Lo stereo microscopio

In poche righe cercherò di descrivere “l’altro” microscopio: lo stereo, non il fratello minore del biologico ma uno strumento completamente diverso anche se spesso complementare al primo.

La prima differenza che salta all’occhio a chi ha usato sempre e solo il biologico è la visione stereoscopica e una grande profondità di campo, la prima è dovuta alla visione contemporanea di due canali convergenti ma separati, l’uso di ingrandimenti minori incide invece sulla profondità.

Questi microscopi sono progettati secondo due schemi: una coppia di ottiche identiche e completamente separate con assi convergenti per la versione denominata Greenough oppure lo schema CMO (Common Main Objective) con due sistemi ottici uguali e paralleli che utilizzano in comune solo l’ultima lente (ad onor del vero non è proprio una lente in senso stretto ma un obiettivo completo).

Lo schema ottico di seguito esposto è solo a titolo esplicativo, il tipo, la quantità e il posizionamento delle lenti non corrisponde ad un microscopio reale, i prismi sono orientati in modo che si possa capire il loro funzionamento. Per semplicità in entrambi i sistemi sono rappresentati dei sistemi zoom per la variazione degli ingrandimenti, il prisma per l’esempio dell’eventuale raccordo fotografico appare solo nella versione CMO.

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Come per i microscopi biologici anche gli stereo microscopi possono essere a coniugata finita o infinita, nel secondo caso verrà posta una lente detta di tubo nel percorso ottico, solitamente appena sotto gli oculari (lo scopo di questa lente è far convergere il fascio luminoso, a differenza dei sistemi finiti è parallelo, in modo che possa essere raccolto dagli oculari).

La variazione degli ingrandimenti può essere a passi fissi, tipicamente con una serie di sistemi galileiani su un tamburo rotante per i CMO o con ottiche intercambiabili per i Greenough, la produzione odierna è orientata verso sistemi zoom in entrambi i tipi.

 

Non si può affermare che uno sia superiore all’altro in assoluto, entrambi  presentano pregi e difetti, il primo ha un percorso naturale per nostri occhi quando guardano un oggetto vicino ma, osservando il soggetto su un asse inclinato, non potrà mai avere tutto il campo perfettamente a fuoco oltre ad una inevitabile distorsione, per contro il CMO ha si  il piano perpendicolare all’asse ottico ma soffre di astigmatismo avendo i due percorsi non sullo stesso asse del gruppo frontale, entrambe le versioni sono prodotte con sistemi fotografici a dimostrazione che non c’è una superiorità netta di uno rispetto all’altro.

 

L’illuminazione del soggetto è meno complessa rispetto al microscopio biologico, nella maggior parte dei casi non è necessario un condensatore.

In questa immagine sono riprodotti i sistemi più comuni di illuminazione, da sinistra a destra:

 

  • Illuminazione episcopica, la più semplice e versatile, di norma ottenuta con uno o più faretti posti a lato dell’ottica oppure con un anello circolare attorno alla lente frontale, con il primo si ottengono delle ombre più o meno marcate che possono migliorare il senso di profondità.
  • Illuminazione episcopica interna in asse e con percorso in parte comune con lo stesso della visuale, a differenza del precedente l’immagine è completamente priva di ombre e appare più piatta, una variante permette l’uso in fluorescenza.
  • Illuminazione in campo chiaro, la luce proviene da sotto il soggetto che quindi deve essere traslucido.
  • Illuminazione in campo oscuro, la luce, proveniente dal basso, per mezzo di specchi o prismi, arriva al soggetto con un’inclinazione tale da non entrare direttamente nell’ottica, la sorgente è nascosta da un disco opaco, il risultato è un soggetto che appare sospeso su un fondo nero.

Un altro metodo di osservazione, poco utilizzato a livello dilettantistico ma particolarmente interessate, è quello in luce polarizzata.

I metodi sono due, il primo raffigurato a destra  consiste in una o più fonti luminose, poste a lato dell’ottica frontale, con un filtro polarizzatore (1), la luce colpisce il soggetto e viene riflessa verso il secondo filtro (2) chiamato analizzatore, ruotando l’analizzatore avremo la possibilità di eliminare qualsiasi riflesso anche da soggetti metallici, cosa non fattibile con i soli polarizzatori, ovviamente i due filtri del primo caso  devono essere orientati con lo stesso angolo.

 

Il secondo caso invece prevede l’uso di una fonte luminosa posta sotto il campione da osservare, i due filtri sono posti uno sotto quest’ultimo e uno sopra questo metodo è usato principalmente per l’osservazione di sezioni mineralogiche sottili o comunque materiali birifrangenti.

 

La scelta tra i due sistemi non è semplice ma potrebbe anche non interessare conoscere lo schema di costruzione importante che corrisponda alle nostre esigenze, di norma il CMO raggiunge valori più alti ma ritengo sia un vantaggio solo sulla carta: lo stereo è idoneo a ingrandimenti non superiori ai 40~50x (salvo casi particolari o usi non strettamente amatoriali) oltre i quali conviene utilizzare un microscopio biologico.

 

Due esempi:

Nikon SMZ745T – Greenough, di produzione attuale di ottima qualità,predisposto per l’acquisizione di immagini. ZeissOpton 1940, molto ricercato, nonostante l’età per le prestazioni tutt’ora  di assoluto rilievo

                                      

Glossario:

 

CMO: acronimo di Common Main Objective, indica che lo schema di un microscopio stereo utilizza l’obiettivo principale (quello frontale) in comune per i due canali destro e sinistro che sono sempre paralleli.

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Coniugata finita: in microscopia indica un sistema ottico con percorso convergente con lunghezza determinata, tipicamente 160mm, in passato comune anche il 170mm ma non mancano diverse lunghezze a seconda del produttore.

 

Coniugata infinita o all’infinito: in microscopia indica che il percorso ottico ha fascio parallelo, con evidenti vantaggi volendo introdurre accessori che modificano la lunghezza del sistema, al di sopra della parte ottica (del tutto simile alla precedente) viene posta una lente detta di tubo che ha la funzione di far convergere il fascio sino a formare l’immagine intermedia che potrà essere raccolta dagli oculari.

 

Greenough: riferito a microscopi stereo che utilizzano due sistemi ottici completi e indipendenti convergenti, prende il nome da chi mise a punto questa configurazione.

 

Fluorescenza: tecnica che permette di osservare campioni organici o inorganici inducendo fenomeni di fluorescenza o fosforescenza con illuminazione tipicamente ultravioletta, la luce emessa avrà una lunghezza d’onda maggiore dell’incidente ed essendo più debole verrà selezionata con un filtro di sbarramento che assorbirà la frequenza di eccitazione rendendo visibile solo quella emessa dal campione.

 

Polarizzazione: tecnica che utilizza la caratteristica dei filtri polarizzatori di essere permeabili ad un solo piano luminoso il quale  attraversando il secondo filtro detto analizzatore viene più o meno “bloccato”, il termine corretto è estinzione che può essere totale quando i due filtri (nicol) sono incrociati a 90°, in questa condizione il fondo è quasi nero e sono visibili solo i raggi che, modificati dalle sostanze che attraversano, avranno piani diversi, il metodo è particolarmente utile in mineralogia per il riconoscimento dei campioni si presta anche a creare colorazioni molto appariscenti di nessuna utilità scientifica ma esteticamente pregevoli.

 

N.B. I termini e le spiegazioni non sono strettamente corretti e sono molto semplificati per rendere l’argomento di facile comprensione a chi è completamente a digiuno, per una terminologia corretta servirebbero diverse spiegazioni di base più complesse vanificando lo scopo di questi appunti che vogliono solo essere un’infarinatura degli argomenti comuni in microscopia, per chi è addentrato c’è ben altro da leggere.