di bianco più intenso e nero più profondo. Nel VMC tuttavia c’è l’evidente presenza degli spikes sugli oggetti luminosi, anche su Giove fino a 300x, che ovviamente nello SC non sono presenti. La sensazione confermata è comunque di avere stelle più puntiformi sul VMC, maggior luminosità con il CPC1100.

Terzo affiancamento (1 gennaio 2015)

Seeing medio/buono (tra 6 e 7 Pickering), trasparenza buona, umidità assente, temperatura da 0° a -2° a calare nel corso della notte (tra l’1 e le 4 del mattino), sempre sul terrazzo di casa con i tubi distanziati di un paio di metri, entrambi predisposti il pomeriggio precedente ed esposti all’aperto, che hanno quindi avuto tempo per acclimatarsi, come confermato dal successivo test sulle piume di calore, non presenti. Devo ammettere che sul terrazzo non è la condizione ideale per un test definitivo, sono anche convinto che le correnti convettive possano essere diverse, in momenti diversi su punti anche così poco distanti, quindi tutte le affermazioni sono da prendere “cum grano salis”. Stavolta l’assenza di umidità (e forse il seeing migliore) hanno giocato a favore del CPC (no condensa lastra e prestazioni migliori). Entrambi i tubi ben collimati. Nell’occasione, oltre alle solite prove con le binoculari già precedentemente citate, sono state fatte prove con oculare singolo (diagonale TeleVue Everbrite ed oculari Pentax XW).

Tabella ingrandimenti:

 

VMC 260L

CPC 1100

Mark V + PAN 24

125x CR 0,544 PU 2,1

117x CR 0,58 PU 2,4

Mark V + Takahashi Abbe 18

167x CR 0,27 PU 1,5

156x CR 0,29 PU 1,8

Pentax XW 20

150x CR 0.47 PU 1.7

140x CR 0.5 PU 2

Pentax XW 10

300x CR 0.23 PU 0,9

280x CR 0.25 PU 1

 

Oggetti osservati con il VMC

Luna al terminatore: la luna è ben definita e netta, contrasto elevatissimo, miriade di particolari. Distorsione geometrica al bordo dovuta all’oculare, ma particolari ben netti e definiti su tutto il campo visivo, molto rilassante.

Giove: si notano NEB e SEB frastagliate, le calotte, varie altre bande. Alcuni inspessimenti in NEB, e frastagliature. A tratti un grosso festone, molto sottile, quando il seeing migliora. Una sottile banda bianca che evidenzia la STrZ a tratti, quando seeing migliora, come per il festone.

M42: visibile il trapezio, la “E” con poca difficoltà, estremamente puntiforme, a tratti intuibile la “F”. Nebulosità estesa con frastagliature.

M41: oggetto molto esteso, fuoriesce appena dal campo inquadrato. Stelle puntiformi, visibili i loro colori. Eccellente la visione omogenea e definita delle stelle fino al bordo campo.

Rispetto al VMC, il CPC si è comportato meglio delle volte precedenti. La “F” era più facile e visibile con più costanza (un po’ meno fine e più luminosa), lo stesso per la banda bianca che evidenziava la STrZ ed il festone su Giove. Forse, ma sono incerto, su M42 un chiaroscuro più evidente vicino al trapezio.

Dovendo sintetizzare delle conclusioni tra questi due telescopi, direi che:

  • il CPC è leggermente più luminoso e meno contrastato. Ritengo possa derivare dalla combinazione di oculari utilizzati su entrambi i tubi, confermata anche dal fatto che il CPC ha più diametro e meno focale, quindi su osservazioni simili il CPC ha meno ingrandimenti e maggiore PU, ma penso dipenda anche dalle caratteristiche intrinseche dei due telescopi;
  • il VMC fa stelle più puntiformi, sia al centro sia soprattutto spostandosi progressivamente verso il bordo, dove la coma dello SC comincia a farsi sentire già dal 60-70% del campo, degradando parzialmente l’immagine. Nel complesso l’immagine del VMC è più godibile qualora si stiano osservando oggetti estesi (es M41 o Luna). Su nebulosità diffuse (es M42) la cosa non è così evidente;
  • il fondo cielo nel VMC mi pare mediamente più scuro, indipendentemente dalla PU. Rilevo che il confine tra il campo inquadrato ed il field stop dell’oculare è più evidente nell’SC che non nel VMC. Questo viaggia di pari passo con la sensazione di maggior contrasto;
  • la tonalità dei colori nel VMC è neutra, la Luna è bianca come ad occhio nudo. Anche il CPC ha una resa cromatica neutra, anche se la tonalità è leggermente più calda (non di molto). Per paragone, la tonalità del VMC è molto simile a quella del Takahashi TSA 102.

Va anche detto che il CPC sicuramente vince per stabilità generale, ergonomia e funzionalità dell’elettronica (ma qui si sconfina sul tema della montatura).

Per quanto riguarda la mia personale preferenza osservativa:

  • sulla Luna ho indubbiamente preferito il VMC, immagine piena, contrastata e netta fino al bordo. Ad un esame comparativo delle varie formazioni “minute”, avevo migliore evidenza nel VMC. Le formazioni c’erano anche nel CPC, beninteso, ma erano più immediatamente leggibili e riconoscibili nel Vixen (ad esempio, i craterini al terminatore o le cuspidi appena illuminate avevano forma più netta nel VMC. Non penso fosse una questione di contrasto, visto che la luna ne ha una buona riserva, ma piuttosto una questione legata alla maggior puntiformità del VMC). Classica situazione in cui quello che viene prima visto in un tubo (VMC) viene poi individuato anche nell’altro (CPC), ma non viceversa;
  • su Giove visione simile, il maggior potere risolutivo del CPC gli può far spuntare particolari fini (tipo il festone e la sottile banda chiara subtropicale dell’ultima osservazione), se seeing collimazione ed acclimatamento collaborano contemporaneamente. Su Giove nel VMC ci sono circa gli stessi dettagli, onestamente “più fini” (come del resto su tutte le immagini) il che può anche renderne più difficoltoso il discernimento, alle volte l’immagine è più “facile” nello SC, altre volte più definita nel VMC. Va anche considerato che l’ingrandimento, pur simile, non era mai esattamente lo stesso;
  • su M42 darei un sostanziale pareggio;
  • su M41 darei il vantaggio al VMC per contrasto, puntiformità stellare e mantenimento della qualità d’immagine fino al bordo.

VIXEN VMC 260 L vs CELESTRON C14

Siamo franchi, qui stiamo parlando di un confronto contro un telescopio con una decina di centimetri di diametro in più, quindi assolutamente impari. Il C14 in questione era un esemplare Starbright Fastar non XLT.

Osservazione in presenza di umidità, cielo trasparente, seeing discreto ma che non consentiva di salire molto con l’ingrandimento (tra 6 e 7 Pickering, più spesso 6).

 

Il VMC si è comportato bene, il contrasto e l’incisione dell’immagine sono risultati piacevoli, anche se l’immagine è sempre stata più “nervosa” rispetto a quanto osservato nel telescopio più grande, cosa che ho reputato collegata al tubo chiuso dalla lastra correttrice del C14. Putroppo come detto la serata non godeva di eccellente seeing, ma solo medio/buono, il che ha consentito di arrivare solo ad ingrandimenti sui 320x nel C14 e  sui 240x nel VMC (Baader GO 12,5 in binoculare), a scendere fino a circa 165 sul C14 e 125 nel VMC (Panoptic 24, sempre in binoculare). Sicuramente entrambi possono fare di meglio in condizioni di maggior stabilità dell’aria.

Fig.7 – Il magnifico Celestron C14, contro il “piccolo ” Vixen VMC 260 L

Le osservazioni hanno riguardato M42, che mostrava un trapezio evidente, percepibili le stelle “E” ed “F” senza sforzo. Un osservatrice non esperta (e nemmeno astrofila) ha visto la “E” senza suggerimento alcuno, ma la “F” solo dopo aver indicato che forse avrebbe potuto vedere qualcosa in quella zona. Le stelle avevano un leggero rinforzo su un lato, cosa dovuta a mancanza di collimazione fine.

E’ stata osservata M1, la “Crab nebula”, ben estesa e facilmente percepibile.

Giove ha offerto una buona visione, pur disturbata da un leggero micromosso. NEB SEB evidenti con frastagliature varie, calotte rigate, presente una tonalità azzurrina su due uncini in fascia equatoriale. Visibile senza sforzo la GRS con una tonalità salmone, ed una certa “confusione” (ma senza vero dettaglio) della parte di banda equatoriale che segue la macchia. Era visibile, evidente e netta, l’ombra di un transito di un satellite. Stupidamente non mi sono segnato quale fosse, ero più preso dal confronto.

Le descritte osservazioni sono state effettuate la sera, e sono riprese la mattina, trovando Giove più inciso (forse gli specchi maggiormente in temperatura) ma senza eventi particolari (GRS o transiti). I satelliti risultavano ben identificabili come dischetti di diametro diverso, e non come semplici puntini.

In questa serie di osservazioni, il C14 ha offerto un’immagine leggermente più grande e contemporaneamente più luminosa. M42 offriva più dettagli nell’intricata nebulosità (difficili da descrivere a parole) ed erano più evidenti sia la “E” che la “F” nel trapezio.

Su M1 onestamente non ho rilevato molta differenza, mi aspettavo francamente di più dai 14″, invece l’immagine era molto simile. Probabilmente in questo caso servirebbe un cielo più scuro o un miglior adattamento al buio.

Giove nel C14 è più facilmente ed immediatamente leggibile, i dettagli sono più evidenti e facili. La risoluzione percepita è leggermente maggiore, la GRS è più immediata netta ed evidente, si distinguono al suo interno almeno un paio di diverse tonalità salmone. I vortici che seguono la GRS sono osservabili con evidenza, e l’immagine è meno turbolenta nel grosso SC.

In questo contesto non ho percepito differenza di tonalità sui bianchi tra i due tubi, ed anche il contrasto mi è parso simile.

Il C14 in proporzione regge meno l’aumentare degli ingrandimenti, l’immagine si sfalda prima ripsetto al VMC al ridursi della PU (ciò va letto nel senso che il C14 regge comunque più ingrandimento in termini assoluti, ma meno in proporzione al diametro).

Il C14 inoltre si appanna. La mattina ad un certo punto vedevo meglio nel VMC, nel C14 tutto era sbiadito. Dopo un colpo di “phon” sulla lastra del C14 però sembrava avessero acceso le luci (nell’immagine al telescopio, intendo!).

La serata presentava comunque parecchia umidità, la mattina tubi risultavano letteralmente bagnati nelle parti esterne in metallo.

VIXEN VMC 260 L vs TAKAHASHI FS 102 S

Una fugace prova con un Takahashi TSA 102s al fianco, senza dati oggettivi per cui riporto solo sensazioni.

L’immagine del rifrattore è “perfetta”, ciò che si vede è contrastato e netto, senza sbavature, senza difetti. Ovviamente il limite di questi telescopi è il diametro, pur se sfruttato al massimo, ovviamente non si possono infrangere le barriere delle leggi fisiche.

Tuttavia il confronto ha consentito di confermare la piacevolezza dell’immagine del VMC, non voglio definirla “da rifrattore apo”, ma sinceramente posso tranquillamente definirla “da Maksutov di alto livello”, l’unico “disturbo” vero essendo rappresentato dagli spikes di diffrazione dello spider porta secondario.

Anche il contrasto del VMC è competitivo con quello dell’apo, e l’immagine nella sua globalità è altrettanto piacevole, rimanendo i campi stellari (e lunari) finemente puntiformi e definiti fino al bordo. Come piacevolezza, non siamo molto distanti.

Ovviamente il diametro conta, e qui ci sono ben 16 cm in più a favore del VMC, che è in grado di evidenziare particolari più fini sul terminatore lunare in condizioni di seeing medio (stimato circa 6/10).

Va anche ricordato che qui si parla di ingrandimenti relativamente bassi, dai 150 ai 200, il seeing non consentiva oltre, e quindi siamo nel range teorico della parte “buona” della MTF di un 4″. Probabilmente potendo alzare gli ingrandimenti si evidenzierebbe il vantaggio del VMC, tuttavia lo stesso non può allargare più di tanto il campo inquadrato, che resta dominio incontrastato dell’apo (le Pleiadi, il doppio ammasso in Perseo e queste categorie di oggetti sono “impagabili”, completamente inquadrate nel rifrattore, cosa che non si riesce a fare nel Vixen).

Fig.8 – Il supporto dello specchio secondario del Vixen VMC 260 L

ULTERIORI CONSIDERAZIONI

Ho comprato il tubo presso l’importatore Skypoint di Udine, che si è dimostrato cortese e professionale. In particolare, dopo la prima prova ottica dell’OTA, mi sono reso conto che qualcosa non andava per il verso giusto. Il tubo mostrava cromatismo sulla Luna, ed allo star test c’erano evidenti segni di astigmatismo, non solo a bordo campo ma anche al centro. Questo tubo non avrebbe dovuto soffrire di tali aberrazioni, quindi il venditore è stato prontamente contattato per segnalare il problema. In questo si è manifestata in pieno la professionalità, in quanto il tubo è stato riportato in sede, ed è stato tentato un intervento tecnico di riparazione che, qualora non avesse prodotto i risultati sperati, avrebbe comportato la sostituzione del telescopio con altro nuovo.

Fortunatamente non c’è stato bisogno di sostituire nulla, e altrettanto fortunatamente il problema era “di poco conto”. In pratica il tutto era dovuto all’eccessivo serraggio del gruppo ottico correttore di fronte allo specchio secondario, che risultava troppo tensionato ed introduceva le aberrazioni sopra descritte. Dopo aver allentato l’eccessivo serraggio, ed aver lasciato il tempo necessario alle lenti per riprendere la loro forma naturale, i problemi sono completamente spariti, infatti come descritto nella parte ottica il tubo non soffre né di cromatismo né di astigmatismo.

Presumibilmente l’eccessivo serraggio deve essere stato dovuto ad una sovrastimata dose di “sicurezza” in previsione dei trasporti internazionali. In verità, cercando in rete ho trovato almeno un altro caso di un utente con un simile problema, risolto allo stesso modo.

Sicuramente l’intervento di sistemazione avrebbe anche potuto essere “casalingo”, ma essendo il telescopio nuovo ho preferito appoggiarmi a chi è competente in materia, e che si è dimostrato professionale sia dal punto di vista tecnico che da quello commerciale. Ora il telescopio è otticamente perfetto!

OPS! L’IMBALLAGGIO!!!

Ah, si! C’è. E’ di cartone con polistirolo all’interno. Protegge l’OTA. Non è a matrioska in stile Takahashi ma fa il suo dovere.

LE MIE CONCLUSIONI

Cercavo un tubo di qualità, facile da gestire, rapido da acclimatare (considerato che può stare all’esterno pur se ben riparato), che non si appannasse, che potesse essere messo in funzione in pochi minuti all’occorrenza sull’altazimutale manuale EZTouch, che avesse un diametro ragionevole per non rimpiangere troppo aperture più significative.

Fig.9 – Come compito a casa è utile studiare lo schema ottico di questo telescopio

Ho trovato un tubo robusto ma compatto e relativamente leggero, che non si appanna e va in temperatura in tempi ragionevoli (in considerazione del diametro) e regge le variazioni di temperatura del mio luogo di residenza (credo attorno ai 46° e 18′ N, circa 600 m SLM) abbastanza facilmente.

Se ho fretta, o voglio fare un “mordi e fuggi” (bello fare mordi e fuggi con 26 cm…) lo tiro fuori dall’armadietto ed è sulla EZTouch in 2 minuti, completo di torretta binoculare. Dopo una mezz’ora/tre quarti d’ora generalmente si può iniziare ad alzare gli ingrandimenti.

Se ho voglia di stare comodo, oppure ho più tempo, o non ho voglia di far fatica ad inseguire, in 6 minuti (cronometrati… senza allineamento) è sull’Atlas EQ-AZ, comodo comodo in altazimutale per osservare rilassato.

Ho trovato più contrasto di quanto mi aspettassi e immagini ben definite e puntiformi, con una buona raccolta di luce. Ho anche trovato un bel campo piano e ben definito, senza astigmatismo e coma in visuale, al di sopra delle aspettative.

Non è un telescopio da grandi campi, ma per quello ho altro, tuttavia la lunga focale, che all’inizio mi preoccupava un poco, ho visto che consente di avere facilmente gli ingrandimenti “giusti” per il tipo di osservazioni in cui specializzo questo tubo.

Otticamente l’unico difetto reale è rappresentato dai citati riflessi di oggetti luminosi fuori campo (in poche posizioni specifiche possono diventare fastidiosi). Per “dovere di cronaca”, insieme a questo ricordo l’esistenza dell’immagine diffrazione della crociera del secondario perché può non piacere, anche se a me non da affatto fastidio essendovi abituato fin dalle mie prime osservazioni.

 

E’ un telescopio che mi sta dando molta soddisfazione, mi fa venire in mente quei “segreti ben custoditi” di cui ogni tanto si parla, tanto che alla fine mi chiedo perché non ho deciso di fare il passo prima.