L’osservazione del cielo da una grande città

PREMESSA

Fare astronomia tra le luci di una città cercando di sopravvivere all’inquinamento (non solo luminoso) e in mezzo a case, lampioni, strade e ferrovie, è un’abilità che viene richiesta sempre più spesso a chi mostra interesse per l’osservazione del cielo. L’espandersi dei centri urbani e la delocalizzazione delle attività commerciali e industriali fa sì che molti piccoli centri abitati, da cui un tempo si poteva ancora godere della vista del cielo stellato, vengano oggi inglobati in aree all’interno delle quali la visione del cielo notturno è fortemente compromessa dall’illuminazione pubblica e privata, soprattutto quella connessa al proliferare dei shopping centers. All’interno delle grandi città, le vecchie aree industriali dismesse vengono sempre più spesso convertite all’edilizia residenziale o commerciale determinando un netto incremento dell’inquinamento luminoso. I tempi in cui Giovanni Schiaparelli poteva scrivere nei suoi appunti di aver osservato la nebulosa delle Pleiadi, la luce zodiacale, il Gegenschein e tantissime comete dal centro di Milano con un telescopio da 22 cm appartengono a un’epoca che oggi ci sembra tanto remota quanto quella in cui vissero i dinosauri.

Un appunto di Giovanni Schiaparelli dall’Osservatorio di Brera nel 1877. “Luce zodiacale brillantissima a Ponente” – si legge – con “fulgore uguale alla Via Lattea stessa”. Leggendo queste note si fatica a credere che siamo a Milano, in pieno centro cittadino.
I contorni della nebulosa delle Pleiadi tracciati da Schiaparelli come li vedeva attraverso il rifrattore Merz da 218 mm. E’ il 1881 e già l’astronomo si lamentava che il cielo milanese “non era più quello di una volta” a causa del diffondersi dell’illuminazione elettrica nelle strade e nelle stazioni ferroviarie. Io non sono mai riuscito a osservare questa nebulosa da Milano se non nelle vicinanze di Merope in notti limpidissime spazzate dal vento.

Per chi vive all’interno di aree urbane, inoltre, non è sempre facile disporre di una postazione osservativa in grado di mostrare la maggior parte del cielo; spesso occorre accontentarsi di qualche spicchio e non sempre nella direzione più favorevole (il sud). Chi utilizza un balcone il più delle volte perde la visibilità del cielo in prossimità dello zenit, oscurato dalla tettoia o dal balcone soprastante, e non è sempre possibile trasferirsi col telescopio sul tetto del caseggiato o in una zona aperta.

Nonostante queste premesse è totalmente falso che da un sito urbanizzato non si possa fare astronomia, non si possano raggiungere ingrandimenti elevati o vedere dettagli alla superficie dei pianeti, come mi capita spesso di leggere sui social da parte di astrofili poco informati o poco esperti. Anche da una città si possono fare molti tipi di osservazioni astronomiche e persino partecipare attivamente alle ricerche svolte dagli astronomi non professionisti.

Le considerazioni e i suggerimenti che seguono sono frutto della mia personale esperienza di astrofilo dapprima alla periferia sud ovest di Milano, al confine tra città e campagna – da cui fino ai primi anni ’80 del secolo scorso, nelle notti molto limpide, si poteva ancora scorgere la Via Lattea – poi in piena metropoli padana e in condizioni decisamente disagiate. Anche se nel corso della mia vita ho avuto occasione di osservare spesso sotto cieli molto bui, in regioni desertiche, remote o comunque poco abitate, per la maggior parte dell’anno le mie osservazioni le ho sempre compiute da un terrazzo di città. Tra questa condizione e la fortuna di chi può disporre sempre di un cielo buio e di un giardino privato dove gestire un telescopio grande a piacere, esiste tutto uno spettro di situazioni intermedie che per ovvi motivi non posso prendere in considerazione, sta al lettore estrarre da quanto segue ciò che gli sembrerà più confacente e utile al proprio caso.

LA STRUMENTAZIONE DELL’OSSERVATORE CITTADINO

In linea di principio qualunque telescopio va bene per osservare dalla città, più che il tipo o il diametro contano l’abilità e la passione dell’utilizzatore e l’ingegno nel far uso delle tecniche e degli accessori più idonei.

Personalmente ho usato di tutto, da 50 a 300 mm di diametro, in tutte le configurazioni ottiche, tutti li ho trovati perfettamente sfruttabili e quindi, ancora una volta, non date retta a chi vi dice che per il solo fatto di osservare da una città dovete limitarvi a usare telescopi piccoli o piccolissimi “perché tanto non si può vedere niente”, non è assolutamente vero. Caso mai sarà lo spazio a disposizione a costituire il vero fattore limitante, un telescopio col tubo molto lungo o pesante richiederà ad esempio uno “spazio vitale” che potreste non avere su un balcone condominiale, quindi verificate bene questo aspetto prima di lanciarvi nell’acquisto; ma se non avete problemi di spazio usate quello che vi pare e divertitevi.

Una delle mie postazioni milanesi, in questo caso in piena città a meno di un chilometro e mezzo dal Duomo e nella quale ho ospitato parecchi telescopi e montature. Qui per mia fortuna il sud è in gran parte sgombro e arrivo a osservare fino a una declinazione di -40° ciò che permette di seguire anche le opposizioni e le elongazioni sfavorevoli dei pianeti e di stimare stelle variabili fino a una declinazione di -25°.

Tenete però presente che, come è capitato a me, chi osserva dalla città finisce quasi inevitabilmente per dedicarsi all’osservazione degli astri più brillanti, soprattutto la Luna e i pianeti, e in questo caso è indispensabile procurarsi un’ottica lavorata e intubata molto bene, qualunque sia la configurazione, per poter sfruttare senza problemi il potere risolutivo teorico e dunque la qualità di realizzazione del nostro telescopio sarà la cosa più importante di cui ci dovremo preoccupare. Se il nostro budget è limitato meglio risparmiare sull’apertura ma puntare su uno strumento costruito come si deve piuttosto che portarci a casa un “light bucket” che magari per il cielo profondo andrebbe anche bene ma che in alta risoluzione e in città non servirà a molto.

Il solito, immarcescibile Maksutov-Cassegrain da 127 mm che viene di norma consigliato ai neofiti cittadini. E’ effettivamente uno strumento “salvaspazio” che su una montatura leggera può risolvere il problema di chi dispone solo di un balcone molto piccolo da cui osservare. Ma se non sussiste questa condizione non c’è nessun motivo per limitarsi a usare uno strumento di questo tipo.

Qualche parola meritano i cannocchiali astronomici, acromatici o apocromatici che siano. I rifrattori, infatti, possono dare grandi soddisfazioni nell’osservazione diurna per la quale l’inquinamento luminoso non costituisce un problema: il rifrattore è lo strumento principe per l’osservazione del Sole e l’astrofilo cittadino può quindi essere particolarmente motivato – come è capitato a me e a moltissimi altri – a investire una somma anche considerevole per procurarsi uno strumento solare, o adattarne uno, per studiare la nostra stella sia in luce bianca che monocromatica (H-alfa, Ca-K, Ca-H). Anche i pianeti interni si osservano e si riprendono con profitto durante il giorno, Venere in particolare è l’unico pianeta del Sistema Solare che si possa osservare lungo tutto il corso della sua orbita, qualche volta anche in corrispondenza delle congiunzioni col Sole (quando l’elongazione è particolarmente ampia e sempre prendendo le dovute precauzioni) e persino attraverso un velo di cirri: ha quasi sempre un diametro generoso, non richiede un grande potere risolutivo e presenta molte caratteristiche atmosferiche interessanti che si rendono visibili usando i filtri adatti.

Un bel rifrattore acromatico a lungo fuoco è un’ottima scelta per chi vuole dedicarsi all’osservazione e alla fotografia solare e di stelle doppie dalla città. Il tubo lungo però non è adatto ad un ambiente in cui si ha poca libertà di movimento – un tipico terrazzino da condominio ha una profondità limitata – in questo caso meglio un rifrattore apocromatico più corto e gestibile.

Suggerisco invece di stare alla larga dai corti “rich field refractors” acromatici a f/5, sempre più diffusi, questi strumenti sono utili solo a bassi ingrandimenti e sotto cieli neri come il carbone per la visione di ampi panorami celesti a basso ingrandimento, ma in una grande città non servono a niente a meno di non convertirli al solare come ho fatto col mio 150 f/5.

Un piccolo riflettore equatoriale costituisce uno strumento versatile, facile da gestire anche in piccoli spazi e di impiego più universale di un piccolo Maksutov potendosi usare anche per osservazioni a grande campo. Tra l’altro, contrariamente alle leggende circolanti in rete, è comodissimo da usare in equatoriale.

Per quanto riguarda le montature sarebbe consigliabile disporre di una in grado di reggere senza problemi almeno 10-15 kg, in modo da poter far fronte ai cambi di strumentazione che derivano dall’evoluzione dei propri interessi e dalla cosiddetta, inevitabile, “strumentite”. Tuttavia anche montature meno prestanti purché ben realizzate posso andare bene: sulla mia vecchia Vixen GP (visibile nella foto qui sopra, carico nominale 7 kg ma utilizzabile fino a circa 9 kg) ho usato senza alcun problema rifrattori fino a 120 mm di diametro e newtoniani e catadiottrici fino a 200 mm. Molto importante è però il sostegno dal quale dipende in gran parte la sensibilità alle vibrazioni del telescopio: molti astrofili attribuiscono infatti alla montatura difetti di stabilità che sono in realtà da imputare a un treppiede o a una colonna inadeguati.

Uno Schmidt-Cassegrain da 20 cm è uno strumento molto interessante per l’osservatore di città, in grado di dare molte soddisfazioni e che assieme ai suoi fratelli maggiori costituisce spesso il naturale punto di approdo per chi non può permettersi di gestire telescopi particolarmente ingombranti sul terrazzo di casa ma non vuole rinunciare ad un telescopio di apertura generosa.

Anche se detesto i sistemi GoTo e li sconsiglio sempre ai neofiti, per i quali trovo che siano profondamente diseducativi, ne ho tuttavia usati diversi e non posso negare che rendano la vita dell’astrofilo cittadino molto più facile; il motivo è che l’inquinamento luminoso cancella diverse costellazioni e anche le più brillanti vengono impietosamente mutilate così che diventa più difficoltoso orientarsi usando semplicemente un atlante stellare. Una buona alternativa al GoTo è costituita da un’equatoriale coi cerchi graduati, una soluzione un po’ fuori moda oggigiorno ma che conserva intatta la sua validità e che ha il pregio di non dipendere dall’allineamento e dall’elettronica, di permetterci di prendere confidenza con le coordinate celesti e di inseguire usando il moto su un solo asse, ciò che è immensamente utile se ci si dedica all’alta risoluzione. Si può usare anche un’altazimutale provvista di cerchi, una volta stazionata qualunque planetario per smartphone ci può fornire per la nostra località l’altezza e l’azimut degli oggetti che vogliamo osservare.

IL SEEING

Una delle favole che circolano nei forum di astronomia è quella che vuole il seeing cittadino cattivo per definizione, tanto cattivo da permettere solo l’uso di piccoli telescopi e bassi ingrandimenti. Questa sciocchezza, continuamente ripetuta, rischia di allontanare (e forse ha effettivamente allontanato) tanti potenziali appassionati di città dall’osservazione del cielo: la verità è che esistono siti con un ottimo o un pessimo seeing sia all’interno sia lontano (anche molto lontano) dai centri abitati; ciò che determina il seeing sono soprattutto l’orografia, l’altitudine, la vicinanza al mare o alle montagne, la localizzazione geografica rispetto alle correnti atmosferiche e via dicendo. Vivere in una grande città non è certo migliorativo per il seeing – la condizione ideale sarebbe sempre quella di stare lontani dagli edifici – ma non è nemmeno così limitante come si vuol far credere.

Tanto per fare un esempio, il seeing notturno nella mia zona ben all’interno di Milano è mediamente attorno a II o III della scala Antoniadi, quindi pienamente sfruttabile, e situazioni con seeing I sono tutt’altro che rare. Anche nell’osservazione diurna non ho riscontrato particolari problemi, tanto che ogni anno riesco a fare più di duecento disegni del Sole e dozzine di immagini digitali anche nel vicino UV. Evidentemente molti osservatori cittadini insoddisfatti del loro seeing attribuiscono genericamente ai centri abitati colpe che in realtà andrebbero attribuite alle caratteristiche orografiche locali. Il seeing varia infatti da città a città proprio in funzione della localizzazione geografica; il seeing di Milano, ad esempio, è nettamente migliore di quello di Torino o di Roma e ho spesso trovato un seeing più che decoroso a Londra o a Parigi con tutto quello che si dice del clima del nord Europa.

Oltre a variare da luogo a luogo il seeing varia naturalmente anche nell’intorno dello stesso luogo. Se ad esempio abbiamo un balcone che dà su un parcheggio esposto tutto il giorno al sole estivo e un altro che dà su un parco pubblico, dal primo avremo certamente una visione del cielo più disturbata che all’altro, ma questo sarebbe vero anche se il suddetto parcheggio si trovasse in un piccolo paese di campagna, non si tratta di un problema esclusivo della città.

In generale in città il seeing risulta migliore nelle prime ore del mattino e nelle stagioni intermedie mentre le condizioni peggiori si verificano senz’altro in estate a causa dell’effetto termoconvettivo dell’isola di calore urbana, che dura anche per la prima parte della notte. In inverno le condizioni dipendono anche da altri fattori, in particolare dalla presenza o assenza di inversioni termiche al suolo. In pianura padana, ad esempio, nelle ore centrali delle giornate nebbiose quando per qualche tempo la coltre di nebbia si dirada, si può a volte godere di un seeing diurno eccellente, mentre quando soffia il foehn o scorrono ad alta quota le correnti fredde provenienti dalle depressioni localizzate sull’Europa orientale o settentrionale il cielo limpidissimo corrisponde di solito a un seeing proibitivo.

I FILTRI

Come tutti sanno esistono diverse tipologie di filtri da utilizzare nell’osservazione e nella fotografia astronomica, essi si suddividono in due categorie:

  • filtri di contrasto per le osservazioni in alta risoluzione (Sole, Luna e pianeti)
  • filtri per l’osservazione e la fotografia del cielo profondo e la riduzione dell’inquinamento luminoso.

I primi non sono specifici per l’osservazione dalla città ma hanno applicazione generale. I secondi sono invece più interessanti per chi osserva dai centri urbani e rientrano a loro volta in tre gruppi:

  • filtri per la riduzione della luminosità di fondo del cielo (LPR, Skyglow, ecc.)
  • filtri per l’osservazione in più bande specifiche dello spettro con conseguente riduzione dell’inquinamento luminoso (ad es. UHC)
  • filtri a banda singola (H-alfa, O-III).

Nessuno di questi filtri può nemmeno lontanamente sostituire un cielo davvero buio e non inquinato, ma se non ci si vuole continuamente spostare di casa non resta che accontentarsi di questi palliativi.

I filtri per la riduzione della luminosità di fondo del cielo sono utili per aumentare il contrasto un po’ in tutte le osservazioni, sia dei pianeti che del cielo profondo. Anche se sono poco efficaci per far risaltare le nebulose diffuse e planetarie dalla città, possono comunque essere utili per tutti quegli oggetti deep sky che non emettono in bande specifiche, come ammassi stellari e galassie. Un impiego interessante di questi filtri si ha nelle osservazioni diurne dei pianeti interni, facili da rintracciare nel cielo fortemente illuminato dal Sole se si ha l’accortezza di avvitare uno Skyglow all’oculare.

I filtri UHC sono i più utili per l’astrofilo di città che non vuole rinunciare a osservare le nebulose diffuse. Pur abbassando la luminosità di tutto il campo visivo, nondimeno aumentano in modo significativo il contrasto tra la nebulosa e il fondo cielo e costituiscono pertanto un valido aiuto soprattutto in abbinamento a telescopi di medio e grande diametro. Questi filtri esistono in due versioni, una “leggera” per strumenti fino a circa 15 cm, e una con bande passanti un po’ più strette per strumenti più grandi. Se si può conviene averle entrambe, indipendentemente dallo strumento impiegato, perché la prima è utile anche per l’osservazione delle comete mentre la seconda si rivelerà più utile tutte le volte che il cielo non è perfettamente limpido.

Trascurando il filtro H-alfa, di interesse esclusivo degli astrofotografi, l’O-III (ossigeno ionizzato due volte) costituisce invece un must per osservare dalle città essendo specifico per le nebulose planetarie e tale da poter essere impiegato anche in visuale purché con strumenti di almeno 15 – 20 cm. Questo filtro, molto selettivo, fa sparire la maggior parte delle stelle del campo eccettuate le più luminose, pertanto quando si va alla ricerca di piccole e deboli planetarie è bene utilizzare, come si diceva più sopra, una montatura GO-TO o equatoriale ben allineata, localizzare il punto in cui deve trovarsi l’oggetto grazie a un atlante dettagliato e poi inserire il filtro.

ALCUNI SUGGERIMENTI UTILI

Osservare dalle città vuol dire fare i conti non solo con un cielo dal fondo insolitamente chiaro ma anche con le luci che ci circondano: i risultati deludenti che si ottengono nell’osservazione degli oggetti del cielo profondo non dipendono solo dalla luce diffusa nell’atmosfera ma anche dall’impossibilità di adattare l’occhio all’oscurità del campo dell’oculare a causa del disturbo delle luci circostanti. E’ quindi importante, tutte le volte che partiamo alla ricerca di nebulose e ammassi, mettere la testa sotto un telo scuro, che ci ripari dalle luci dirette e indirette, così facendo la visibilità migliorerà significativamente soprattutto quando si usano i filtri nebulari altrimenti vedremo il riflesso del nostro occhio all’interno dell’oculare.

Per non perdere l’adattamento al “buio” (chiamiamolo così) durante i transitori, cioè tutte le volte che stacchiamo l’occhio dall’oculare per cambiare accessori o leggere un atlante, può essere opportuno schermare l’occhio “buono” con una benda da pirata, che anche se un po’ ridicola ci farà risparmiare tempo nel corso del ri-adattamento. Se la nostra postazione è particolarmente fortunata ci servirà anche una luce rossa, altrimenti potremo farne a meno e questa è davvero l’unica magra consolazione che può offrire un sito molto inquinato dalle luci artificiali.

In tutti questi anni ho trovato indispensabile un cercatore da 50 mm per ovvi motivi: l’inquinamento luminoso cancella tantissime stelle, sia del catalogo Bayer che di quello di Flamsteed, che altrimenti sarebbero visibili a occhio nudo, quindi per fare “star hopping” fino all’oggetto che vogliamo osservare occorre spesso partire da stelle brillanti angolarmente più lontane di quelle che avremmo scelto se fossimo sotto un cielo buio e quindi può capitare di dover fare più strada per arrivare alla meta. Un buon cercatore sarà quindi di grande aiuto e il mio consiglio è di usarne uno di almeno 50 mm di diametro (quelli da 30 mm sono nettamente insufficienti) possibilmente ad oculari intercambiabili, a visione diretta oppure con un deviatore a raddrizzamento totale (assolutamente da evitare quelli che invertono la destra con la sinistra).

Un telo di protezione per il nostro telescopio, se montato permanentemente sul terrazzo, sarà indispensabile perché l’umidità, il calore e gli inquinanti non fanno bene alle parti ottiche, meccaniche ed elettroniche. In commercio esistono dei teli fatti apposta che oltre a essere perfettamente impermeabili hanno anche un alto indice di riflettività e sono quindi particolarmente utili se il telescopio rimane esposto al sole durante parte della giornata. Personalmente uso da sempre i teli Geoptik; non sono fatti per essere esposti permanentemente alle intemperie quindi se usati continuativamente hanno una durata limitata, tipicamente di un paio d’anni, ma sono comunque i miei preferiti mentre le coperture Telegizmos le ho dovute buttare dopo nemmeno un anno di utilizzo. Un altro vantaggio del telo riflettente è quello di tenere lontani i piccioni e le cornacchie di città, sempre più numerose, le cui deiezioni costituiscono un autentico flagello.

Attenzione all’elettronica perché il telo non basta a proteggerla. La soluzione che ho adottato per non dover collegare e scollegare quotidianamente la pulsantiera della montatura è grezza ma si è sempre dimostrata efficace e consiste nel chiuderla in un sacchetto per alimenti – lasciando fuori soltanto i cavi – all’interno del quale metto un sachettino di tela con 100 grammi di gel di silice Baader Planetarium rigenerabile, il tutto ospitato in un altro sacchetto di tela.

I VICINI

Uno degli inconvenienti di fare astronomia in città è che difficilmente l’osservatore passerà inosservato: come si fa a non farsi notare dai vicini di casa mentre armeggiamo col telescopio sul balcone ? e anche se non stiamo facendo nulla di male, l’idea che qualcuno possa pensare che siamo dei guardoni con intenzioni lascive o che stiamo maneggiando un’arma pesante può metterci a disagio. Col tempo i vicini di casa finiranno per abituarsi ai nostri traffici e non vi faranno più caso, al massimo ci considereranno un po’ svitati. Un modo tuttavia per farci passare la sensazione di disagio è di invitare qualche vicino a dare un’occhiata nei nostri strumenti, in questo modo avremo magari l’opportunità di guadagnare qualche altro adepto al nostro hobby.

In ogni caso è bene non puntare mai lo strumento verso le abitazioni, per nessun motivo, nemmeno per allineare il cercatore, meglio fare un po’ più di fatica usando un bersaglio celeste piuttosto che generare spiacevoli malintesi.

COSA SI PUO’ OSSERVARE DALLA CITTA’

Gli astri che riescono a superare facilmente la barriera costituita dall’inquinamento luminoso, anche il peggiore, sono naturalmente il Sole, la Luna, i pianeti maggiori e le stelle più brillanti, che finiscono quindi per essere il bersaglio più gettonato. Se la zona in cui viviamo non presenta particolari problemi di degradazione del seeing questi oggetti possono essere osservati proficuamente anche con aperture dell’ordine dei 25 – 30 cm o anche più. Nel corso della mia esperienza di astrofilo cittadino ho accumulato migliaia di disegni e conteggi di macchie solari, di stime di stelle variabili, centinaia di osservazioni di stelle doppie, disegni e fotografie di pianeti, insomma non posso dire di non essermi divertito. Lungi dal viverla come un ripiego, pratico l’alta risoluzione anche tutte le volte che mi trasferisco in alta montagna, sotto un cielo scuro, continuando a preferirla all’osservazione del cielo profondo che, personalmente, trovo piuttosto ripetitiva a causa della staticità degli oggetti osservati se paragonata ai mutamenti che continuamente si producono alla superficie del Sole e dei pianeti.

Come ho già detto l’osservazione diurna del Sole e dei pianeti interni è un’opportunità interessante che permette di farsi beffe dell’inquinamento luminoso e che risulta particolarmente proficua se si dispone di una buona zona di cielo attorno a est, in quanto al mattino la turbolenza atmosferica locale è ridotta.

Per quanto riguarda il cielo profondo anche dalla città si può osservare di tutto ma l’inquinamento cancellerà molti oggetti celesti e di altri se ne potranno osservare solo le parti più brillanti. Come regola generale occorreranno aperture e soprattutto ingrandimenti superiori a quelli che si userebbero sotto un cielo buio e questo è un altro buon motivo per non limitarsi a usare strumenti di piccolo diametro, se si può.

Gli ammassi aperti e globulari, purché non troppo deboli, si possono ancora osservare con una certa soddisfazione perfino da un posto come Milano, mentre per gli oggetti di bassa luminosità superficiale è necessario che l’inquinamento sia molto ridotto. Tanto per fare un esempio M78, che è un oggetto facile in un 80 mm anche sotto un cielo suburbano, dal centro di Milano e con la stessa apertura richiede un filtro nebulare per essere vista distintamente, e potrei fare dozzine di altri esempi. Non c’è quindi da stupirsi se gli astrofili cittadini appassionati di cielo profondo finiscono quasi sempre per prendersi un dobson, un binocolo astronomico o un’attrezzatura da astrofotografo e scappare dalla città appena ne hanno l’occasione. Tra l’altro, come ho già scritto, i filtri nebulari non possono fare miracoli e risultano davvero efficaci solo laddove la situazione non è ancora del tutto compromessa, come nei piccoli centri abitati e previa schermatura dalle luci pubbliche e private circostanti: in questa situazione è allora possibile divertirsi osservando molte nebulose, soprattutto planetarie.

Dal mio cielo milanese in zona semicentrale e nelle notti molto limpide arrivo comunque senza difficoltà alla magnitudine 11 con un rifrattore da 10 cm e alla 12 con un riflettore da 21 cm: può sembrare poco rispetto alla magnitudine che si raggiunge sotto un cielo più pulito ma è sufficiente a schiudere parecchie possibilità. Non condivido quindi l’opinione di chi pensa che l’astronomia si faccia solo percorrendo qualche centinaio di chilometri in automobile per raggiungere qualche vetta montuosa e che l’osservazione cittadina sia tempo perso: l’unico vero limite dell’astrofilo è la sua fantasia, il suo desiderio di mettersi in gioco, di sperimentare, di “fare di difficoltà sgabello”.

QUALCHE GUIDA INDISPENSABILE

The Urban Astronomer’s Guide di Rod Mollise è la bibbia dell’osservatore cittadino e la raccomando senza riserve. Testo ricco di consigli su strumenti e tecniche per l’osservatore cittadino contiene soprattutto una carrellata di oggetti del cielo profondo, dettagliatamente descritti con suggerimenti per poterli osservare anche dalla città.

Per l’alta risoluzione un buon testo di riferimento è Visual Lunar and Planetary Astronomy di Paul Abel, utile a chiunque voglia iniziare a praticare seriamente l’osservazione planetaria mentre per l’osservazione del Sole non posso che consigliare l’ottimo libro di Jamey Jenkins in una validissima traduzione italiana.